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domenica 7 ottobre 2018

Euroinomani di Alessandro Montanari (Uno editori)

La solitudine del giostraio di Elio Coriano

L’arte della scrittura: manualetto prêt-à-porter per l’anima e per la pe...

Il morso della cultura ... Tricarico, Scotellaro, Mazzarone, Infantino

Pulp? Beat? Cult? La poesia di Maurizio Leo DOMANI 8 ottobre a Lecce per il Tempo di un caffè











L’8 ottobre 2018 ore 18,30  al Bar Astoria di Lecce (Piazza Italia – adiacente Porta San Biagio. In caso di pioggia l'incontro si terrà al Museo Faggiano in via Ascanio Grandi 56) per la 14 tappa de Il Tempo di un Caffè ci sarà l’incontro con Maurizio Leo autore per i Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno dei libri in versi “Nella macchina di Neal tanto fumo dentro tanta nebbia fuori” di Maurizio Leo e “Ho dimenticato il cappotto di pannonero vecchio alla fermata del pesce”. Presenta l’autore il giornalista e scrittore Annibale Gagliani. Maurizio Leo è nato nel 1959, poeta di recente insignito del Premio Millenium è autore di diverse pubblicazioni di riliveo nazionale- Maurizio Leo ha nel suo dna autori della Beat Generation, ma anche la forza di Breton o Lautréamont. La sua è una sperimentazione plurisemantica, le sue poesie si vestono sempre di un ritmo sincopato, devastante. L’autore è anche redattore da oltre diciassette anni della rivista il ‘Bardo’, distribuita capillarmente e gratuitamente sul territorio, in librerie ed edicole, a Copertino, Lecce, Maglie, Galatina, Nardò, Gallipoli e Leverano.
Nella macchina di Neal tanto fumo dentro tanta nebbia fuori di Maurizio Leo
“Maurizio Leo scrive versi prestando ascolto a un’essenzialità feroce in cui si trovano tutti gli accenti di una realtà dismessa. Dal Salento di Salvatore Toma e Antonio Verri, Leo nella sua poesia cerca un lessico nudo in cui ogni cosa appare per quello che è. Nella macchina di Neal tanto fumo dentro tanta nebbia fuori ( i Quaderni del bardo edizioni) il poeta senza concedere nulla agli orpelli della lingua affonda la penna nel cuore trafitto del mondo e ne attraversa i paesaggi desolati, racconta senza filtri e abbellimenti la realtà scarna con le sue infinite pochezze. Le parole che sceglie per scrivere le sue poesie sono dirette, crude e hanno tutta l’intenzione di squartare e non di consolare (Nicola Vacca su Liberidiscrivere.com)
"Tutto quello che si vede è solo una figura. Sono figure superstiti quelle che guardano se stesse in questa poesia di Maurizio Leo che sfilaccia il Novecento e s'insinua nei sotterranei di questo secolo nuovo, di questo nuovo millennio. I paesaggi sono pozzanghere. Le creature immobili. Le storie contratte. Il lessico essenziale, strizzato come straccio, sorvegliato come se volesse, potesse sottrarsi, sfuggire alla trama, addirittura al pensiero." (Dalla prefazione di Antonio Errico)

Ho dimenticato il cappotto di pannonero vecchio alla fermata del pesce
“Ho dimenticato il cappotto di pannonero vecchio alla fermata del pesce, ovvero dell’andamento discendente del verso nello sconfinamento nel nulla. È la tensione del vuoto come campo esperienziale che si rivela nella pratica di queste poesie di Maurizio Leo. Alla luce di un discorso antologico che ospita opere, che spaziano dalla poesia alla critica, dalla prosa poetica alla modulazione cronachistica, raccolte fra il settembre del 1991 e il maggio del 2015 sulla rivista Il Bardo, fondata dallo stesso Leo, occorre considerare come l’incasellamento delle parole produca e/o risponda ad un effetto di vuoto che permette l’allestimento della parola sulla pagina. Dare corpo e forma a questo vuoto, da una parte, lasciare che le parole ci sprofondino, dall’altra, è la condizione liminale di una poesia che passando dall’esperienza della Beat Generation americana percorre in lungo e in largo certe istanze, a questa sempre legate, tipiche del pensiero orientale – che va ad interessare appunto l’intelaiatura della parola – fino a modulazioni di matrice surrealista e, ancora, germinate in progress dalla poesia francese in un senso più ampio e nei cui territori l’autore sembra muoversi con disinvoltura. Maurizio Leo raccoglie a piene mani gli stimoli dei poeti Beat, dalle istanze culturali e quelle ritmiche, dalle geografie spazio-temporali a quelle esistenziali. L’incedere jazzistico della parola poetica, il ritmo incalzante del verso, una poetica fluidificata nell’automatismo del pensiero (di chiara discendenza surrealista, con riferimento puntuale a Breton) che aggira il blocco diurno della ragione e sposta l’asse dell’azione poetica su di un piano liminale, poi precoscienziale, che pare strizzare l’occhio agli strumenti offerti dal Kerouac teorico nei Fondamenti della prosa spontanea (1957). L’attenzione verso la sonorità della parola poetica affonda le proprie radici, in modo ampio e organico, nella letteratura francese. È secondo un percorso che dal “gergo nuovo” del Kerouac de I Sotterranei arriva dritto al verso asintattico surrealista, spostando e ampliando il raggio d’azione dalla letteratura americana alla tradizione francese. Delle successioni sillabiche, sconnesse, modulate nelle esperienze fonetiche del movimento Dada e poi ne I Sotterranei di Kerouac, Maurizio Leo conserva l’attenzione per la sonorità della parola letta fin nelle sue sillabe, senza sconfinare nel nonsense estremo, mantenendo viva e integra la parola. Questa è giocata nel verso come fosse un’isola, una costellazione di mondi che in diverse prove deriva dall’assenza di una consecutio logica volta a determinare una apertura di immagini eteroclite e plurivoche.” (dall’introduzione di Francesco Aprile)


iQdB edizioni di Stefano Donno (i Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno)

Sede Legale e Redazione: Via S. Simone 74 - 73107 Sannicola (LE)

Il mio appuntamento mensile con la rivista Mistero!


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Ieri sera ho conosciuto Margot ... tra noi subito un colpo di fulmine ....


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sabato 6 ottobre 2018

IL MIO PIEDE SINISTRO (film 1989) TRAILER ITALIANO

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Driving Miss Daisy (A Spasso con Daisy) - Original Trailer

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Buttate la poesia tra le gambe di una donna che passeggia di Elisa Longo

Il morbido scudiscio della quiete di Eliana Forcignanò

Il mondo come volontà e rappresentazione di Arthur Schopenhauer

Capire l’economia della provincia di Lecce di Mauro Ragosta (nuova versi...

Il gusto di essere altruisti di M. Ricard

Elise di Anna Scarsella

Racconti dell’impossibile a Lecce di Stefano Donno

Onda Type di Giuseppe Mauro su Amazon Kindle Store

Books of Darkness by Stefano Donno

GIORGIA ovvero momenti saffici a Lecce di Mauro Ragosta

Books of Lights by Stefano Donno

WHERE DID WE LEAVE? BY CHIARA EVANGELISTA

La rotazione del compasso di Marta Vigneri

Mari che non conobbi di Marcello Buttazzo

Impegno e Disincanto in Pasolini, De André, Gaber e R Gaetano di Anni...

Fabio Siciliani al Fondo Verri

Goldrake, IL FILM

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Goldrake - sigla completa

Spot - GOCCIOLE al gusto CAPPUCCINO e GIANDUIA - 2000

Spot - Penna RISFERA PELIKAN - 1983

Spot - MAIONESE KRAFT "è finita!" - 1988

Spot - ARANCIATA SanPELLEGRINO - 1994 (vers. dance)

giovedì 4 ottobre 2018

Orgoglioso di aver pubblicato Alberto Giacometti : l'uomo che cammina di Donato Di Poce
















Forse ci voleva la sensibilità estrema e debordante di Jean Genet ,suo amico ed estimatore, nonché frequentatore del suo Atelier per cogliere l’essenza stessa della scultura di Alberto Giacometti. Quel Genet, ormai idolatrato da Sartre, genio santo e martire della devastazione dell’essere che prima di consegnarsi al silenzio creativo, scrive uno dei testi più belli e necessari per la storia dell’arte e della creatività del ‘900: “L’Atelier di Alberto Giacometti”. E non è un caso il titolo del suo scritto sull’amico, perché coglie l’artista(uno dei grandi del ‘900), nel suo habitat di bellezza e creazione, sofferenza e solitudine, estasi e lacrime, ma sempre in una sorta di regale creatività e lotta con la materia e lo spazio, in ascolto della sua coscienza e della sua anima, in ascolto del suo respiro e il respiro del mondo. E vediamo cose scrive di essenziale Genet su Giacometti: “ La solitudine, come la intendo io non vuol dire affatto condizione miserevole ma piuttosto segreta regalità, profonda incomunicabilità, senso più o meno oscuro di un’invisibile singolarità”. In effetti nessuno a mio avviso ha colto e interpretato come Giacometti la fragilità e la transitorietà dell’esistenza, ingaggiando per tutta la vita un corpo a corpo con la materia, lo spazio e l’essenza dell’essere umano. (Donato Di Poce)
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