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martedì 1 dicembre 2020
lunedì 30 novembre 2020
GLI ANZIANI DEL CENTRO “CORTE BUSCA” DI LOMAGNA SORPRENDONO CON UNA DANZA CHE RISCALDA IL CUORE
Lomagna (LC), 30 novembre 2020 - È una giornata come tante a Corte Busca di Lomagna, Centro Diurno Integrato con alloggi protetti per anziani facente parte della Cooperativa Sociale L’Arcobaleno di Lecco. Anzi, per l’esattezza non è una giornata come le altre. Questi sono tempi duri, in cui il Covid ha cambiato inesorabilmente la vita di tutti, comprese quelle dei tanti anziani che trovano rifugio e sostegno in queste strutture.
Oggi è una giornata diversa per gli otto ospiti che attualmente vivono presso gli appartamenti protetti di Corte Busca. La mattinata comincia come da programma, ma durante l’ora di animazione musicale succede qualcosa di sorprendente. Gli anziani del Centro amano la musica, si sa, ma il brano che stanno ascoltando ora ha una forza, una vitalità, qualcosa di diverso, un’energia che anima in loro un sentimento nuovo, una reazione improvvisa che va oltre il normale ascolto. La musica e il video in questione, in onda sulla Smart Tv della Sala Comune, è Jerusalema, una canzone gospel, una preghiera cantata in lingua Venda diventata una dance challenge virale su YouTube e Tik Tok l’estate scorsa. L’operatrice che ha scelto la canzone è la più stupita di tutti: “Ogni giorno, mattina e pomeriggio, i nostri anziani sono abituati a condividere insieme un momento dedicato alla musica che tanto li fa stare bene, fa parte del percorso di riabilitazione. Spesso si tratta di pezzi popolari o in dialetto capaci di risvegliare la memoria dei malati di Alzheimer, perché la musica non è solo intrattenimento, ma anche uno strumento di lavoro fondamentale per migliorare la loro condizione. La melodia migliora i disturbi comportamentali, rasserena e risveglia dal torpore. Ma quello che è successo con Jerusalema è diverso, non ho mai visto in loro una reazione impulsiva di tale portata, l’ho percepita sui loro volti”.
È in questo preciso istante che nasce un’idea. L’operatrice chiede a tutti se gli piacerebbe imparare a muoversi su questo pezzo tanto coinvolgente e gli anziani lasciano subito trasparire il loro desiderio di voler partecipare, di provare qualcosa di nuovo.
A quel punto l’operatrice coinvolge tutte le altre colleghe del Centro in questa entusiasmante impresa: imparare insieme il balletto di Jerusalema per insegnarlo e danzarlo insieme agli anziani che vivono nel Centro. Da lì nasce un confronto continuo tra le operatrici, che una volta a casa, terminato il lavoro, provano i passi, imparano il testo e condividono video casalinghi per confrontarsi, scherzare e parlare dei progressi giornalieri.
E poi il giorno della messa in opera arriva e si parte: le operatrici sono ai loro posti, via alla musica e si comincia! Mani che si muovono, braccia che si agitano, piedi che battono il tempo, sorrisi gioiosi che prendono forma sui visi, voci che si uniscono in coro nel canticchiare l’armonia. I primi ospiti cominciano ad alzarsi, anche quelli che abitualmente non riescono e fanno più fatica di altri. Leonardo, detto Leo, nella sua vita non ha mai ballato, ma si alza, dicendo che vuole essere parte di questo attimo anche lui. Leo ha un blocco motorio fin da molto giovane e ha difficoltà ad alzare le braccia. Questa volta il deambulatore a cui si appoggia abitualmente per muoversi diventa un sostegno per camminare a ritmo sulle note di Jerusalema. È un crescendo di emozioni: operatrici che guidano gli ospiti nei passi e ospiti che ballano insieme proprio come una grande famiglia allargata. Tutti vivono un momento di gioia difficilmente descrivibile. Non è facile vedere questi otto anziani, che vivono insieme da tempo, esprimere una così tale passione come oggi. Anche Franco, uno degli ospiti, balla come se avesse vent’anni di meno e Piera, che una volta era una volontaria del Centro e da qualche tempo è diventata una degli ospiti che vi risiedono, ha sorpreso tutti chiedendo di potersi unire alle danze insieme alle operatrici. È bastato uno sguardo per capirsi, un’occhiata carica di significato che vuol dire tutto per questa famiglia, perché di famiglia si parla: operatrici e ospiti sono proprio questo, un grande nucleo familiare che condivide tutto, progressi, gioie e dolori. La musica finisce ma l’allegria rimane e Leo scherza: “Adesso siamo pronti per andare a ballare in discoteca”!
Maurizio Volpi, Coordinatore di Corte Busca e Vice Presidente della Cooperativa Sociale L’Arcobaleno, commenta così questo prezioso momento: “È stupefacente poter essere testimoni di così tanta vitalità, così tanta gioia di fare e condividere, soprattutto in questo momento, un periodo particolarmente difficile che ci costringe anche a rivedere la pianificazione delle nostre attività sulla base della normativa anti Covid per garantire la sicurezza di operatori e ospiti. Abbiamo il dovere di essere armoniosi, soprattutto ora. Grazie all’aiuto di un giovane 23enne videomaker di Calolziocorte, Jonathan Galarraga Alvarez, che si è offerto di aiutarci in modo totalmente gratuito, siamo riusciti a realizzare questo piccolo, ma significativo video dei nostri ospiti che vivono un momento incredibile, per dare un messaggio di speranza, di fiducia e serenità ai loro familiari e non solo”.
Prosegue Jonathan Galarraga Alvarez: “Dal mio punto di vista di professionista e di persona estranea a questa realtà, è stata una sorpresa vedere con i miei occhi l’unione evidente tra ospiti e operatori, è stato veramente difficile decidere quali parti dei video tagliare perché erano davvero tutti carichissimi! Si percepisce realmente il legame attraverso l’attività di gruppo e i primi piani carichi di emozioni e significato, inoltre sono rimasto davvero colpito da come alcuni anziani hanno improvvisato dei passi spontanei perfettamente combinati al ritmo.”
L’equipe di Corte Busca si è unita ancora di più e motivata per lavorare su questo piccolo, ma importante progetto. Un modo anche per abbassare il livello di tensione e di fatica a cui le operatrici sono sottoposte ogni giorno.
“È una grande emozione per noi vedere che le attività che programmiamo e che studiamo per i nostri ospiti danno i loro frutti” dichiara Maurizio Volpi. “Va da sé che l’animazione musicale è strettamente collegata alla riabilitazione motoria che studiamo e coordiniamo. Quotidianamente svolgiamo un’attività di gruppo e due volte a settimana hanno luogo sessioni individuali più mirate. Quello della Cooperativa Sociale L’Arcobaleno è uno stile ben preciso finalizzato a contrastare il processo di deterioramento e stimolare il benessere psico-fisico e la prevenzione di manifestazioni di disagio. Al primo posto mettiamo i bisogni non solo sanitari, ma anche sociali, relazionali, emotivi, culturali degli anziani grazie ai nostri operatori che lavorano nei Centri sparsi sul territorio della provincia di Lecco, pronti a stimolare continuamente gli ospiti a essere attivi e partecipi alla propria esistenza. Tutto quello che facciamo è pensato per loro: al di là che lo ricordino o meno, abbiamo il dovere di regalargli momenti felici. Questo è il nostro lavoro: prendercene cura con professionalità e tenerezza”.
“Se vuoi l’arcobaleno, devi rassegnarti a sopportare la pioggia” DOLLY PARTON
“Ma non è detto che non si possa ballare sotto” CORTE BUSCA, 2020
Clicca qui per vedere il video.
L’intelligenza artificiale conversazionale salverà il pensiero
Le informazioni e i dati in circolo sono in continua crescita. Se spesso ci è capitato di dire “non sento, c’è troppo rumore!”, sempre di più, oggi, ci capita di pensare “non capisco, ci sono troppe informazioni!”. Non importa che queste informazioni provengano da altre voci, notifiche push, sovrapposizioni di messaggi: tutto quello che non è il segnale che ci interessa, ci infastidisce. Ormai non si può più trascurare quello che viene definito “signal to noise ratio”, ovvero il rapporto tra segnale e rumore. Ma cos’è il segnale? Cos’è il rumore? E come può l’intelligenza artificiale aiutarci a non venire sommersi di informazioni?
Too much signal
La società IDC (International Data Corporation) ha rilevato che nel 2018 c’erano 33 Zettabyte di dati in tutto il mondo (dove uno Zettabyte corrisponde a un miliardo di Terabyte), ma prevede che entro il 2025 si arriverà ai 175 Zettabyte. Non è tutto, l’IDC dice anche che le persone mediamente passeranno dalle 601 interazioni giornaliere con i propri device a 4.800 nel 2025.
Anche se è difficile dare un senso a questi numeri, è chiaro che fanno impressione. E infatti sono un problema, teorizzato già dallo psicologo David Lewis nel 1996, chiamato information fatigue syndrome: troppi dati affaticano le nostre capacità analitiche e quando esse sono ridotte anche la nostra capacità di capire cosa è necessario e cosa non lo è viene alterata. Il pensiero è infatti un processo di esclusione, e a più informazioni corrispondono meno capacità analitiche. Meno capacità analitiche abbiamo, meno capacità di scelta possediamo. E a meno capacità di scelta corrispondono più informazioni in entrata. Un cane che si morde la coda.
Questo processo, ripetuto, porta infatti all’information overload che non è nient’altro che l’incapacità cognitiva di restare al passo con tutte le informazioni che si hanno a disposizione. Sentiamo la pressione di rimanere sempre aggiornati e sempre sul pezzo, ma ciò è impossibile perché le informazioni sono troppe. Professionalmente dobbiamo essere in linea con gli ultimi sviluppi, personalmente sentiamo di non poter perdere nemmeno un aggiornamento. Viviamo in un perenne stato di FOMO: fear of missing out.
Esistono però due tipi di information overload, e uno dei due è molto più insidioso. C’è un overload condizionale – che sorge quando dobbiamo trovare una risposta “giusta” in un oceano di informazioni, non tutte rilevanti: ma a gestire questo siamo diventati bravi grazie ai filtri tecnologici come i motori di ricerca. C’è poi quello ambientale, ed è questo il vero problema, che si crea quando siamo circondati da quantità di informazioni tutte rilevanti: le abbiamo scelte, sono cose che ci piacciono, ma sono talmente tante che facciamo fatica a elaborarle tutte. Continuiamo a cliccare link, continuiamo a scrollare, a ricaricare pagine, ad aprire nuove tab nei browser, ad aggiungere ai preferiti, ad aggiungere alla lista di cose da leggere o guardare dopo, a controllare le email e le raccomandazioni di Netflix o di Amazon. Migliorando le tecnologie di ricerca, migliorando i filtri tecnologici, risolviamo il primo overload, quello condizionale causato dal troppo rumore, ma stiamo allo stesso tempo peggiorando il secondo, aumentando il flusso di informazioni rilevanti: come si diceva all’inizio, creiamo troppo segnale.
I filtri fanno quello per cui li abbiamo costruiti: trovare l’informazione più rilevante e proporcela. Ma è impossibile pensare di risolvere il problema dell’overload di informazioni semplicemente migliorando la tecnologia che lo ha creato. Abbiamo bisogno di un cambio di prospettiva.
La sfida dell’intelligenza artificiale
Se il ritmo con il quale assumiamo le informazioni ha un forte impatto sulle nostre vite, tornando a un ritmo di vita più calmo, potremmo tornare a essere persone più analitiche e creative, sarebbe più facile concentrarsi, risolvere i problemi e forse persino diventare persone migliori. Uscire da queste dinamiche da soli però è difficile.
Nel frattempo, ci stiamo affacciando su una rivoluzione tecnologica che potrebbe cambiare le regole del gioco nella battaglia tra segnale e rumore. L’intelligenza artificiale ha tutte le caratteristiche per diventare il più potente filtro tecnologico mai inventato prima e inondare le nostre vite di segnale e di informazioni rilevanti. Già oggi qualsiasi sistema di raccomandazione esistente sfrutta l’AI: da Spotify a Netflix, tutti stanno facendo a gara per diventare i nostri migliori amici, conoscere i nostri gusti meglio di chiunque altro, ma l’intelligenza artificiale può spingersi anche molto oltre, creando filtri tecnologici che non solo conoscono i nostri gusti, ma che sono in grado di creare dal nulla contenuti unici per quel momento e quella persona. Immaginate una pubblicità che è stata creata al momento, pensata apposta per i voi e per i vostri gusti, che probabilmente sarete le uniche persone nella storia a vedere. L’AI può farlo, basti pensare al fenomeno dei deep-fake per capire le potenzialità che questa tecnologia ha nel creare contenuti e media. Quindi, prima di arrivare al momento in cui qualsiasi cosa sia segnale, dobbiamo trovare il modo di sfruttare la potenza dell’intelligenza artificiale per prediligere calma, qualità e benessere.
Il cambiamento dovrebbe arrivare direttamente dalle persone che concepiscono gli strumenti e le tecnologie che usiamo ogni giorno. Noi del mestiere dobbiamo iniziare a sentire il carico della responsabilità di quello che creiamo, per cercare di costruire strumenti che aiutino le persone a non entrare nel loop della information fatigue syndrome. Noi che in Indigo.ai ci occupiamo di queste tematiche per lavoro, ci siamo chiesti: “Cosa possiamo fare? Se migliorare i filtri peggiora le cose, come ci dobbiamo comportare? Come ci ribelliamo?”
La soluzione è costruire tecnologie che ci permettano di rimanere in contatto con la nostra natura. Dobbiamo scegliere di rallentare in una società che non fa altro che accelerare e per farlo possiamo prendere spunto da soluzioni inventate migliaia di anni fa, come il linguaggio e la conversazione, che garantiscono il tempo necessario per elaborare le informazioni e aggiungono pause tra un’informazione e l’altra. Esiste già oggi un tipo di tecnologia basata sulla conversazione: si chiama “intelligenza artificiale conversazionale” e può essere la base di un nuovo modo, più sano, di approcciarci alle informazioni. Se fino ad ora abbiamo cercato di ridurre il rumore nei nostri tool e nelle nostre tecnologie, oggi dobbiamo iniziare a capovolgere il paradigma riducendo anche il segnale, e la conversational AI può aiutarci.
Una domanda però sorge spontanea: ma perché proprio la conversazione? Vediamolo di seguito.
Cinque modi in cui l’AI conversazionale ci può aiutare a ridurre il segnale
- Lentezza. Il linguaggio è semplicemente più lento delle altre tecnologie che abbiamo a nostra disposizione. Una ricerca uscita da poco su Science dice che le nostre conversazioni viaggiano a una velocità di 39 bit al secondo, a prescindere dalla lingua. Quasi come se la natura e l’evoluzione abbiano fissato un limite universale di velocità per lo scambio di informazioni.
- Gradualità. Le conversazioni si costruiscono gradualmente. Una persona – e allo stesso modo un’AI basata sulla conversazione – non ci inonda di informazioni appena inizia a parlare (tranne in alcuni sfortunati casi!). Le conversazioni procedono lentamente, iniziano meno dense di informazioni e poi arrivano a mano a mano al nocciolo.
- Sincronia. La conversazione è un tipo di comunicazione sincrona, ovvero ci permette di affrontare gli argomenti in sessioni singole (una conversazione per ogni argomento), mentre con quella asincrona, che è il paradigma di oggi, accumuliamo enormi quantità di informazioni a cui rispondere.
- Pazienza. Le conversazioni ci danno l’opportunità di avere dei tempi di attesa. Le attese oggi sono diventate quasi un sacrilegio: le aziende hanno paura di far aspettare i propri utenti. Ma la dialettica conversazionale ci invita a elaborare le informazioni che stiamo assorbendo, ci dà il tempo per pensare e respirare.
- Sperimentazione. La conversazione è una “tecnologia” molto antica. Abbiamo iniziato a sperimentare il linguaggio circa 200mila anni fa, ci siamo abituati con il tempo, ne abbiamo lunga esperienza. Questo influenza il modo in cui pensiamo e vediamo il mondo: il nostro modo di pensare è costruito sul linguaggio.
Una tecnologia basata sulla conversazione è, insomma, una tecnologia a misura d’uomo e che rispetta i tempi e i processi del modo di pensare umano. Una tecnologia che previene l’overload di informazioni perché è adatta a noi e non richiede che noi ci adattiamo a lei.
“LA CASA DELLA GENITORIALITÀ”: DOMANI LA PRESENTAZIONE DEL NUOVO SERVIZIO DI SOSTEGNO E ACCOMPAGNAMENTO AI NEONATI E ALLE FAMIGLIE FRAGILI NEI PRIMI 1000 GIORNI
Si terrà domani, martedì 1 dicembre, la presentazione del progetto “La Casa della Genitorialità”, un servizio innovativo di sostegno e accompagnamento alle famiglie e ai neonati nei primi 1000 giorni di vita. La presentazione, alla quale interverranno l’assessora al Welfare Francesca Bottalico, la POS Minori e famiglie Francesco Elia, la referente regionale di Save the Children Agnese Curri e la coordinatrice del progetto Stefania Monopoli, si svolgerà su una piattaforma online a partire dalle ore 16.30, a questo link.
Il progetto, finanziato dal PON Inclusione (Avviso 4/2016 con beneficiario la Regione Puglia e partner istituzionale l’assessorato comunale al Welfare), sarà gestito dalla rete di partenariato costituita dalla fondazione Giovanni Paolo II onlus, Il Melograno - Centro informazione maternità e nascita, Mama Happy - Centro servizi famiglie accoglienti, Mamme Contatto, Idee Felicità Contagiosa con l’accompagnamento e la supervisione di Save the Children. “La Casa della Genitorialità” sarà realizzata in rete con i distretti sanitari, i presidi ospedalieri, i consultori cittadini e la rete territoriale delle farmacie, dei servizi socio educativi municipali, La Casa delle Bambine e dei Bambini e il Segretariato sociale cittadino.
Il nuovo servizio è rivolto prioritariamente alle donne migranti, senza dimora o in situazione di fragilità sociale ed economica con l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze promuovendo una nuova cultura della maternità e genitorialità. Intende inoltre promuovere la formazione di un’identità genitoriale positiva, il consolidamento del lavoro di rete - tra agenzie sociali, educative e sanitarie - attraverso interventi multidisciplinari ed integrati, la creazione di spazi di ascolto, accompagnamento e mutuo aiuto tra donne, neo genitori e l’intera comunità, anche in forma domiciliare.
PORTA FUTURO BARI COMPIE 5 ANNI
Porta Futuro Bari, il job centre realizzato dal Comune di Bari nell’ex Manifattura Tabacchi nel quartiere Libertà, compie oggi cinque anni. Cinque anni di impegno costante e dedicato ai cittadini, dimostrato anche dai numeri che hanno reso il job centre barese punto di riferimento in tutta la Puglia per la ricerca attiva del lavoro.
Dal 4 dicembre GialloLuna NeroNotte è online. L’edizione 2020 del Festival, la 18esima, sarà solo in diretta su Facebook
Come
annunciato qualche settimana fa, l’edizione 2020 di GialloLuna
Nero Notte, il festival ravennate del giallo e del
noir italiani, festeggerà il 18° anno di età “solo” online.
Per assistere agli appuntamenti in diretta, tutti in
programma alle 17.30, basterà collegarsi alla pagina
Facebook del festival www.facebook.com/gialloluna.
IL PROGRAMMA
Venerdì 4 dicembre: Alessia Tripaldi parla del suo primo romanzo, “Gli scomparsi” (Rizzoli); dialoga con lei (a distanza…) Nevio Galeati, direttore artistico di GialloLuna Nero Notte.
Alessia Tripaldi, è sociologa e cofondatrice dell’organizzazione Sineglossa, ad Ancona. Ha lavorato per diverse case di produzione come sceneggiatrice. “Gli scomparsi” (Rizzoli) è il suo primo romanzo, dopo aver pubblicato alcuni racconti. A seguire intervento di Giulio Leoni sul tema “Dei detective di carta e di come Dante sia finito fra loro”. Classe 1951, Leoni è autore di thriller storici, ha scritto 7 romanzi con Dante Alighieri che investiga e svela delitti all’inizio del 1300. L’ultimo romanzo si intitola “I delitti dei nove cieli” (Ed. Nord). L’ottavo romanzo uscirà nel 2021. È stato a GialloLuna già due volte.
Sabato 5 dicembre: premiazione vincitori dei concorsi per racconto e romanzo; saranno online da tutta Italia i finalisti. Intervengono Annamaria Fassio, scrittrice Mondadori e “madrina” del festival; proclamerà il miglior racconto Franco Forte, editor del Giallo Mondadori. A seguire intervento di Vania Rivalta, editor Clown Bianco, per i romanzi.
In chiusura di collegamento presentazione delle opere vincitrici dell’edizione 2019 di Marco Marinoni ed Irene Rossi.
Giovedì 10 dicembre: Mauro Baldrati. Nato a Lugo di Romagna, vive a Bologna. È stato collaboratore di «Lotta Continua» e redattore di «Frigidaire» a Roma. Ha pubblicato sette romanzi a partire da “Vita complicata di Jimi” del 1993, e presenta “Shi Heng Wu – Lo specialista” (Time Crime), tratto dalla storia vera di un killer professionista. È stato già a GialloLuna 2018.
Venerdì 11 dicembre: Lorenza Ghinelli, finalista al premio Scerbanenco 2020 con il romanzo “Tracce dal silenzio” (Marsilio). Ha esordito nel 2011 con il romanzo “Il divoratore”; ha scritto altri sette romanzi. Collabora con la Scuola Holden. È già stata ospite di GialloLuna per presentare il primo romanzo.
I finalisti dei concorsi di GialloLuna NeroNotte 2020 per opere inedite, in collaborazione con il Giallo Mondadori (racconti) e Clown Bianco Editore (romanzi), in ordine alfabetico per autore.
Gli otto per il Racconto inedito, selezionati dalla giuria composta da Matteo Diversi (libraio), Alessandra Fattorini (avvocato), Nicola Lombardi (scrittore), Carlo Raggi (giornalista), Vania Rivalta (editor) sono: “Le scarpe rosse” di Luigi Boccia (Roma), “La tutela” di Paolo Delpino (Milano), “Il male necessario” di Mauro Frugone (Rapallo - Ge), “Telemaco non guarda più il mare” di Cristina Giannatasio (Solofra – Av), “Uischi” di Massimo Lunati (Parma), “Giustizia per Argo!” di Marco Marinoni (Finale Ligure – Sv), “Marion” di Roberto Rapastella (Spoleto – Pg), “I delitti della ferrovia” di Irene Rossi (Sacile – Pn).
I cinque finalisti per il romanzo inedito, indicati da Nevio Galeati (direttore artistico GLNN), Matteo Diversi (libraio), Gianluca Di Matola (scrittore), Stefano Mazzesi (scrittore), Vania Rivalta (editor): sono: “La volta di troppo” di Caterina Falconi (Giulianova – Te), “L’arte di donare la morte” di Davide Lugli (San Felice sul Panaro – Mo), “L’ombra della sera” di Daniela Mancini (Empoli – Fi), “Una domenica in spiaggia” di Lucrezia Riberi (Savona), “In morte di Anita Garibaldi” di Andrea Santucci (Paullo – Mi).
Rinviata alla primavera 2021 la mostra dedicata al disegnatore Vittorio Giardino e al suo Sam Pezzo, personaggio “alla Bogart” creato nel 1979 sul mensile “Il Mago” di Mondadori.
Poesie di Maurizio Leo (I Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno)
“Ma d’imprese Maurizio Leo sa qualcosa. D’imprese culturali a tutto tondo, dall’albata degli anni ottanta a tutt’oggi, ne ha compiute tante: dalla scrittura (cronaca, prosa, poesia) all’editoria (preziose pubblicazioni a tiratura limitata), dai reading (nei pub e nei luoghi più disparati) all’ideazione (traversando tutti i passaggi sino alla “confezione” e distribuzione) di una rivista (Il Bardo) tutt’oggi (nonostante tutto e tutti) attiva a destare (prima) e mantenere viva (adesso) l’attenzione sul territorio… Imprese per la cui realizzazione c’è voluta un’immane fatica, con spendita di tempo e sacrifici personali, spesso sul punto di ritrovarsi da solo, che soltanto un’indomabile passione ha potuto sostenere.” (Vito Antonio Conte)
“Sono figure superstiti quelle che guardano se stesse in questa poesia di Maurizio Leo che sfilaccia il Novecento e s’insinua nei sotterranei di questo secolo nuovo, di questo nuovo millennio. I paesaggi sono pozzanghere. Le creature immobili. Le storie contratte. Il lessico essenziale, strizzato come straccio, sorvegliato come se volesse, potesse sottrarsi, sfuggire alla trama, addirittura al pensiero. Ogni poesia può essere l’ultima, diceva Bodini. Le parole s’ammutinano. Maurizio va oltre. Molto oltre. Non pensa, non dice che ogni poesia può essere l’ultima. Pensa e dice che è l’ultima, inesorabilmente.” (Antonio Errico)
Maurizio Leo (Lecce, 25 luglio 1959) vive a Copertino coltivando le sue grandi passioni: la scrittura, la poesia e la cultura locale, con una preferenza non latente per la Beat Generation, l'America e luoghi del Nord come Irlanda, Scozia e Germania. Autore di 11 pubblicazioni di poesia, Nel Luglio 2014 ha ricevuto il premio Millenium a ''L'Olio della Poesia'' di Serrano, anno nel quale fu premiato anche il noto cantante Vinicio Capossela
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