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mercoledì 12 novembre 2025

Il Tabù Infranto: Kuleba archivia la "vittoria" e svela la Realpolitik - ecco cosa ne penso

 Le parole del ministro degli Esteri ucraino non sono un cedimento, ma la dolorosa ammissione di uno stallo che logora da mesi. L'Occidente è avvisato: la fase del negoziato è iniziata, e sarà brutale.

È un suono assordante, quello del silenzio che segue la rottura di un tabù. E Dmytro Kuleba, il capo della diplomazia di Kyiv e volto della resistenza ucraina nei salotti internazionali, quel tabù lo ha appena mandato in frantumi.

"Né Mosca né Kyiv possono vincere".

Rileggetelo. Non lo sta dicendo un analista neutrale da una torre d'avorio ginevrina; lo sta dicendoforse stremato, forse solo disperatamente pragmatico—lo stesso uomo che per quasi tre anni (siamo ormai a novembre 2025) ha giustamente difeso la narrativa della vittoria totale come unica opzione moralmente e strategicamente accettabile.

Le parole di Kuleba, riportate oggi, non sono un lapsus. Sono un epitaffio. Sono l'epitaffio sull'illusione che questa guerra di logoramento potesse finire con una parata trionfale sulla Piazza Rossa o con la resa incondizionata di Kyiv. È il brutale ingresso della Realpolitik in un conflitto finora dominato dalla retorica dell'eroismo e della giustizia assoluta.

Non fraintendiamo: Kuleba non sta parlando di resa. Sta parlando di realtà. La realtà di un fronte cementificato, di risorse che scarseggiano (da entrambe le parti) e di alleati occidentali la cui attenzione inizia a vacillare, distratti da altre crisi e dalla stanchezza interna.

Ma è sulla seconda parte della sua dichiarazione che si gioca la vera, dolorosa partita del futuro: "entrambi dovranno fare concessioni".

Eccola, la parola chiave. La parola che fino a ieri era sinonimo di tradimento: concessioni.

Qui, l'analisi deve farsi critica. Perché se Kuleba ha avuto il coraggio di svelare il re, ora dobbiamo chiederci di cosa sia fatto questo re nudo. Di quali "concessioni" stiamo parlando?

Le "concessioni" di Mosca sono forse il ritiro da territori che ha occupato illegalmente? Questa non è una concessione, è il ripristino del diritto internazionale.

Le "concessioni" di Kyiv, quindi, quali sarebbero? La Crimea? Il Donbass? La neutralità perpetua iscritta nella Costituzione? Kuleba, da navigato diplomatico, lancia il sasso e osserva i cerchi nell'acqua. Sa benissimo che l'asimmetria morale è totale: l'aggressore e l'aggredito non possono fare "concessioni" sullo stesso piano.

Eppure, lo dice. E lo dice perché il suo vero messaggio non è (solo) per Mosca. È per Washington, per Berlino, per Bruxelles. È un avvertimento crudo: se non potete o non volete darci gli strumenti per la vittoria militare totale, allora dovete sostenerci politicamente ed economicamente in un negoziato che sarà lungo, sporco e che richiederà di ingoiare rospi amarissimi.

Le parole di Kuleba segnano ufficialmente la fine della fase eroica del conflitto e l'inizio di quella diplomatica. Che, spesso, è altrettanto sanguinosa, anche se il sangue non scorre nelle trincee ma sulle mappe geografiche e sui trattati. Kuleba ha appena ammesso che per Kyiv il tempo dell'eroismo deve, per forza di cose, lasciare spazio al tempo del compromesso. Un compromesso che, inevitabilmente, avrà il sapore dell'ingiustizia. (Stefano Donno)




Salvia in pastella. Ricetta facile.

Il cimitero delle macchine di Sergio La Chiusa (Miraggi)

 Giocando con le regole del patto tra narratore, personaggio e lettore, La Chiusa prende un’esistenza fittizia e anodina, per quanto emblematica, un personaggio da romanzo – Ulisse Orsini – e ci invita a osservarlo da vicino: un soggetto improduttivo, in esubero, ossessionato dalla propria sensazione di illegittimità. Uno che ha perso il lavoro e si rintana in casa, riducendosi a sgattaiolare sul pianerottolo per non incontrare i rispettabili condomini. Lo colloca in una metropoli nei primi anni Duemila, riconoscibile eppure fantastica, un cantiere interminato, coerente solo nella propria vocazione di «città della moda e degli eventi»; e lo segue nella sua tragicomica odissea urbana, attraverso paradossali ambulatori e ospedali simili a penitenziari, per vie ridotte a scarni residui dello sfruttamento economico, finché giunge – in mutande e con una valigia piena di biancheria – in una discarica dell’hinterland. Qui, nel cimitero delle macchine, tra i reietti accampati in mezzo a rottami e carcasse d’auto, Ulisse conosce Lazzaro Lanza, un imbianchino con aspirazioni messianiche, che lo trascina nelle azioni del suo movimento rivoluzionario (e nei suoi lavori di tinteggiatura). Il sardonico avvicendarsi di sipari architettato dall’autore rivela tutta l’assurdità del mondo contemporaneo e registra l’inesausto stato di tensione tra l’insostenibilità del reale e la fuga nell’immaginazione. Una tensione che ingabbia Ulisse e gli altri personaggi del romanzo, facendone le nostre grottesche controfigure.

Proposto da Giuseppe Lupo al Premio Strega 2025 con la seguente motivazione:
«Il romanzo di Sergio La Chiusa è un potente atto d’amore nei confronti della scrittura come interpretazione del mondo, oggetto da modellare secondo le curve di un monologo interiore, flusso di una coscienza definitivamente smarrita. Protagonista della storia è un personaggio che si fa chiamare Ulisse (nome che strizza l’occhio all’altro Ulisse che aveva inaugurato il Novecento percorrendo le strade di Dublino) e veste i panni di un io vagabondo alla cui voce l’autore affida il racconto di una disincantata postmodernità. Siamo in un’epoca indefinibile e la città di Milano, un tempo frenetica e produttiva capitale morale del Paese, ha perduto l’immagine scintillante della moda per riscoprirsi simile a un immenso cantiere in cui non si costruisce più niente e dove si può solo incontrare la disperazione degli ultimi, i poveri, gli invisibili, i rimossi, quelli che sperimentano il risveglio di un’alba senza futuro. L’approccio apocalittico, la prosa labirintica e canzonatoria, la materia narrata fanno di questo libro un romanzo originale, controverso, corrosivo, disperatamente profetico.»





TOP E FLOP | Il meglio e il peggio della serie A dopo l'11° giornata

Oltre il Telo della Realtà: Perché il Doctor Strange è il Pilastro Mistico della Marvel

 
















Da un freddo tavolo operatorio alla difesa di dimensioni inconcepibili, la traiettoria di Stephen Strange non è solo una storia di origini: è l'atto di nascita dell'intero lato mistico dell'Universo Marvel. Per noi appassionati di lungo corso, Strange non è solo "lo stregone"; è il custode, il filosofo e il chirurgo della realtà stessa.

Quando Stan Lee e, soprattutto, l'inimitabile Steve Ditko evocarono il Dottore in Strange Tales #110 (1963), non stavano solo creando un altro eroe. Stavano spalancando una porta su un "Ditkoverso" di psichedelia, dimensioni astratte e orrori cosmici che ha definito il misticismo Marvel per decenni.


L'Architetto della Magia: L'Origine

Prima di lanciare incantesimi, Stephen Strange era l'incarnazione dell'arroganza scientifica. Un neurochirurgo brillante, venerato e incredibilmente egocentrico, la cui vita era definita dalle sue mani. Mani che, ironicamente, un catastrofico incidente d'auto ha reso inutili, distruggendo la sua carriera e il suo ego.

La sua caduta è stata totale. Diventato un reietto in cerca di una cura miracolosa, ha sperperato la sua fortuna inseguendo ogni speranza, fino a raggiungere l'Himalaya. Lì, in cerca di guarigione fisica, ha trovato qualcosa di infinitamente più grande: l'Antico.

Questo è il cuore della storia di Strange: la transizione dall'arroganza della conoscenza (sapere scientifico) all'umiltà della saggezza (comprensione mistica). Per salvare se stesso, ha dovuto prima smettere di pensare solo a se stesso, scegliendo di difendere l'Antico dal suo discepolo traditore, il Barone Mordo. In quell'atto di sacrificio, Strange ha trovato il suo vero scopo e ha iniziato il suo addestramento per diventare il Maestro delle Arti Mistiche.

Il Repertorio dello Stregone Supremo

Dimenticate i conigli dal cilindro. Il potere di Strange è concettuale, cosmico e spesso terrificante. Non si tratta solo di "raggi magici"; la sua è la magia dell'invocazione, del patto e della pura forza di volontà.

  • Il Maestro delle Arti Mistiche: Strange attinge potere da innumerevoli fonti. Invoca entità extradimensionali per alimentare i suoi incantesimi, pronunciando nomi che fanno tremare le fondamenta della realtà: "Per le Bande Cremisi di Cyttorak!", "Per l'Occhio Onniveggente di Agamotto!", "Per gli Osti di Hoggoth!".

  • Proiezione Astrale: La sua capacità di separare la sua forma spirituale da quella fisica gli permette di viaggiare attraverso le dimensioni, combattere su piani di esistenza diversi e operare al di fuori delle leggi fisiche.

  • Conoscenza Arcana: Il vero potere di Strange risiede nella sua mente. La sua conoscenza di incantesimi, contro-incantesimi e della struttura del multiverso è la sua arma più grande.

Naturalmente, non sarebbe un eroe Marvel senza il suo equipaggiamento iconico:

  1. L'Occhio di Agamotto: Non una gemma del tempo (quella è una semplificazione cinematografica). Nei fumetti, è un amuleto di verità. Il suo "terzo occhio" mistico squarcia illusioni, rivela il vero e funge da potente scudo contro la magia oscura.

  2. La Cappa della Levitazione: Più di un semplice mantello che vola. La Cappa è un artefatto senziente, incredibilmente resistente e fedele compagno di Strange, capace di agire di propria iniziativa per difenderlo o bloccare i nemici.

  3. Il Libro dei Vishanti: L'antitesi del Darkhold. Questo tomo contiene ogni incantesimo di magia bianca e difensiva conosciuto. È la "Bibbia" dello Stregone Supremo, una fonte di conoscenza pura e benevola.


La Solitudine del Custode

Essere lo Stregone Supremo non è un titolo onorifico; è un fardello. È il compito di un singolo individuo di essere la prima e ultima linea di difesa della Terra contro minacce mistiche.

Questa posizione lo isola. Mentre i Vendicatori combattono robot e alieni, Strange combatte concetti. I suoi nemici non vogliono conquistare New York; vogliono consumare la realtà.

  • Dormammu: Il signore della Dimensione Oscura, un'entità tirannica di puro potere mistico e zio della sua più grande amata, Clea. La loro battaglia è eterna.

  • Barone Mordo: L'eterno rivale. Uno stregone brillante consumato dall'invidia, che crede che il titolo di Stregone Supremo gli spettasse di diritto.

  • Nightmare: L'incubo letterale. Il signore della Dimensione del Sogno, che si nutre della paura dell'umanità.

  • Shuma-Gorath: Un orrore lovecraftiano, un cancro interdimensionale di puro caos tentacolare.

Questa galleria di nemici dimostra che le battaglie di Strange non si vincono quasi mai con la forza bruta. Si vincono con l'astuzia, il sacrificio e l'accettazione che a volte "vincere" significa solo riuscire a pareggiare. Famosa è la sua prima "vittoria" contro Dormammu, ottenuta non con un pugno, ma costringendolo a un patto per salvare i propri sudditi.

Il Fulcro del Multiverso

Con il passare dei decenni, Strange si è evoluto. Da difensore della Terra, è diventato un giocatore chiave negli eventi cosmici. È stato un membro fondatore (e il più anomalo) dei Difensori, un "non-team" di solitari che includeva Hulk, Namor e Silver Surfer.

Più di recente, è stato una figura centrale negli Illuminati, un consiglio segreto dei più grandi eroi della Marvel. E ora, più che mai, è il punto di riferimento per tutto ciò che riguarda il Multiverso. È lui che naviga le incursioni, che comprende il costo della manipolazione temporale e che paga il prezzo magico per le azioni degli altri eroi.

Stephen Strange è il prezzo. È l'uomo che ha sacrificato il suo ego, la sua carriera e la sua normalità per proteggere una realtà che spesso nemmeno si accorge di essere in pericolo. È il chirurgo che, non potendo più salvare vite, ha scelto di salvare l'esistenza stessa

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martedì 11 novembre 2025

Il Monito di Mattarella e il Cimitero degli Elefanti: Difendere l'ONU o Rassegnarsi al 1945? - ecco cosa ne penso

 Ci sono discorsi che servono all'agenda e discorsi che servono alla Storia. Quello pronunciato da Sergio Mattarella alle Nazioni Unite di Vienna appartiene, per intenzioni e gravità, alla seconda categoria. Eppure, ascoltando il Presidente, non si può fare a meno di percepire uno stridore tragico tra l'altezza del monito e la sordità colpevole dei destinatari.

Mattarella, con la sobrietà istituzionale che gli è propria ma con una fermezza che non ammette repliche, ha usato l'aggettivo "inaccettabile" per definire le "allusioni all'impiego di armi di distruzione di massa". Ha guardato l'abisso della nuova (e vecchia) geopolitica – Ucraina, Medio Oriente, Africa – e ha difeso l'unica cosa che abbiamo per non caderci dentro: l'architettura multilaterale.

Ma è qui che l'analisi, doverosa, deve farsi critica. Il Capo dello Stato ha esortato a "rafforzare" e "non demolire" il sistema di disarmo, difendendo le Nazioni Unite come strumento "insostituibile" che sarebbe "irresponsabile indebolire".

La domanda che un osservatore disincantato deve porre è: quale ONU stiamo difendendo?

Il Presidente stesso, subito dopo, ha fornito la risposta, puntando il dito contro la paralisi strutturale dell'organizzazione. La critica al Consiglio di Sicurezza, la cui composizione e i cui "poteri in capo ai membri permanenti" (leggi: il diritto di veto) "riflettono il mondo del 1945", non è un dettaglio tecnico. È il cuore del problema.

È un paradosso quasi beffardo. Mattarella difende l'ONU dalla sua stessa impotenza, causata da coloro che ne detengono le chiavi. Le "inaccettabili allusioni" all'uso del nucleare non provengono forse, direttamente o indirettamente, proprio da membri permanenti di quel Consiglio di Sicurezza nato nel 1945?

Il discorso del Quirinale, dunque, non è solo una difesa del multilateralismo. È un atto d'accusa, elegante ma spietato, contro chi quel multilateralismo lo ha svuotato dall'interno, tenendolo in ostaggio per ottant'anni. Si chiede di sostenere l'ONU, ma l'ONU è ostaggio dei veti incrociati di chi oggi flirta con l'escalation atomica.

Quando Mattarella invoca la riforma di Guterres come "un passo nella giusta direzione", sta di fatto dicendo che la direzione attuale è quella del fallimento. E quando giustamente lega la Costituzione italiana ai valori della Carta di San Francisco, ci ricorda che quei valori sono oggi traditi in primis da chi dovrebbe garantirli.

Persino l'emozionante e pertinente richiamo alla Convenzione di Palermo e alla memoria di Falcone e Borsellino – uomini che sconfissero una mafia "tracotante" che "si riteneva capace di sfidare lo Stato" – suona come un avvertimento. Quegli eroi vinsero perché lo Stato decise di agire e riformare sé stesso, creando nuovi strumenti (come il metodo del sequestro dei beni).

Oggi, le potenze che paralizzano l'ONU si ritengono, proprio come la mafia di allora, "capaci di sfidare" l'ordine internazionale. Il monito di Mattarella è chiaro: se l'ONU non trova la forza di riformare i meccanismi del 1945, la sua difesa appassionata rischia di diventare il nostalgico epitaffio su un nobile progetto fallito. (Stefano Donno)




3I/ATLAS HA ACCESO I PROPULSORI? Il caso che divide la comunità scientifica

Mistero al profumo di cannella di R.L. Killmore (Newton Compton)

 

















Dopo una rottura umiliante e con il cuore a pezzi, Nia cerca rifugio nella quiete della sua città natale, Cinnamon Falls, dove intende rimuginare in pace sulla sua vita incasinata. Al suo arrivo, tutti sono in fermento per l’annuale Festa d’autunno, un evento che attira visitatori da ogni dove, pronti a divertirsi con il tradizionale gioco del morso alla mela, l’intaglio delle zucche, spettacolari fuochi d’artificio e l’attesa incoronazione del Re e della Regina del paese. Ma, a pochi giorni dall’apertura, una scoperta scioccante sconvolge l’atmosfera di festa: un corpo viene ritrovato nel piccolo ristorante locale, accanto a un biglietto con su scritto: Chi sarà la prossima vittima? Nia decide di indagare e unisce le forze con i residenti di Cinnamon Falls, incluso il suo alto, moro e affascinante ex fidanzato del liceo, Jesse, che non ha mai del tutto dimenticato... Riusciranno a risolvere il caso prima che venga ucciso qualcun altro?

L'Occhio dell'Universo Marvel: Chi è Uatu, l'Osservatore?

Più di un semplice narratore, Uatu è la coscienza cosmica che ha infranto il suo stesso giuramento per amore dell'umanità.

Se c'è una figura che incarna la vastità e la storia segreta dell'Universo Marvel, questa è Uatu. Per decenni, la sua iconica figura calva, avvolta in una toga, che scruta gli eventi dalla sua casa nella Zona Blu della Luna, è stata un segnale inequivocabile per i lettori: sta per accadere qualcosa di monumentale.

Ma chi è veramente Uatu? E perché, tra tutte le entità cosmiche, è diventato così fondamentale per la mitologia Marvel?


1. Il Giuramento Infranto: Le Origini degli Osservatori

Per capire Uatu, bisogna prima capire la sua razza. Gli Osservatori sono tra le specie più antiche e intellettualmente avanzate dell'universo. Milioni di anni fa, il loro leader, Ikor, propose di condividere la loro conoscenza con specie meno evolute per accelerare il loro progresso.

Scelsero il pianeta Prosilicus. Diedero loro l'energia atomica.

I Prosilicani, non ancora maturi moralmente per tale potere, lo usarono per autodistruggersi in una guerra nucleare.

Devastati da questo "peccato originale", gli Osservatori fecero un giuramento solenne: da quel momento in poi, avrebbero solo osservato. Avrebbero catalogato la nascita e la morte delle stelle, l'ascesa e la caduta delle civiltà, ma non sarebbero mai, in nessun caso, intervenuti.

A Uatu fu assegnato un settore relativamente insignificante: il sistema solare terrestre.

2. Il "Problema" Umano

Il problema, per Uatu, fu proprio l'umanità. Assegnato a un pianeta di creature caotiche, autodistruttive ma piene di un potenziale eroico senza pari, Uatu iniziò a fare qualcosa che nessun Osservatore dovrebbe fare: iniziò a provare empatia.

La sua prima apparizione, in Fantastic Four #13 (1963) di Stan Lee e Jack Kirby, stabilì immediatamente questo conflitto. I Fantastici Quattro lo scoprirono sulla Luna e lui, per proteggere il suo segreto, fu costretto a interagire con loro.

Da quel momento, il giuramento di Uatu ha iniziato a vacillare.

3. Le Intervenzioni: L'Osservatore che non sapeva tacere

Il ruolo di Uatu non è quello di un eroe, ma di un testimone. Tuttavia, la sua debolezza per la Terra lo ha trasformato nel peggior Osservatore di tutti i tempi e, forse, nel personaggio cosmico più umano.

Il suo fallimento più famoso e importante è, senza dubbio, "La Trilogia di Galactus" (Fantastic Four #48-50).

Quando il Divoratore di Mondi, Galactus, arrivò per consumare la Terra, Uatu non si limitò a guardare. Tentò di nascondere il pianeta. Fallito quello, si palesò ai Fantastici Quattro. E quando anche quello non bastò, Uatu infranse palesemente il suo giuramento: mandò la Torcia Umana attraverso la galassia per recuperare l'unica arma in grado di fermare Galactus, il Nullificatore Assoluto, direttamente dalla nave del Divoratore.

Uatu non ha combattuto Galactus. Ma ha dato agli eroi i mezzi per farlo.

Questo schema si è ripetuto:

  • Ha cercato di avvertire la Terra dell'arrivo dell'Over-Mind.

  • Ha testimoniato (e difeso Reed Richards) durante il "Processo di Galactus", sostenendo che Reed aveva salvato una forza fondamentale dell'universo.

  • Ha combattuto, tramite campioni, contro altri Osservatori rinnegati.

Ogni sua apparizione segnalava che la posta in gioco non era locale, ma cosmica.

4. Il Custode del Multiverso: "What If...?"

Per il grande pubblico, il ruolo più riconoscibile di Uatu è quello di narratore della storica serie "What If...?" (E se...?).

Questo non era un ruolo secondario; era l'essenza del suo personaggio. Da lì, Uatu osservava non solo la nostra realtà (Terra-616), ma tutte le realtà possibili. Ci mostrava cosa sarebbe successo se Spider-Man si fosse unito ai F4, se Capitan America non fosse stato congelato, se Jane Foster avesse trovato il martello di Thor.

Era la nostra guida attraverso il Multiverso, il bibliotecario delle infinite possibilità, che ci ricordava costantemente il fragile equilibrio del destino.

5. L'Eredità di un Peccato Originale

La natura interventista di Uatu non è passata inosservata. È stato più volte processato e punito dai suoi simili per le sue violazioni. Ma la sua fine più drammatica è arrivata nel 2014, nell'evento "Original Sin" (Peccato Originale).

Uatu viene brutalmente assassinato. I suoi occhi, che hanno visto tutto (ogni segreto, ogni peccato nascosto degli eroi e dei cattivi), vengono cavati. L'omicidio di Uatu scatena una crisi nell'universo Marvel, poiché i suoi segreti vengono rilasciati, cambiando per sempre le vite di personaggi come Thor, Spider-Man e Nick Fury (che si rivelerà essere il suo assassino).

Come per molti personaggi dei fumetti, la morte non è stata la fine. Uatu è tornato, prima come un'entità ibrida e distante ("The Unseen"), e più recentemente ripristinato alla sua forma classica, giusto in tempo per assistere alle nuove grandi crisi cosmiche.

Perché Uatu è Fondamentale

Uatu l'Osservatore non è un supereroe. È qualcosa di più importante. È il surrogato del lettore a livello cosmico.

Rappresenta il dilemma morale fondamentale: è giusto restare a guardare di fronte all'ingiustizia, anche se l'intervento è proibito? Uatu ha scelto. Ha scelto l'umanità, con tutti i suoi difetti, piuttosto che la fredda perfezione del suo giuramento.

Quando vedete Uatu apparire all'orizzonte, sappiate che la storia che state leggendo non riguarda solo una battaglia. Riguarda il destino stesso dell'Universo Marvel. E lui sarà lì, a testimoniare. E, se siamo fortunati, a inclinare leggermente la bilancia




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lunedì 10 novembre 2025

Un nuovo corpo enigmatico scoperto tra 3I/Atlas e la Terra — cometa, sonda o qualcosa di più?

Magnum, P.I. 10 curiosità che forse non conosci !

CINQUE RIOTS TARDOMODERNISTI DI IVAN POZZONI

 Commento di Marika Famà sul tardomodernismo letterario

Mi piace il tuo stile, e il tuo progetto, ma il fatto che piaccia a me è molto relativo perché ritengo che non tutti riusciranno a capire. Non so se ti sei accorto che anche dentro questo mezzo la gente non riesce a leggere ciò che supera le tre righe e che non esistono più le metafore perché tutto viene decifrato alla lettera. Comunque a me piace.

 

PROVA, PROVA, PROVA, BREVITAS

 

Il tardomodernismo mi obbliga a non essere breve

ti verso 2/3 di redbull e 1/3 di vodka, 3/3 vodka e taurina,

con la massima attenzione, psicotropa, leggi i miei versi sotto la neve

sudore, freddo, sudore, freddo, mi cedi il controllo della tua neurina.

 

I miei versi attaccano come GdF e magistratura

controlla l’attacco della tua capigliatura,

col regalo, a tutti i cojoni, della legge Bacchelli

la mia arte ti trasforma, in rasta, senza capelli.

 

Nonostante la mia fama si sia accreciuta

rimango, senza remora, il solito hijo de puta.

 

 

LA MASNADA DI KUBLA KHAN

 

Nell’universale universo di stasera il solito cazzaro lirico/elegiaco,

senza intuire lontanamente il senso dei miei trattati di sociologia dell’arte

nella lettura di un testo teoretico sei finisci a cadere nell’egomaniaco

non distingui tra elenchi e citazioni, a bloccare la tua ipofisi c’è un fermacarte.

 

Lo sconosciuto metronomo mi accusa di scrivere «rime telefonate»,

smetto di leggere il commento, non c’è in Italia chi riesca a avvicinarsi alla mia rima funambolica,

tutti nascosti, dietro una lira al metro o un metro alla lira, arrivano max al ritmo delle baciate

del culo di critici e autori XX, senza raggiunger la mia frequenza neanche con l’uso di una parabolica,

mi accingo a leggere i suoi testi, una marea di orfismi e stro...banalità che nemmeno Morfeo

occorre la morfina, se non vuoi andare in coma, ha il ruolo di comparsa in un cameo

nel film Ciobar La fabbrica di cioccolato, il terzo Umpa Lumpa, a destra, di Willy Wonka,

ha l’originalità, In WWF,  del mitico Ultimate Warrior travestito da Tatanka.

 

Poi, investigando sull’identità dell’Innominato, mi accorgo che negli anni del famoso bridge

era nel direttivo di una mezza rivista CZ, LAM, implorava i miei frammenti Jekyll/Hyde

come Voce un’eroina, e io eroe dei due mondi, concedevo i testi minori con le mie rime Skype,

venduto a Crocetti, col nucleo Kubla Khan o sono ignoranti o si riferiscono alla novità di Coleridge,

Хубилай хаан non scriveva in tetrametri e trimetri giambici, avendo uno stile Brullo,

non ci arriverebbe nemmeno Giuliano, non ha l’eccellenza stilistica di un trullo,

oh, nascono come voci (da 1/2 volume in bibliografia) con l’animo fuori dal coro

e li ritrovi tutti, a saltare e urlare e commentare, come i mongoli dell’Orda d’Oro.

 

 

OGNI LIMITE HA UNA PAZIENZA

 

G'ho un mal in del cul, stanotte, a torso nudo, dipinto di vernice rossa (come la Gisella di Guareschi),

finito l’azzurro dei guerrieri britanni, ogni limite ha una pazienza, non tollero la sociocrazia

che condanna, sfotte, bullizza, senza argomentazione, Democrazia dell’Amplifon, sine rischi,

il leader neofascista Antonio Gallardo è condannato dalla sua obesità, siamo in regime d’acrobazia

è ciccione e sostiene che l’immigrato ci ruba il cibo, argomentazione habermas/apeliana,

e centinaia e centinaia e centinaia di stronzi a ridondare, con like, come cammelli in una carovana

mi è venuta voglia di tirare fuori il busto di Mussolini di mio nonno e di ritornare neo-fascista,

fascio in fasce, chi la capisce è bravo, Griso, la limitiamo questa catena neo-consumistica fordista?

 

La sociocrazia tollera che un fallito minacci una donna, coi cojoni, senza nessun coro di scorno

la mia milizia NSEAE hijacking attende autorizzazione e si organizza a levarselo di torno,

la sociocrazia tollera che una bellissima donna desideri sparire, creando continue paranoie DCA

Иван Поцони, sociopatico, distrugge ogni suo blocco invadendo le sue crisi come un parà,

la sociocrazia difende Babbazzi, uno scribacchino dell’85 con tre romanzi ghostwriters,

non riesce a mantenersi come artista, milioni in Italia, e non accetta l’offerta di McDonald’s,

di lavare i cessi, o sei mestierante dell’arte o trovati un mestiere, o scrivi su Atelier,

non scrivere, marketing, che un loft a Milano costa troppo, se non hai steso la Chanson de Roland.

 

Rivendico, con forza, la mia  «neurodiversità», artista AuDHD, da un lato autistico senza emozioni

organizzo i miei riots con metodo intransigente, dall’altro artista senza attenzione verso i cojoni

cento e cento e cento epigoni di epigoni di epigoni (epigoni Rubik), tutti con la medesima scrittura,

il medesimo stile, metro, mood, ritmo, lanciato dai seducenti dictatores del regime Mondazzoli,

acquisto il ruolo del leader dell’opposizione, circondato da bersaglieri ottuagenari, con agile andatura,

annettiamo, con voto forzato, le markette dello Stato Pontificio e arriviamo a Roma, città a priori,

come la Lega Nord, fuck-simile della mia Lega Lombarda, Dama, ti devi associare alle collette

del Kolektivne NSEAE, nell’attuale sono l’artista italiano con maggior dimensione delle tette.

 

 

SIAMO TUTTI HULK HOGAN

 

Siamo tutti Hulk Hogan, Terry Bollea, vittime del neo-consumismo statunitense

l’american dream tardomoderno di Bukowski, the new american dream,

ottenuto con doping, anfetamine e anabolizzanti, stare in piedi con suspense,

dieci operazioni causa botte ricevute, volando nel cielo con l’eleganza di uno Zeppelin,

morti di infarto da marketing come i due amici André e Randy Savage

siete veri artisti del XX, meglio del camorrista orfico (auto-dichiarato) Montale,

vittime della blague situationniste del nomadic capitalism scopo surmenage,

seguiti da milioni di individui affascinati dalla finzione clericale.

 

Ricordiamo tutti, >93.000 followers, Ungaretti e Quasimodo, 200, l’incontro con André the Giant

al Pontiac Silverdome di Detroit, maggiori presenze di Wojtyla, l’affluenza di un cafe-chantant

cosa si diranno Hulk Hogan e Ozzy nel Valhalla, Hogan va di big boot e leg drop

alza 250 kg e il mondo esplode, la praxis batte l’ermetismo egomaniaco di Ossi di seppia,

Ozzy si mangia la colomba della distrofia artistica della pace erotomanica da porno-shop,

entrambi vittime e oppositori del neo-consumismo, non ufficializzato dalla Bibbia,

performances create a tavolino, da agenzie e marketing, con massima reazione reazione all’ἐπίδειξις

che surclassano la mancanza di πάθος dell’arte scribacchina, votata alla disgrazia della ὕβρις.

 

Il neo-consumismo americano spinge all’eccesso nelle performances, sollevi Bundy,

sconfiggi Savage e Ultimate, le faide con Undertaker, come bere una bottiglia di brandy,

cambi federazioni, come un manager scafato, e non ti accorgi di essere flexibilityzzato,

i dollari arrivano a milioni, fai un serial in WWF e WWE e uno alla televisione d’apparato,

performances su performances su performances (performances Rubik), diventando invalido,

ti hanno asportato i nervi delle gambe e, finalmente ti sei fermato, accusando la struttura,

con una critica woke culture, o cancel culture, Hogan non era un intelle(a)ttuale valido,

consacrato a lui la nostra a-dolescenza, con il successo internazionale abbiamo segnalato una rottura.

 

C’è un mini-critico, sconosciuto, che nel 2025, mi accusa di fare rime telefonate

con le offerte TIM e Omnitel ogni lirico non è in grado di fare scopate e baciate

dream/Zeppelin, Savage/surmenage, leg drop/porno-shop, nella mediocre Italia nessuno ci riesce,

funziona la rima sole/cuore/amore, nelle centinaia di asini che abusano di una scrittura che non esce

dal canon, cave canon!, del modernismo novecentesco dell’epigonismo cucchiano

serve un butt-plug estetico ad allenare, con le sciocchezze seduttive elegiache, i muscoli dell’ano.

 

  

IL POETA PROSSENETA

 

Dopo vent’anni di spiegazione - come base il diritto oggettivo- non c’è verso

che l’artista intenda che non ha nessun diritto fondamentale ad essere retribuito,

al di fuori che ottenga un contratto di lavoro con un editore, cosa rara in tempo avverso

e c’è chi, asino di Galantara, sostiene, in nome del versoliberismo una necroeditoria in cortocircuito

lamentandosi, da mestierante, che oggetto del suo duro lavoro non sia adeguatamente remunerato

l’arte di consumo è merce, io vendo la mia merce all’editore che ricava miliardi sul mercato.

 

Peccato. Il contadino coltiva un cavolo, oggetto di consumo, merce che espone su una bancarella

acquistata o affittata al mercato ortofrutta, non vende e chiede risarcimento all’azienda di servizi

che affitta o vende bancarelle, grazie al cavolo, scontando il rischio del suo fallimento alla scarsella

del CEO dell’azienda di intermediazione tra domanda e offerta, dotato di una decina di orifizi,

tu scrivi un libro, oggetto di consumo, merce, che esponi in una collana di un microeditore

che, con l’ipertrofia del volume dei volumi stampati ogni 10 minuti, dovrebbe vendere il tuo cavolo

di libro (secondo reports statistici chiunque vende max 1 copia/mese) condannato all’inceneritore

assumendosi il rischio del tuo fallimento, non essendo Camilleri o Faletti, come se fosse un broccolo.

Mestierante, non esiste una norma che obblighi un editore, associazione o azienda di servizio,

a chiudere un contratto di edizione tra autore ed ente, tutto sta all’attività di negoziazione

tra contadino e imprenditore, che è in grado di imporre un contratto di servizi senza nessun vizio

chiedendo una contribuzione, equa, ai costi di lavorazione, son finiti i tempi di Pantalone

l’editore spinge la tua merce con marketing e markette, se nessuno acquista ti attacchi

se crei un best seller coi bonus milionari sulle vendite ti compri una Jaguar con lo schermo tv

non capisco le tre carte del rischio di impresa, contrattualizzare a scatola chiusa è da allocchi,

la merce è tua, l’editore intermedia, il cliente attenziona o snobba (99%), il cretino sei tu.




 

Il Sospiro di Washington. L'Ennesima Tregua "Armata" che non Salva la Politica USA - ecco cosa ne penso

Washington tira un sospiro di sollievo. L'America (e il mondo con essa) scansa, ancora una volta, l'imbarazzante baratro dello shutdown. Il Senato, con un sussulto di apparente responsabilità istituzionale, ha partorito l'accordo bipartisan. Un testo "ponte", una Continuing Resolution che sposta la crisi di qualche settimana, forse di qualche mese.


Applausi in aula, strette di mano tra i leader di maggioranza e opposizione, dichiarazioni sollevate dalla Casa Bianca. Ma non lasciamoci ingannare da questa ennesima recita del "buon senso ritrovato". Quello a cui abbiamo assistito non è un trionfo della politica. È la certificazione della sua cronica disfunzionalità.

Non si tratta di governare. Si tratta di sopravvivere.

Il Congresso americano, un tempo motore legislativo del mondo libero, è ridotto a vivere alla giornata. L'accordo raggiunto in extremis al Senato – probabilmente un testo "pulito", privo di quegli aiuti internazionali (vedi Ucraina o Israele) o di quelle riforme sulla sicurezza interna che tanto dividono – non risolve un solo problema strutturale. Rimanda, semplicemente, l'esecuzione.

È il trionfo della "politica della toppa".

Il vero dramma non è lo shutdown evitato oggi, ma la certezza matematica che se ne presenterà uno identico tra poche settimane. La superpotenza globale non riesce a programmare il proprio bilancio federale. È tenuta in ostaggio non tanto da legittime differenze ideologiche, quanto dalla "tirannia delle minoranze" estremiste, in particolare nell'ala destra della Camera.

Il Senato, con la sua tradizione di maggiore ponderazione, può anche costruire ponti, ma la palla passa ora a una Camera dei Rappresentanti che assomiglia più a un'arena balcanizzata che a un'assemblea legislativa. Lì, lo Speaker di turno – chiunque esso sia – governa non con una maggioranza, ma con un pugno di voti che possono essere ritirati in qualsiasi momento da un manipolo di falchi.

Questo accordo bipartisan al Senato, dunque, serve solo a prendere tempo. È ossigeno a breve termine per un paziente in terapia intensiva.

La critica non va solo alla destra oltranzista, che usa la tattica della "terra bruciata" come strumento di visibilità mediatica. Va anche a una leadership democratica e repubblicana moderata che ha rinunciato a qualsiasi visione a lungo termine, accontentandosi di evitare il disastro immediato.

Festeggiare per aver evitato (ancora) di chiudere i parchi nazionali e di mandare a casa i dipendenti federali senza stipendio è il minimo sindacale, non un successo politico. È come celebrare un pilota perché è riuscito a non far precipitare l'aereo dopo aver passato l'intero volo a gestire avarie auto-inflitte.

Mentre il mondo affronta sfide epocali, Washington si paralizza sul come pagare i propri conti. L'accordo di oggi non è una vittoria. È solo un altro rinvio, l'ennesima dimostrazione di stanchezza di un impero incapace di gestire la propria ingestibile complessità.

(Stefano Donno)