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giovedì 19 giugno 2025
"Opera" di Dario Argento: Un Capolavoro Maledetto tra Sangue, Corvi e Sfortuna
Se c’è un film che incarna il caos sublime del cinema di Dario Argento, quello è Opera (1987), un thriller psicologico che intreccia arte, ossessione e una scia di sangue degna di un melodramma. Come un amico che ti racconta una storia inquietante davanti a un caffè, ti porto nel mondo di questo cult, tra la sua trama angosciante, la regia visionaria e quella presunta maledizione che sembra perseguitarlo ancora oggi. Preparati: non è solo un film, è un’esperienza che ti si attacca addosso.
Una Trama che Ti Inchioda agli Occhi
Immagina di essere Betty, una giovane soprano con il sogno di sfondare. All’improvviso, ti capita l’occasione della vita: sostituire la diva di una messa in scena del Macbeth di Verdi. Ma c’è un problema: quell’opera, nel mondo del teatro, è considerata maledetta. E, credimi, Opera ti fa credere che la sfortuna sia più reale di quanto pensi. Dalla prima rappresentazione, il destino di Betty si trasforma in un incubo. Una maschera viene uccisa, il suo fidanzato viene massacrato davanti ai suoi occhi – costretta a guardare con aghi che le tengono le palpebre aperte, in una delle scene più disturbanti del cinema – e la morte continua a inseguirla come un’ombra. La costumista, l’agente, chiunque le sia vicino: nessuno è al sicuro.
Il colpo di scena? Il killer è un commissario di polizia, un uomo ossessionato da Betty, che ripete il passato morboso che lo legava a sua madre. La sequenza clou, con 140 corvi liberati in teatro che attaccano il colpevole cavandogli un occhio, è puro Argento: grottesca, teatrale, indimenticabile. Ma il film non si ferma qui. Il killer rapisce Betty, si dà fuoco, scompare… per poi tornare, perché in un film di Argento il male non muore mai davvero. Betty, però, non è solo una vittima: con astuzia, riesce a fermarlo, consegnandolo (forse) alla giustizia. È una protagonista che cresce, che lotta, e questo la rende più umana di molte scream queen del genere.
La Maledizione del Macbeth: Realtà o Suggestione?
Opera non è solo un film sulla sfortuna, sembra esserne impregnato. Sul set accadono cose che farebbero rabbrividire anche i meno superstiziosi. Durante la famosa scena dei corvi – che, a proposito, ha richiesto 140 volatili, di cui solo 60 recuperati, con gli altri che chissà dove sono finiti – il caos regnava sovrano. Ma non è tutto: una persona morì durante la produzione, e vari incidenti alimentarono la convinzione di Argento che la maledizione del Macbeth fosse reale. Come spettatore, non puoi fare a meno di chiederti: è solo una coincidenza o c’è qualcosa di più? Argento, con il suo amore per il mistero, lascia che sia tu a decidere.
Perché Opera è un Cult
Se ami il cinema che non ti lascia respirare, Opera è per te. La regia di Argento è un’ode al barocco: inquadrature vertiginose, colori saturi, una colonna sonora che spazia da Verdi al metal e che ti martella il cuore. La scena degli aghi è un pugno nello stomaco, ma è anche un esempio perfetto di come Argento usi la violenza non solo per scioccare, ma per esplorare il voyeurismo e il controllo. E poi c’è l’atmosfera: il teatro, con i suoi corridoi bui e i sipari rossi, diventa un personaggio a sé, un labirinto dove ogni angolo nasconde una minaccia.
Eppure, Opera non è perfetto. Alcuni dialoghi sono rigidi, e la trama a volte si perde nel suo stesso eccesso. Ma è proprio questo a renderlo così affascinante: è un film che non ha paura di esagerare, di essere troppo. È Argento al suo meglio, che ti invita a un’opera dove la bellezza e l’orrore danzano insieme.
Un Film per Chi Ama il Brivido
Se non hai ancora visto Opera, ti consiglio di guardarlo a luci spente, magari con un bicchiere di vino per calmare i nervi. È un film per chi ama i thriller psicologici, ma anche per chi vuole immergersi in un mondo dove l’arte diventa ossessione e la sfortuna sembra reale. E se sei un fan di Argento, beh, probabilmente lo consideri già uno dei suoi capolavori, insieme a Suspiria e Profondo Rosso
mercoledì 18 giugno 2025
La Zona Morta: il sacrificio di Johnny Smith e l’eredità di un capolavoro
Immaginate di svegliarvi dopo cinque anni di coma, il mondo che conoscevate stravolto, e scoprire di avere un dono che vi permette di vedere il futuro. Ma questo dono non è una benedizione: è una condanna che vi spinge verso un destino tragico. È questa la premessa de La Zona Morta (The Dead Zone), il film del 1983 diretto da David Cronenberg e tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King. Una storia che mescola dramma, thriller psicologico e un pizzico di soprannaturale, con un protagonista, Johnny Smith, che incarna il peso di una responsabilità più grande di lui.
Una storia umana, prima di tutto
Johnny Smith, interpretato da un Christopher Walken al suo apice, è un giovane insegnante la cui vita viene spezzata da un incidente stradale. Quando si risveglia dal coma, il mondo è andato avanti senza di lui: la sua fidanzata Sarah (Brooke Adams) si è sposata con un altro, i suoi genitori sono in rovina, e lui stesso è fragile, fisicamente e mentalmente. Ma il coma gli ha lasciato qualcosa di più: toccando una persona o un oggetto, Johnny può vedere frammenti del loro futuro o passato. È un potere che lo rende un eroe riluttante, capace di salvare vite – come quella di una bambina intrappolata in un incendio o di un ragazzo destinato ad annegare – ma che lo consuma, fisicamente e psicologicamente.
La forza del film sta nel modo in cui Cronenberg, noto per il suo body horror, si concentra qui sull’umanità del protagonista. Johnny non è un supereroe: è un uomo spezzato, che lotta con il senso di perdita e il peso di un dono che non ha chiesto. Walken, con il suo sguardo tormentato e la sua voce spezzata, rende Johnny un personaggio che ti entra dentro. Ogni visione è un colpo al suo corpo e alla sua anima, e il pubblico non può fare a meno di soffrire con lui.
Da eroe a martire
La trama prende una svolta oscura quando Johnny, stringendo la mano a Greg Stillson (un Martin Sheen in stato di grazia), un candidato alla presidenza carismatico ma pericoloso, ha una visione apocalittica: Stillson, una volta eletto, scatenerà una guerra nucleare. È qui che La Zona Morta si eleva da thriller a parabola morale. Johnny si trova di fronte a un dilemma etico: può un uomo giustificare un assassinio per prevenire un disastro? E se nessuno gli crede, qual è il prezzo della sua azione?
Senza spoilerare troppo per chi non ha visto il film, dirò solo che il climax è straziante. Johnny sceglie di agire, ma il suo sacrificio ha un costo altissimo. La scena finale, con la sua mistura di tragedia e speranza, è un pugno nello stomaco che rimane con te per giorni. Cronenberg non offre risposte facili, e questo rende il film così potente: ti costringe a chiederti cosa avresti fatto al posto di Johnny.
Il tocco di Cronenberg e le curiosità dietro le quinte
David Cronenberg porta al film il suo stile unico, anche se più trattenuto rispetto a opere come Videodrome o Scanners. Qui, il “mostro” non è un’esplosione di carne, ma la mente di Johnny, intrappolata tra visioni e responsabilità. La regia è sobria, con una fotografia fredda che riflette l’isolamento del protagonista, e una tensione che cresce senza bisogno di salti sulla sedia.
E poi ci sono le curiosità che rendono La Zona Morta un film ancora più affascinante. Ad esempio, Cronenberg dovette rigirare una scena di un incendio perché vi si vedeva un pupazzo di E.T. che si scioglieva – un cameo accidentale che fece infuriare la Universal, pronta a fare causa. Oppure il fatto che Martin Sheen, qui un politico senza scrupoli, sarebbe diventato anni dopo il presidente ideale in The West Wing. E non dimentichiamo Christopher Walken: prima dell’incidente, Johnny legge ai suoi studenti Il mistero di Sleepy Hollow, e sedici anni dopo Walken interpreterà il Cavaliere Senza Testa nel film di Tim Burton. Coincidenze? Forse, ma aggiungono un tocco di magia al dietro le quinte.
C’è anche un cameo curioso: il fotografo che scatta le foto decisive contro Stillson è Ramon Estevez, figlio di Martin Sheen. Un dettaglio che sembra quasi un omaggio familiare in un film che parla di legami spezzati e ritrovati.
Perché guardarlo oggi?
La Zona Morta è un film che non invecchia. La sua esplorazione di temi come il sacrificio, il destino e il potere della scelta è universale. In un’epoca in cui la politica sembra sempre più polarizzata e le figure carismatiche possono nascondere pericoli, la storia di Stillson e Johnny risuona ancora. E poi c’è il cuore del film: un uomo comune costretto a fare qualcosa di straordinario, pagando il prezzo più alto.
Se amate i thriller psicologici, le storie di Stephen King o semplicemente un grande cinema che vi fa pensare, La Zona Morta è un must. Preparatevi a un viaggio emotivo che vi lascerà con più domande che risposte – e forse, come me, con una voglia di rivederlo subito dopo i titoli di coda
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