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martedì 29 aprile 2025

1997: Fuga da New York – L’antieroe che ha riscritto il cinema d’azione

 Immaginate un mondo dove il crimine ha soffocato ogni speranza, dove il governo, con un colpo di spietata genialità, trasforma Manhattan in una prigione a cielo aperto: un’isola recintata da un muro invalicabile, sorvegliata da elicotteri pronti a sparare, con i ponti minati e l’elettricità tagliata. È il 1997, ma non quello che conosciamo: è il futuro distopico di 1997: Fuga da New York (Escape from New York), il capolavoro di John Carpenter che, nel 1981, ha ridefinito il concetto di antieroe e influenzato generazioni di cineasti. Questo non è solo un film d’azione: è un viaggio cinico, ironico e dannatamente cool in un’America che ha smesso di credere in sé stessa.

Una premessa folle e geniale
La trama è tanto semplice quanto audace. Siamo nel 1997, e l’Air Force One, con a bordo il Presidente degli Stati Uniti, si schianta nel cuore della prigione di Manhattan dopo un dirottamento. Il Presidente, portatore di una proposta di pace cruciale per il destino del mondo, finisce nelle grinfie del Duca, un carismatico signore del crimine che domina l’isola. Con sole 24 ore prima di un summit internazionale, il governo non ha scelta: deve mandare qualcuno a recuperarlo. Ma chi può sopravvivere in un inferno del genere?
Entra in scena Snake Plissken, un nome che è diventato leggenda. Interpretato da un Kurt Russell al massimo del carisma, Snake è un ex eroe di guerra diventato criminale, un lupo solitario con un occhio bendato, una sigaretta perennemente in bocca e un sarcasmo che taglia come un rasoio. Non è il classico eroe: Snake non vuole salvare il mondo, non crede nei buoni sentimenti e, francamente, non gliene frega niente del Presidente. Accetta la missione solo perché gli iniettano un veleno che lo ucciderà in 24 ore se non torna con il “pacchetto”. È il tipo di motivazione che solo un antieroe come lui può rendere epica.
Kurt Russell e l’icona di Snake
Parliamo di Kurt Russell, perché questo film è lui. Con la sua giacca di pelle, il ghigno beffardo e quel modo di muoversi come se il mondo gli dovesse qualcosa, Russell dà vita a un personaggio che è impossibile non amare. Snake Plissken (o “Iena” nella bizzarra traduzione italiana, perché qualcuno ha pensato che “Serpente” fosse troppo banale) è l’antitesi degli eroi muscolosi degli anni ’80. Non è Rambo, non è Schwarzenegger: è un bastardo egoista, ma con un codice morale tutto suo. La sua ironia, mescolata a un cinismo disilluso, lo rende un precursore di personaggi come Deadpool o John Wick, ma con un’anima più sporca, più anni ’70.
Russell non era la prima scelta per il ruolo. Charles Bronson, Clint Eastwood e Tommy Lee Jones rifiutarono la parte, e oggi è difficile immaginarli al posto di Kurt. Bronson sarebbe stato troppo stoico, Eastwood troppo western, Jones troppo serioso. Russell, invece, porta un’energia unica: è minaccioso, ma anche autoironico, come quando risponde “Chiamami Snake” con un misto di fastidio e strafottenza. È il tipo di performance che trasforma un buon film in un cult.
L’atmosfera: un mix di noir, punk e distopia
John Carpenter, reduce dal successo di Halloween, dimostra con Fuga da New York di essere un maestro nel costruire mondi. L’atmosfera del film è cupa, quasi soffocante, con una New York ridotta a un ammasso di rovine illuminate da fuochi improvvisati e neon tremolanti. La fotografia, con i suoi toni scuri e le ombre profonde, richiama Blade Runner (uscito un anno dopo), ma l’ironia di Snake e il ritmo del film evitano che diventi troppo opprimente. La colonna sonora, composta dallo stesso Carpenter, è un trionfo di synth minimalisti che pulsano come il battito di un cuore sotto stress, perfetti per accompagnare le peregrinazioni di Snake tra vicoli infestati e bande di criminali.
E poi c’è Manhattan, trasformata in un personaggio a sé. Carpenter la immagina come un microcosmo anarchico, dove i prigionieri si auto-organizzano in bande, ognuna con le sue regole e i suoi leader. Il Duca, interpretato da un magnetico Isaac Hayes, è il re di questo caos, un villain che non ha bisogno di urlare per incutere timore. La prigione non è solo un’ambientazione: è una metafora di un’America che ha perso la bussola, dove la libertà è un’illusione e il potere si conquista con la forza.
Dettagli che fanno la differenza
Fuga da New York è pieno di chicche che lo rendono un film da rivedere più volte. La voce narrante iniziale, per esempio, è di Jamie Lee Curtis, un piccolo cameo che lega il film al precedente Halloween. Oppure la scena in cui un elicottero mostra un’immagine 3D di New York: nel 1981, era un effetto speciale rivoluzionario, anche se oggi sappiamo che si trattava di un modellino dipinto con vernice fluorescente. Questi dettagli, insieme alla regia essenziale ma efficace di Carpenter, danno al film un fascino artigianale che manca a molte produzioni moderne.
Un’eredità intramontabile
Fuga da New York non è solo un film: è un pezzo di cultura pop. Snake Plissken ha ispirato innumerevoli personaggi, dai videogiochi (Metal Gear Solid deve molto a lui) ai fumetti, fino ai moderni antieroi del cinema. Il film ha avuto un seguito, Fuga da Los Angeles (1996), che però non regge il confronto: troppo caricaturale, troppo consapevole della sua natura di sequel. Ma l’originale rimane intoccabile, un mix perfetto di azione, umorismo e distopia che non invecchia mai.
Se non l’avete mai visto, fatevi un favore: recuperatelo. E se lo conoscete già, riguardatelo, perché Snake Plissken merita sempre un’altra chance.



lunedì 28 aprile 2025

TOP GUN (1986) - un jet cinematografico che ha definito un’epoca

Se c’è un film che incarna l’essenza degli anni ’80, con il suo mix di adrenalina, machismo e una colonna sonora che ancora oggi ti fa venir voglia di saltare su una moto e sfrecciare al tramonto, quel film è Top Gun. Uscito nel 1986, diretto da Tony Scott e con un giovanissimo Tom Cruise al timone, Top Gun non è solo un film: è un fenomeno culturale, un’esplosione di energia pop che ha ridefinito il blockbuster e consacrato Cruise come icona di Hollywood. Ma cosa rende questo film così irresistibile, nonostante i suoi difetti? Preparatevi, perché stiamo per decollare.

La trama: adrenalina e cuore a 900 chilometri orari
Al centro della storia c’è Pete “Maverick” Mitchell, un tenente della Marina statunitense con un ego grande quanto un F-14 Tomcat e un talento per pilotare che lo rende un unicum. Maverick viene ammesso alla prestigiosa scuola di élite Top Gun, dove i migliori piloti si sfidano per diventare i numeri uno. Qui, tra simulazioni di combattimenti aerei al cardiopalma e rivalità con colleghi come il freddo e calcolato Iceman (Val Kilmer), Maverick deve dimostrare di essere più di un semplice ribelle con un bel sorriso. Ma non è solo una questione di curve aeree e missili: c’è spazio per una tragedia che colpisce il suo migliore amico Goose (Anthony Edwards), un amore travolgente con l’astrofisica Charlie (Kelly McGillis) e, ciliegina sulla torta, un duello finale contro i temuti MiG-28 sovietici che sembra uscito da un sogno patriottico.
La trama, a guardarla con gli occhi di oggi, è semplice, quasi archetipica: un eroe talentuoso ma impulsivo affronta sfide personali e professionali per trovare il suo posto nel mondo. Eppure, Top Gun non si limita a raccontare una storia. È un’esperienza viscerale, un videoclip di due ore che ti trascina in un vortice di emozioni, dalla tensione dei dogfight all’eccitazione di una storia d’amore che, pur non essendo perfetta, ha il fascino di un’epoca.
Un inno agli anni ’80: Reagan, rock e ribellione
Parliamo chiaro: Top Gun non è solo un film sui piloti. È un prodotto del suo tempo, un inno alla politica muscolare di Ronald Reagan e alla fiducia incrollabile dell’America come superpotenza. I sovietici, rappresentati come ombre minacciose dietro i loro MiG, sono il nemico perfetto: senza volto, cattivi per definizione. Questo ha fatto storcere il naso a molti critici, che hanno visto nel film una propaganda sfacciata. Eppure, c’è qualcosa di disarmante nella sua onestà. Top Gun non finge di essere un trattato geopolitico; è un blockbuster che vuole farti esultare, non riflettere. E ci riesce alla grande.
Aggiungete a questo una colonna sonora che è pura dinamite: “Danger Zone” di Kenny Loggins è praticamente un personaggio a sé, mentre “Take My Breath Away” dei Berlin dà alla storia d’amore quel tocco di malinconia romantica che ti si appiccica addosso. Ogni scena sembra costruita per essere iconica, dalle silhouette degli aerei contro il tramonto alle sequenze di volo che, anche con la CGI di oggi, restano spettacolari per la loro fisicità.
Tom Cruise: la nascita di una stella
Se Top Gun è un razzo, Tom Cruise è il suo motore. All’epoca poco più che ventenne, Cruise porta sullo schermo un carisma magnetico che ti fa tifare per Maverick anche quando è insopportabile. È il ribelle che tutti vorremmo essere: sicuro di sé, un po’ arrogante, ma con un cuore che batte forte sotto la giacca di pelle. La sua performance, unita a quel sorriso che diventerà leggendario, lo ha trasformato in una superstar. E non dimentichiamo il cast di supporto: Val Kilmer, con il suo Iceman glaciale, è il contraltare perfetto, mentre Anthony Edwards dà a Goose una calore umano che rende la sua tragedia ancora più devastante.
Luci e ombre: perché Top Gun funziona (e dove zoppica)
Non tutto in Top Gun è perfetto. La storia d’amore tra Maverick e Charlie, per quanto iconica, manca di profondità: i due si innamorano più per esigenze di copione che per una vera chimica. Alcune scelte narrative, come la rappresentazione monodimensionale dei “cattivi”, possono sembrare datate. E sì, il film a volte sembra più un lungo spot per la Marina statunitense che un’opera d’arte. Ma onestamente? Questi difetti passano in secondo piano quando sei travolto dalla pura energia del film.
Tony Scott, con il suo stile visivo ipercinetico, trasforma ogni sequenza di volo in un balletto aereo. Le riprese, molte delle quali girate con veri jet, danno un senso di autenticità che ti fa sentire il vento in faccia. E poi c’è quel mix di umorismo, dramma e azione che tiene il ritmo sempre alto, senza mai annoiare.
Un’eredità che vola ancora alto
Con un incasso di oltre 344 milioni di dollari (una cifra enorme per l’epoca), Top Gun non è stato solo un successo commerciale, ma un fenomeno che ha influenzato la cultura pop per decenni. Ha ispirato videogiochi, parodie, e persino un sequel, Top Gun: Maverick (2022), che ha dimostrato quanto il mito di Maverick sia ancora vivo. Ma al di là dei numeri, il vero lascito di Top Gun è la sua capacità di farti sentire invincibile, anche solo per due ore.
Vale la pena guardarlo?
Se ami il cinema che ti fa battere il cuore, Top Gun è imperdibile. Non è un film perfetto, ma è un viaggio emozionante che cattura lo spirito di un’epoca e il talento di un Tom Cruise all’apice. È il tipo di film che ti fa venir voglia di indossare occhiali da sole, alzare il volume della stereo e sognare di volare. Quindi, accendi il motore, metti su “Danger Zone” e lasciati trasportare. Dopo tutto, come dice Maverick: “Sento il bisogno… il bisogno di velocità!” 🚀