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giovedì 3 aprile 2025

Val Kilmer ... non solo l'attore di Top Gun!

Il 1° aprile 2025, il mondo del cinema ha perso una delle sue stelle più brillanti e complesse: Val Kilmer ci ha lasciati a 65 anni, stroncato da una polmonite nella sua amata Los Angeles. La notizia, confermata dalla figlia Mercedes al New York Times, ha colpito come un fulmine fan e colleghi, riportando alla mente una carriera straordinaria, segnata da interpretazioni indimenticabili e da una vita personale tanto intensa quanto i personaggi che ha portato sullo schermo. Come appassionato di cinema, non posso fare a meno di provare un misto di tristezza e gratitudine mentre scrivo queste righe: tristezza per la perdita, gratitudine per tutto ciò che Kilmer ci ha regalato.
Nato il 31 dicembre 1959 a Los Angeles, Val Kilmer non era destinato a essere un attore qualunque. Figlio di un’infanzia segnata dal divorzio dei genitori e dalla tragica morte del fratello minore Wesley, annegato a 15 anni, Kilmer trovò nella recitazione un rifugio e una vocazione. Fu il più giovane studente mai ammesso alla Juilliard School, un dettaglio che già preannunciava la sua dedizione. I suoi esordi teatrali lo portarono a sfiorare il cinema con Francis Ford Coppola, che gli offrì un ruolo ne I ragazzi della 56ª strada (1983), rifiutato per fedeltà alla sua compagnia teatrale. Ma il grande schermo non avrebbe aspettato a lungo.
Il debutto cinematografico arrivò con Top Secret! (1984), una commedia demenziale che mostrò il suo lato ironico e versatile. Poi, nel 1986, Top Gun lo consacrò: il suo Tom "Iceman" Kazansky, freddo e carismatico rivale di Tom Cruise, divenne un’icona degli anni ’80. Ricordo ancora la prima volta che vidi quel film da adolescente: Iceman non era solo un antagonista, era un simbolo di controllo e fascino glaciale. Kilmer non amava quel ruolo all’inizio, ma lo trasformò in qualcosa di eterno.
Gli anni d’oro: da Morrison a Batman
Gli anni ’90 furono il suo apogeo. Nel 1991, Oliver Stone gli affidò il ruolo di Jim Morrison in The Doors, e Kilmer non si limitò a interpretarlo: lo divenne. Studiò ogni gesto, ogni nota, cantando con una voce così autentica da lasciare a bocca aperta persino i membri superstiti della band. Quel film è un viaggio psichedelico, e lui ne era il cuore pulsante. Poi arrivò Tombstone (1993), dove il suo Doc Holliday, malato ma letale, rubò la scena con quel mix di fragilità e sarcasmo. “I’m your huckleberry” è una battuta che ancora oggi mi dà i brividi.
E come dimenticare Batman Forever (1995)? Sostituire Michael Keaton non era facile, ma Kilmer portò un Bruce Wayne elegante e tormentato, anche se il costume rigido lo frustrava (lo raccontò nel documentario Val). Nonostante le critiche al film, Bob Kane, co-creatore di Batman, lo definì il suo interprete preferito. È un Batman che merita di essere rivalutato, con quel suo equilibrio tra statura eroica e vulnerabilità umana.
Kilmer non si è mai fermato a un solo genere. Ha brillato in Heat - La sfida (1995) come scagnozzo di De Niro, ha incantato in Il Santo (1997) con il suo trasformismo, e ha dato voce a Mosè ne Il principe d’Egitto (1998). Gli anni 2000 lo videro in progetti più piccoli, ma sempre intensi: da Wonderland (2003), dove interpretò un John Holmes decaduto, a Kiss Kiss Bang Bang (2005), un gioiello noir con Robert Downey Jr. Ogni ruolo era un’immersione totale, un segno della sua dedizione.
Poi, nel 2014, la diagnosi di cancro alla gola cambiò tutto. La chemioterapia e le tracheotomie gli tolsero la voce, ma non lo spirito. Il documentario Val (2021), narrato dal figlio Jack e presentato a Cannes, è un testamento commovente: lo vediamo lottare, riflettere sulla sua vita, dai successi ai rimpianti. E nel 2022, il ritorno in Top Gun: Maverick è stato un momento di pura emozione. Grazie all’intelligenza artificiale che ha ricreato la sua voce, Iceman ha salutato Maverick – e noi – in una scena che sa di addio. Tom Cruise, suo amico e sostenitore, lo volle a tutti i costi: un gesto che dice tutto.
Val Kilmer era un ribelle, un artista con un’anima da clown, come disse lui stesso. Ha vissuto una vita da rockstar del cinema, tra amori celebri (Cher, Cindy Crawford, Joanne Whalley, da cui ebbe Mercedes e Jack) e una reputazione di “difficile” sui set. Ma era anche un uomo sensibile, un cristiano scientista che cercava risposte profonde. La polmonite che lo ha portato via, dopo aver sconfitto il cancro, sembra quasi un’ingiustizia del destino.
Ci lascia un’eredità di film che hanno segnato epoche: Top Gun, The Doors, Tombstone, Batman Forever, Heat. Ma soprattutto ci lascia il ricordo di un attore che non recitava, viveva. Ogni volta che rivedrò Iceman sfidare Maverick o Morrison cantare “The End”, sentirò un nodo in gola. Grazie, Val, per averci fatto volare alto, per averci fatto sognare. Riposa in pace, leggenda.

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mercoledì 2 aprile 2025

Isabelle Huppert's funniest, scariest and most inspiring films I Venice Film Festival I Cartier

Batman Forever (10/10) Movie CLIP - I Have a Riddle for You (1995) HD

THE DOORS - Newly restored in 4K - Starring Val Kilmer

Top Gun: Maverick (2022) - Maverick & Iceman Scene | Movieclips

Provate a immaginare la scena: Donald Trump, seduto nello Studio Ovale, con una mappa del mondo davanti a sé, indica con decisione la Groenlandia e proclama ....

Provate a immaginare la scena: Donald Trump, seduto nello Studio Ovale, con una mappa del mondo davanti a sé, indica con decisione la Groenlandia e proclama: “Questa deve essere nostra”. Non è una battuta, né una trovata da reality show. Negli ultimi mesi, il presidente degli Stati Uniti ha riportato in auge un’idea che aveva già accennato durante il suo primo mandato: annettere la Groenlandia, un’enorme isola artica sotto la sovranità danese, ma strategicamente cruciale. Le sue ultime dichiarazioni, rilasciate a fine marzo 2025, hanno riacceso il dibattito internazionale, suscitando reazioni che vanno dallo sconcerto all’ironia, fino a una preoccupazione palpabile in Europa. Ma cosa c’è dietro questa ossessione? È solo una provocazione o un piano concreto? Proviamo a capirlo insieme, come se stessimo discutendo davanti a un caffè.
Partiamo dai fatti. Il 24 marzo 2025, Trump ha dichiarato: “La situazione in Groenlandia non può andare avanti così. La gente della Groenlandia ci sta chiedendo di intervenire”. Ha poi aggiunto, il 30 marzo, che gli Stati Uniti “otterranno la Groenlandia al 100%”, suggerendo che potrebbe esserci “una buona possibilità” di farlo senza usare la forza militare, anche se “non esclude nulla dal tavolo”. Parole che suonano come un mix di sicurezza presidenziale e ambiguità calcolata. Non è la prima volta che Trump tira fuori questa idea: già nel 2019 aveva proposto di “comprare” l’isola dalla Danimarca, scatenando la reazione stizzita della premier danese Mette Frederiksen, che definì l’idea “assurda”. Oggi, però, il tono è più assertivo, quasi ultimativo, e il contesto geopolitico è cambiato.
Perché proprio la Groenlandia? A prima vista, potrebbe sembrare un capriccio da tycoon che vuole espandere il suo “impero”. Ma se ci fermiamo a riflettere, i motivi emergono chiari come il ghiaccio artico. L’isola, con i suoi oltre 2 milioni di chilometri quadrati, è un tesoro strategico. È vicina al Polo Nord, una regione sempre più contesa a causa dello scioglimento dei ghiacci, che apre nuove rotte commerciali e accesso a risorse naturali come petrolio, gas e terre rare – materiali indispensabili per la tecnologia moderna. Trump stesso ha citato la “sicurezza nazionale” come priorità, sottolineando la presenza di navi russe e cinesi nelle acque vicine. Aggiungiamo che gli Stati Uniti già gestiscono la base militare di Pituffik (ex Thule), un avamposto chiave per la sorveglianza dell’Artico. Controllare l’intera isola significherebbe consolidare il dominio americano in una zona dove Russia e Cina stanno cercando di guadagnare terreno.
Eppure, non è solo una questione di strategia. C’è anche un aspetto economico. La Groenlandia è ricca di risorse minerarie – uranio, zinco, terre rare – che potrebbero ridurre la dipendenza degli USA dalla Cina, oggi leader in questo settore. Con il cambiamento climatico che rende queste risorse più accessibili, l’isola diventa una posta in gioco allettante. Trump, con il suo approccio transazionale alla politica internazionale, sembra vedere nella Groenlandia un “affare” da chiudere, un po’ come se stesse negoziando l’acquisto di un hotel di lusso.
Ma cosa ne pensano i diretti interessati? Qui la faccenda si complica. La premier danese Frederiksen ha ribadito che “la Groenlandia non è in vendita”, mentre il primo ministro groenlandese Múte Egede ha sottolineato che l’isola “appartiene al suo popolo”. Un sondaggio recente mostra che l’85% dei groenlandesi non vuole diventare parte degli Stati Uniti, e molti spingono per l’indipendenza dalla Danimarca, non per cambiare padrone. Trump sostiene che “la gente della Groenlandia ci sta chiamando”, ma non c’è alcuna evidenza concreta di questa presunta richiesta. Sembra più una narrazione costruita per giustificare le sue ambizioni.
Dal punto di vista europeo, le dichiarazioni di Trump sono un campanello d’allarme. La Danimarca, membro della NATO, si trova in una posizione delicata: da un lato deve mantenere l’alleanza con gli USA, dall’altro difendere la propria sovranità. Altri leader, come quelli di Francia e Germania, hanno criticato l’approccio “imperialista” di Trump, temendo che possa destabilizzare l’ordine internazionale. Persino l’ONU ha richiamato al rispetto dei confini sovrani. Eppure, il Regno Unito ha scelto una linea più morbida, con il ministro degli esteri David Lammy che ha evitato di condannare Trump, suggerendo che dietro ci siano “legittime preoccupazioni” sull’Artico.
E se Trump facesse sul serio? L’ipotesi di un’azione militare sembra remota – invadere un territorio NATO sarebbe un suicidio politico – ma la coercizione economica o diplomatica non è da escludere. Potrebbe esercitare pressioni sulla Danimarca o cercare di sfruttare il desiderio di indipendenza della Groenlandia per negoziare un accordo favorevole agli USA. Tuttavia, il rischio è alto: alienarsi gli alleati europei in un momento di tensioni globali con Russia e Cina non sarebbe una mossa saggia, nemmeno per un outsider come Trump.
In tutto questo, c’è anche un pizzico di teatralità. Trump ama il palcoscenico, e queste dichiarazioni potrebbero essere un modo per rafforzare la sua immagine di leader forte davanti alla sua base elettorale. “Make Greenland Great Again” potrebbe essere il prossimo slogan, un’eco del suo populismo che mescola nostalgia imperiale e pragmatismo economico. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo un oceano – letteralmente.
Personalmente, trovo affascinante questo mix di ambizione e provocazione. È come guardare una partita a scacchi dove un giocatore decide di rovesciare il tavolo per vincere. Funzionerà? Non lo so, ma di sicuro tiene il mondo con il fiato sospeso. E voi, cosa ne pensate? È una follia o una genialata? Scrivetelo nei commenti – sono curioso di sentire la vostra!