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giovedì 15 maggio 2025

Spot - TRIPPA SIMMENTHAL - 1978 🇮🇹 Raro! (HD)

"Predator": Quando Schwarzy e un Alieno Cacciatore Ridefinirono l’Action degli Anni ’80

 Immaginate una giungla messicana, umida, selvaggia, dove il ronzio degli insetti è interrotto solo dal crepitio delle mitragliatrici. Immaginate un gruppo di super-soldati, muscoli scolpiti e sigari in bocca, guidati da un Arnold Schwarzenegger al massimo del suo splendore anni ’80. Ora aggiungete un cacciatore alieno alto due metri, invisibile, con un arsenale futuristico e una passione per collezionare trofei umani come un serial killer intergalattico. Questo è Predator (1987), un film che non si limita a mescolare azione, fantascienza e horror, ma che prende il genere dei “super macho” e lo trasforma in un’epica selvaggia, condita da battute iconiche e un pizzico di autoironia. È il tipo di film che ti fa urlare “YEAH!” mentre ti chiedi come diavolo abbiano fatto a girarlo.

Una Missione Semplice, Un Incubo Alieno
La trama, diretta con mano ferma da John McTiernan (Die Hard), è tanto lineare quanto esplosiva. Il maggiore Dutch Schaefer (Schwarzenegger) e il suo team di élite vengono spediti nella giungla per salvare un politico rapito dai guerriglieri. Missione di routine per questi Rambo con steroidi, no? Sbagliato. I guerriglieri sono solo l’antipasto. Il vero problema è un’entità aliena, il Predator, un cacciatore che usa una tecnologia avanzata per mimetizzarsi, vedere il calore corporeo e disintegrare i nemici con missili al plasma. Questo mostro non combatte per sopravvivenza: caccia per sport, scuoiando le sue prede e appendendole come trofei. È il tipo di avversario che farebbe tremare anche il più tosto dei mercenari.
Il film brilla nel costruire tensione. All’inizio, i soldati sono invincibili, sparano battute come proiettili (“Non ho tempo per sanguinare!”) e fanno saltare in aria mezzo accampamento nemico. Ma quando il Predator entra in scena, l’atmosfera cambia. I membri del team iniziano a cadere uno a uno, e la giungla, già ostile, diventa un labirinto di morte. McTiernan usa il punto di vista del Predator – quella visione termica ormai iconica – per farci sentire braccati, impotenti. È un horror mascherato da film d’azione, e funziona dannatamente bene.
Dutch contro il Cacciatore: Cervello batte Tecnologia
Il cuore di Predator è lo scontro finale tra Dutch e il mostro. Dopo che il suo team è stato decimato, Dutch si ritrova solo, ricoperto di fango (che, per un colpo di fortuna, lo rende invisibile al visore termico dell’alieno). Qui il film compie un atto di genio: trasforma Schwarzy, l’incarnazione del superuomo, in un underdog. Niente più mitragliatori o esplosioni. Dutch si affida a trappole primitive – lance, lacci, massi – come un MacGyver della giungla. È una battaglia di astuzia contro forza bruta, di uomo contro macchina (o meglio, alieno). Quando finalmente vediamo il Predator senza maschera, con quel volto da incubo che sembra un granchio mutante, la posta in gioco è altissima.
La vittoria di Dutch non è solo fisica, ma simbolica. Le sue trappole rudimentali superano la tecnologia aliena, come a dire che l’istinto umano e l’ingegno possono battere anche il più avanzato degli avversari. È un messaggio che risuona ancora oggi, in un’epoca ossessionata dall’high-tech. E quando Dutch, esausto, urla “Che diavolo sei?!” al Predator morente, è impossibile non provare un brivido.
Un Cast di Futuri Governatori e Battute Mitiche
Predator non sarebbe lo stesso senza il suo cast di testosterone puro. Schwarzenegger è perfetto come Dutch, con quel mix di carisma, fisicità e vulnerabilità nascosta. Accanto a lui, Jesse Ventura (futuro governatore del Minnesota) ruba la scena come Blain, il tizio con il minigun che mastica tabacco e lancia perle come “Questo affare fa buchi perfetti!”. Carl Weathers, Apollo Creed di Rocky, porta cuore e ironia come Dillon, l’agente CIA con un segreto. È un gruppo di personaggi larger-than-life, ma il film non li prende mai troppo sul serio. Le battute – “Resta nei paraggi!” mentre Dutch trafigge un nemico, o “Se sanguina, possiamo ucciderlo” – sono volutamente esagerate, quasi una parodia dei film d’azione dell’epoca.
E poi c’è la curiosità dietro le quinte: il Predator originale era interpretato da Jean-Claude Van Damme, ma il costume era così ingombrante che lo abbandonò (e la produzione voleva qualcuno più imponente). Kevin Peter Hall, alto oltre due metri, prese il suo posto, dando vita a un’icona del cinema. Girare nella giungla messicana fu un inferno: insetti, fango, maltempo. Il cast ne uscì distrutto, ma quel caos traspare sullo schermo, rendendo ogni scena più autentica.
Perché Predator è Ancora un Classico
A quasi quarant’anni dall’uscita, Predator rimane un pilastro del cinema di genere. Ha dato il via a una saga (quattro film, più due crossover con Alien), ma il primo resta ineguagliato. È un mix perfetto di adrenalina, brividi e umorismo, con un villain che è diventato un’icona pop. Ma ciò che lo rende speciale è la sua capacità di prendersi in giro. Non è solo un film sui “macho”: è un film che ride dei macho, mostrando che anche i più duri possono essere vulnerabili.
E poi c’è quel conteggio dei morti: 69 umani, un Predator, uno scorpione e un cinghiale. È il tipo di dettaglio assurdo che ti fa amare questo film. Se non l’hai ancora visto, prendi una birra, spegni il cervello e preparati a urlare “Get to the chopper!”. Se lo conosci già, riguardalo: è come ritrovare un vecchio amico che non invecchia mai.



mercoledì 14 maggio 2025

TikTok e Fernanda Torres: os outros momentos

Spot - COIMBRA FERRERO - 1979 ❤️ (HD)

"Perché Piramide di Paura è il gioiello dimenticato degli anni '80 che ogni fan di Sherlock Holmes deve riscoprire"

Se pensi a Sherlock Holmes, probabilmente immagini un Benedict Cumberbatch in trench coat o un Robert Downey Jr. con quel ghigno sornione. Ma c’è un film, uscito nel 1985, che ha fatto qualcosa di audace e geniale: ha riportato indietro l’orologio, mostrandoci un Holmes adolescente, brillante, arrogante e vulnerabile, in un’avventura che mescola mistero, cuore e un pizzico di follia egiziana. Sto parlando di Piramide di Paura (Young Sherlock Holmes), un film che merita di essere riscoperto per il suo spirito avventuroso, il suo cast stellare e il suo posto unico nella storia del cinema. Preparati a un viaggio nella Londra vittoriana, tra cerbottane avvelenate, templi segreti e un giovane Watson che non è solo una spalla comica.
Un Holmes adolescente che cattura il cuore
Immagina un Sherlock Holmes non ancora detective leggendario, ma un ragazzo allampanato, con un’intelligenza tagliente come una lama e un ego che già sfiora la superbia. Nicholas Rowe dà vita a un Holmes che è tanto geniale quanto umano: è brillante nella scherma, suona il violino in modo orribile (scusate, vicini di stanza!) e si innamora della dolce Elizabeth, interpretata da una radiosa Sophie Ward. Accanto a lui, un John Watson (Alan Cox) impacciato e adorabile, che non è ancora il medico sicuro di sé ma un ragazzo che inciampa nei suoi stessi piedi. La loro chimica è il cuore pulsante del film: è l’inizio di un’amicizia epica, raccontata con un mix di umorismo e tenerezza che ti fa tifare per loro fin dalla prima scena.
Il film non si limita a mostrarci un giovane Holmes; ci racconta come è diventato quel Holmes. Il cappello da cacciatore? Un regalo del mentore Waxflatter. La pipa? Un dono natalizio di Watson, riciclata con affetto. Il cappotto? Un ricordo amaro del professor Rathe, che nasconde un segreto esplosivo. Ogni dettaglio dell’iconico look di Holmes ha un’origine, e questo tocco narrativo rende il film non solo un’avventura, ma una vera storia di formazione.
Un mistero che ti tiene incollato allo schermo
La trama di Piramide di Paura è un cocktail di mistero, horror e avventura che non dà tregua. Londra, 1870: la città è sconvolta da morti strane e apparenti suicidi. Un contabile si lancia da una finestra, un prete finisce sotto una carrozza, entrambi in preda a visioni terrificanti. Il colpevole? Un incappucciato che usa una cerbottana per sparare dardi allucinogeni. Quando il professor Waxflatter, mentore di Holmes, muore in circostanze simili, il giovane detective in erba si lancia in un’indagine che lo porterà a scoprire una setta egiziana nascosta nel cuore di Londra, dedita a sacrifici umani e vendette antiche.
La sceneggiatura di Chris Columbus (sì, quello di Harry Potter e Mamma, ho perso l’aereo) è un capolavoro di ritmo e colpi di scena. Non si tratta solo di risolvere un mistero: il film ti trascina in un tempio sotterraneo degno di Indiana Jones, con rituali inquietanti e una tensione che cresce fino a un finale mozzafiato. E quel twist finale, con il professor Rathe che si rivela essere qualcuno di molto più sinistro? Non spoilero, ma diciamo che i fan di Sherlock Holmes avranno un sussulto di gioia (o shock) nel vedere un certo nome apparire nei titoli di coda.
Un pioniere degli effetti speciali
Piramamide di Paura non è solo una storia ben raccontata: è anche un pezzo di storia del cinema. Prodotto dalla Amblin di Steven Spielberg e diretto da Barry Levinson, il film è stato il primo a utilizzare effetti speciali in CGI tridimensionale, creati dalla Industrial Light & Magic di George Lucas. Ricordi la scena della vetrata che prende vita, con un cavaliere che si anima e attacca? È stato un momento rivoluzionario per il 1985, un assaggio di quello che il cinema sarebbe diventato. Questi effetti, pur semplici rispetto agli standard odierni, hanno un fascino artigianale che rende il film ancora più speciale.
Perché è un film da riscoprire
Piramamide di Paura è un mix perfetto di nostalgia anni ’80, avventura alla Spielberg e omaggio a un’icona letteraria. Non è solo un prequel non ufficiale di Sherlock Holmes: è una lettera d’amore al potere dell’amicizia, della logica e del coraggio di affrontare l’ignoto. Il film non ha paura di essere dark – le allucinazioni indotte dai dardi sono davvero inquietanti – ma sa anche essere tenero, come nella scena in cui Watson, solitamente timoroso, trova il coraggio di combattere al fianco di Holmes.
E poi c’è quel “Elementare, Watson”, pronunciato ben quattro volte con un misto di arroganza e affetto che fa sorridere ogni volta. È un film che parla ai nerd della deduzione, agli amanti dell’avventura e a chiunque abbia mai sognato di essere un detective, anche solo per un giorno.
Un invito ai fan (e non solo)
Se sei un fan di Sherlock Holmes, Piramide di Paura è un must assoluto: è un viaggio alle origini del mito, con un Holmes che non è ancora l’eroe infallibile ma un ragazzo che impara a sue spese il costo dell’eroismo. Se ami i film degli anni ’80, troverai quel mix di magia, mistero e cuore che ha reso indimenticabili pellicole come I Goonies o Ritorno al futuro. E se cerchi solo una storia che ti tenga incollato allo schermo, beh, preparati a una corsa sfrenata tra templi egiziani e duelli sul ghiaccio.
Allora, cosa aspetti? Cerca Piramide di Paura in streaming (o rispolvera quel vecchio DVD, se sei un nostalgico come me). E dopo averlo visto, scrivimi nei commenti: qual è stata la tua scena preferita? Io punto sul momento in cui Watson dimostra di non essere solo “quello che prende appunti”. Elementare, no?