La genesi di un mito: Mick Dundee e l’Australia degli anni ’80
La storia di “Crocodile” Dundee nasce da un’idea tanto semplice quanto geniale: cosa succede quando un rude avventuriero australiano, abituato a combattere coccodrilli e a vivere in un villaggio sperduto, viene catapultato nella frenesia di New York? Paul Hogan, già una star in Australia grazie al suo show televisivo, scrive il soggetto ispirandosi a figure leggendarie del folklore aussie, come i bushmen e i cacciatori dell’outback. Mick Dundee è un personaggio larger-than-life: tamarro ma affascinante, rozzo ma saggio, con un’etica che sembra venire da un altro tempo. È l’emblema di un’Australia ancora selvaggia, lontana dagli stereotipi moderni di Sydney e delle sue spiagge.
Il film si apre con Sue Charlton (Linda Kozlowski), una giornalista americana in cerca di uno scoop. Durante un viaggio in Australia, si imbatte in Mick, che vive a Giringiro Creek, un puntino sulla mappa con “50 anime, forse meno”. Colpita dal suo carisma e dalle sue storie (tipo quella volta che un coccodrillo gli ha quasi staccato una gamba), Sue decide di portarlo a New York per un articolo sulla sua rivista. Da qui parte l’avventura, con Mick che affronta la metropoli con la stessa nonchalance con cui doma rettili. Il contrasto tra la sua semplicità e l’arroganza urbana è il cuore pulsante del film.
Un clash culturale che fa ridere e sognare
“Crocodile” Dundee funziona perché non si prende mai troppo sul serio. La sceneggiatura, firmata da Hogan insieme a Ken Shadie e John Cornell, è un susseguirsi di gag che giocano sul divario culturale. Mick, con il suo cappello di pelle, il gilet di coccodrillo e quel coltellaccio che sembra uscito da un film di Rambo, è un alieno a New York. Non capisce gli ascensori, scambia un bidet per una fontanella e, in una delle scene più iconiche, risponde a un tentativo di rapina con un “Questo è un coltello!” che è entrato nella storia del cinema. Eppure, la sua ingenuità è disarmante. Quando scopre l’idromassaggio o si ritrova a chiacchierare con un tassista, Mick non è mai ridicolo: è autentico.
Il film brilla anche nei momenti più sottili. Mick non è solo un “selvaggio” in un mondo civilizzato; è un uomo che vive secondo un codice morale semplice ma ferreo. Tratta tutti con rispetto, dai baristi ai senzatetto, e il suo charme conquista anche i newyorkesi più snob. Questo lo rende un eroe universale, capace di parlare tanto agli spettatori australiani, orgogliosi della loro identità, quanto a quelli americani, affascinati da un personaggio che sfida le loro convenzioni.
Una storia d’amore che scalda il cuore
Al centro di “Crocodile” Dundee c’è la storia d’amore tra Mick e Sue, che si sviluppa con una naturalezza rara per una commedia degli anni ’80. Linda Kozlowski, al suo debutto cinematografico, porta sullo schermo una Sue che è indipendente ma non fredda, curiosa ma non ingenua. La chimica con Hogan è palpabile, forse perché i due si innamorarono davvero durante le riprese (si sposarono nel 1990). La loro relazione non è solo un espediente narrativo: è il ponte tra due mondi. Quando Mick, inizialmente spaesato, comincia ad ambientarsi a New York, è Sue a guidarlo. E quando lei si ritrova a confrontarsi con i suoi pregiudizi, è Mick a insegnarle che la vera forza sta nella semplicità.
Il film evita i cliché romantici più stucchevoli. Non ci sono grandi dichiarazioni o gesti melodrammatici fino alla scena finale, che però arriva come una liberazione. Senza spoiler, diciamo solo che il finale nella metropolitana di New York è un momento di pura gioia cinematografica, con un tocco di caos che rispecchia perfettamente il tono del film.
Lo stile e l’atmosfera: un viaggio negli anni ’80
Dal punto di vista tecnico, “Crocodile” Dundee è un prodotto del suo tempo, ma invecchia sorprendentemente bene. La regia di Peter Faiman è funzionale, con una fotografia che esalta i paesaggi mozzafiato dell’outback australiano e il grigiore scintillante di New York. La colonna sonora, con il tema “Down Under” dei Men at Work, è un inno all’identità australiana, ma anche un earworm che ti resta in testa per giorni. Ogni volta che parte quel flauto, sei già lì con Mick, a bere una birra in un pub polveroso o a passeggiare tra i grattacieli.
Il film si permette anche qualche digressione cinefila. In una scena, mentre Mick si rilassa in hotel, sullo schermo passa Major Dundee di Sam Peckinpah, un western che sembra quasi un omaggio ironico al nome del protagonista. Non è un caso: il film gioca con l’idea di Mick come un cowboy moderno, un eroe fuori dal tempo che porta il suo “wild west” australiano nel cuore della modernità.
Un fenomeno globale e il suo lascito
“Crocodile” Dundee fu un successo stratosferico. Costato meno di 10 milioni di dollari, ne incassò oltre 320 in tutto il mondo, diventando il secondo film più visto del 1986 (dietro solo a Top Gun). In Australia, fu un fenomeno culturale, celebrando un’immagine di mascolinità che era al tempo stesso ironica e orgogliosa. Negli Stati Uniti, il titolo con le virgolette (“Crocodile” Dundee) fu una trovata di marketing per chiarire che no, non era un film su un coccodrillo parlante. E sì, questo la dice lunga sul pubblico dell’epoca.
Il film generò due sequel (Crocodile Dundee II nel 1988 e Crocodile Dundee in Los Angeles nel 2001), ma nessuno riuscì a replicare la magia dell’originale. Mick Dundee divenne un’icona, tanto che Paul Hogan fu nominato per un Golden Globe e il film ottenne una candidatura all’Oscar per la miglior sceneggiatura originale. Ancora oggi, il personaggio è sinonimo di Australia, tanto quanto i canguri o l’Opera House.
Perché guardarlo oggi?
In un’epoca di blockbuster ipercomplessi e narrazioni ciniche, “Crocodile” Dundee è un respiro d’aria fresca. È un film che ti ricorda il piacere di ridere senza malizia, di innamorarti senza complicazioni, di credere che un uomo con un coltello e un sorriso possa conquistare il mondo. È anche una riflessione sottile sulla globalizzazione: Mick non cambia per adattarsi a New York, ma porta New York a cambiare per lui. In un certo senso, è una lezione di autenticità.
Se amate le commedie romantiche con un pizzico di avventura, o se semplicemente volete viaggiare indietro nel tempo, “Crocodile” Dundee è una scelta perfetta. Mettetelo su, prendete una birra (o un succo, se siete tipi da Sue) e lasciatevi trasportare. E se qualcuno vi minaccia con un coltellino, beh, sapete cosa dire: “Questo non è un coltello… QUESTO è un coltello!”.