Donate

mercoledì 18 giugno 2025

Zoey Deutch Reveals How She Manifested Her Our Town Role, Talks Working with Clint Eastwood

La Zona Morta: il sacrificio di Johnny Smith e l’eredità di un capolavoro

Immaginate di svegliarvi dopo cinque anni di coma, il mondo che conoscevate stravolto, e scoprire di avere un dono che vi permette di vedere il futuro. Ma questo dono non è una benedizione: è una condanna che vi spinge verso un destino tragico. È questa la premessa de La Zona Morta (The Dead Zone), il film del 1983 diretto da David Cronenberg e tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King. Una storia che mescola dramma, thriller psicologico e un pizzico di soprannaturale, con un protagonista, Johnny Smith, che incarna il peso di una responsabilità più grande di lui.
Una storia umana, prima di tutto
Johnny Smith, interpretato da un Christopher Walken al suo apice, è un giovane insegnante la cui vita viene spezzata da un incidente stradale. Quando si risveglia dal coma, il mondo è andato avanti senza di lui: la sua fidanzata Sarah (Brooke Adams) si è sposata con un altro, i suoi genitori sono in rovina, e lui stesso è fragile, fisicamente e mentalmente. Ma il coma gli ha lasciato qualcosa di più: toccando una persona o un oggetto, Johnny può vedere frammenti del loro futuro o passato. È un potere che lo rende un eroe riluttante, capace di salvare vite – come quella di una bambina intrappolata in un incendio o di un ragazzo destinato ad annegare – ma che lo consuma, fisicamente e psicologicamente.
La forza del film sta nel modo in cui Cronenberg, noto per il suo body horror, si concentra qui sull’umanità del protagonista. Johnny non è un supereroe: è un uomo spezzato, che lotta con il senso di perdita e il peso di un dono che non ha chiesto. Walken, con il suo sguardo tormentato e la sua voce spezzata, rende Johnny un personaggio che ti entra dentro. Ogni visione è un colpo al suo corpo e alla sua anima, e il pubblico non può fare a meno di soffrire con lui.
Da eroe a martire
La trama prende una svolta oscura quando Johnny, stringendo la mano a Greg Stillson (un Martin Sheen in stato di grazia), un candidato alla presidenza carismatico ma pericoloso, ha una visione apocalittica: Stillson, una volta eletto, scatenerà una guerra nucleare. È qui che La Zona Morta si eleva da thriller a parabola morale. Johnny si trova di fronte a un dilemma etico: può un uomo giustificare un assassinio per prevenire un disastro? E se nessuno gli crede, qual è il prezzo della sua azione?
Senza spoilerare troppo per chi non ha visto il film, dirò solo che il climax è straziante. Johnny sceglie di agire, ma il suo sacrificio ha un costo altissimo. La scena finale, con la sua mistura di tragedia e speranza, è un pugno nello stomaco che rimane con te per giorni. Cronenberg non offre risposte facili, e questo rende il film così potente: ti costringe a chiederti cosa avresti fatto al posto di Johnny.
Il tocco di Cronenberg e le curiosità dietro le quinte
David Cronenberg porta al film il suo stile unico, anche se più trattenuto rispetto a opere come Videodrome o Scanners. Qui, il “mostro” non è un’esplosione di carne, ma la mente di Johnny, intrappolata tra visioni e responsabilità. La regia è sobria, con una fotografia fredda che riflette l’isolamento del protagonista, e una tensione che cresce senza bisogno di salti sulla sedia.
E poi ci sono le curiosità che rendono La Zona Morta un film ancora più affascinante. Ad esempio, Cronenberg dovette rigirare una scena di un incendio perché vi si vedeva un pupazzo di E.T. che si scioglieva – un cameo accidentale che fece infuriare la Universal, pronta a fare causa. Oppure il fatto che Martin Sheen, qui un politico senza scrupoli, sarebbe diventato anni dopo il presidente ideale in The West Wing. E non dimentichiamo Christopher Walken: prima dell’incidente, Johnny legge ai suoi studenti Il mistero di Sleepy Hollow, e sedici anni dopo Walken interpreterà il Cavaliere Senza Testa nel film di Tim Burton. Coincidenze? Forse, ma aggiungono un tocco di magia al dietro le quinte.
C’è anche un cameo curioso: il fotografo che scatta le foto decisive contro Stillson è Ramon Estevez, figlio di Martin Sheen. Un dettaglio che sembra quasi un omaggio familiare in un film che parla di legami spezzati e ritrovati.
Perché guardarlo oggi?
La Zona Morta è un film che non invecchia. La sua esplorazione di temi come il sacrificio, il destino e il potere della scelta è universale. In un’epoca in cui la politica sembra sempre più polarizzata e le figure carismatiche possono nascondere pericoli, la storia di Stillson e Johnny risuona ancora. E poi c’è il cuore del film: un uomo comune costretto a fare qualcosa di straordinario, pagando il prezzo più alto.
Se amate i thriller psicologici, le storie di Stephen King o semplicemente un grande cinema che vi fa pensare, La Zona Morta è un must. Preparatevi a un viaggio emotivo che vi lascerà con più domande che risposte – e forse, come me, con una voglia di rivederlo subito dopo i titoli di coda




Spot - MELEGATTI con FRANCA VALERI - Natale 1989🎄(HD)

Spot - AMERICAN EXPRESS con OLIVIERO TOSCANI - 1987 📸

martedì 17 giugno 2025

A Single Action Can Lead to Change and Transformation. | Marina Ponti | TEDxRoma

How a global movement started in a kitchen | Rebecca Prince-Ruiz | TEDxPerthSalon

L’Occhio del Gatto: Un Viaggio a quattro zampe nel Cuore Oscuro di Stephen King

Immaginate un gatto, un semplice micio dal pelo arruffato, che si muove come un filo conduttore tra storie di terrore, follia e redenzione. L’Occhio del Gatto (1985), diretto da Lewis Teague e scritto dal maestro dell’horror Stephen King, non è solo un film antologico, ma un esperimento cinematografico che intreccia tre racconti con un’energia weird, grottesca e profondamente umana. E il gatto, Generale, non è solo un testimone: è il cuore pulsante di questa narrazione, un eroe silenzioso che ci guida nei meandri della paura.

Un’antologia che sa di King
Tratto da due racconti di Night Shift (“Quitters, Inc.” e “The Ledge”) e da un soggetto originale scritto per il grande schermo, L’Occhio del Gatto è un film che cattura l’essenza di Stephen King: la capacità di trasformare il quotidiano in un incubo. Le tre storie, unite dal viaggio di Generale, sono come frammenti di un sogno inquietante, ognuna con un tono diverso ma accomunata da quel senso di minaccia che solo King sa evocare.
La prima storia, Quitters, Inc., è un pugno nello stomaco. Dick Morrison (James Woods, perfetto nel suo mix di arroganza e fragilità) è un fumatore incallito che si affida a una misteriosa clinica per smettere. Ma la Quitters, Inc. non è una spa rilassante: i suoi metodi sono sadici, quasi diabolici. Senza spoiler, diciamo che il film trasforma il vizio del fumo in un thriller psicologico al confine col surreale, con una critica velata alla società del controllo. È il segmento più teso, con Woods che regge la scena con un’intensità che ti fa quasi dimenticare di respirare.
Poi c’è The Ledge, un gioco al massacro che vede Johnny Norris (Robert Hays), un tennista costretto a una prova di coraggio estrema: camminare sul cornicione di un grattacielo per salvare se stesso e l’amante, moglie di un boss mafioso (Kenneth McMillan, viscido come pochi). Qui King gioca con la suspense pura, e il cornicione diventa una metafora della precarietà della vita. La tensione è palpabile, il vento sembra soffiare davvero, e il finale ribalta i ruoli in un modo che ti strappa un sorriso maligno. È il segmento più “fisico”, che ti tiene incollato allo schermo con il cuore in gola.
Infine, arriviamo al cuore del film: la storia di Amanda (una giovanissima Drew Barrymore, scelta da King in persona). Qui Generale, il gatto, diventa protagonista assoluto, chiamato telepaticamente dalla piccola per salvarla da un troll maligno che le ruba il respiro. Questo segmento è il più fiabesco, ma non per questo meno inquietante. Il troll, un pupazzo che spaventò davvero Drew durante le riprese (la sua reazione è autentica!), è un mostro che sembra uscito da un incubo infantile. La regia di Teague brilla nel bilanciare tenerezza e orrore, e il legame tra Amanda e Generale scalda il cuore, anche quando il terrore è dietro l’angolo.
Un gatto come narratore
Generale non è un semplice espediente narrativo. È il collante emotivo del film, un osservatore che attraversa le vite dei protagonisti con una saggezza quasi soprannaturale. King, amante degli animali, usa il gatto per ricordarci che anche nelle storie più oscure c’è spazio per la speranza. Ogni volta che Generale appare, con i suoi occhi luminosi e il suo passo felpato, sembra dirci: “Andrà tutto bene… forse”. È un tocco geniale che rende il film unico nel panorama delle antologie horror.
Easter egg e amore per King
Se sei un fan di Stephen King, L’Occhio del Gatto è una miniera di citazioni. Un sanbernardo che ricorda Cujo, un’auto con un adesivo che urla Christine, un personaggio che legge Pet Sematary o guarda La zona morta in TV: ogni dettaglio è un omaggio al Re dell’horror. Questi riferimenti non sono mai invadenti, ma strizzano l’occhio ai fan, come se King ci invitasse a giocare nel suo universo.
Perché guardarlo?
L’Occhio del Gatto non è perfetto. A volte il ritmo inciampa, e il tono dei tre segmenti è così diverso che potrebbe spiazzare chi cerca coerenza. Ma è proprio questa varietà a renderlo speciale: è un film che osa, che mescola satira sociale, suspense hitchcockiana e horror fiabesco. La regia di Teague è solida, la colonna sonora di Alan Silvestri dà un tocco di magia, e il cast (soprattutto Woods e Barrymore) è in gran forma.
Se ami Stephen King, questo film è una chicca che non puoi perderti. È meno famoso di It o Shining, ma ha un fascino tutto suo, come una storia raccontata davanti a un falò. E se hai un gatto, guardalo con lui: magari, come Generale, ha una missione segreta da compiere.