Atlanta, 1948. Le strade polverose, il caldo che appiccica la camicia alla pelle, e una vedova ebrea dal carattere impossibile, Daisy Werthan, che si ritrova senza il suo bene più prezioso: la libertà di guidare. Poi c’è Hoke Colburn, un autista di colore paziente e ironico, che entra nella sua vita quasi come un intruso, ma finisce per diventarne il pilastro. A spasso con Daisy (in originale Driving Miss Daisy) non è solo un film: è un piccolo gioiello che racconta come due persone, apparentemente agli antipodi, possano intrecciare le loro vite fino a creare un legame indistruttibile. E sullo sfondo? Un’America che cambia, tra segregazione razziale e barlumi di speranza.
Tratto da un’opera teatrale vincitrice del Pulitzer, il film diretto da Bruce Beresford nel 1989 è una di quelle storie che ti entrano dentro piano, senza fretta, proprio come il rapporto tra Daisy (Jessica Tandy) e Hoke (Morgan Freeman). All’inizio, lei è una donna burbera, orgogliosa, che non vuole ammettere di aver bisogno di aiuto. Lui, invece, è un uomo semplice, con un sorriso sornione e una pazienza che sembra infinita. Tra battibecchi e frecciatine – Daisy che lo accusa di tutto, Hoke che risponde con un’ironia disarmante – si dipana una relazione che evolve da un freddo “datore di lavoro-dipendente” a una profonda amicizia. È un crescendo emotivo che ti cattura, perché è reale: non ci sono grandi gesti eroici, ma piccoli momenti di umanità.
E poi c’è il contesto. Il film non sbatte in faccia il razzismo dell’epoca, ma lo mostra con tocchi sottili: un posto negato a tavola, un insulto velato, un’auto della polizia che scruta Hoke con sospetto. Eppure, in questo microcosmo di due persone, il pregiudizio si sgretola. Quando Hoke diventa cuoco, giardiniere e infine confidente di Daisy dopo la morte della governante, capisci che il loro legame va oltre le barriere sociali. Il finale, con lui che le tiene la mano a 94 anni mentre lei si spegne, è un pugno al cuore. Preparate i fazzoletti, perché è impossibile restare indifferenti.
Jessica Tandy è magistrale: la sua Daisy è un mix di fragilità nascosta e testardaggine che ti fa venir voglia di abbracciarla e rimproverarla allo stesso tempo. Ha vinto l’Oscar come miglior attrice, e se lo merita tutto. Morgan Freeman, invece, è la vera anima del film. Con quel suo modo di fare calmo e profondo, dà a Hoke una dignità che buca lo schermo. Non avergli dato l’Oscar è un’ingiustizia che ancora brucia – sì, si è rifatto anni dopo con Million Dollar Baby, ma qui era già un gigante, anche se Hollywood non lo aveva ancora capito.
Con 4 Oscar (miglior film, attrice protagonista, sceneggiatura adattata e trucco), A spasso con Daisy è un classico in stile grande Hollywood: elegante, ben scritto, con una regia che lascia spazio agli attori e una storia che ti scalda il cuore. Non è un film d’azione o di effetti speciali, ma di quelli che ti fanno riflettere su cosa significhi davvero connettersi con qualcuno. È un viaggio lento, come una passeggiata in macchina su una strada di campagna, ma alla fine ti rendi conto che ne è valsa la pena.
Se amate il cinema che parla di vita , di emozioni e di storia, questo è un must.
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