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sabato 24 maggio 2025

Stand by Me: Un viaggio indimenticabile verso la fine dell’innocenza

Ci sono film che non si limitano a raccontare una storia, ma ti afferrano per il cuore e ti trascinano indietro nel tempo, in quel momento fragile e prezioso in cui l’infanzia scivola via, lasciando spazio a qualcosa di più complesso, di più adulto. Stand by Me - Ricordo di un’estate (1986), diretto da Rob Reiner e tratto dalla novella The Body di Stephen King, è uno di quei film. È un inno alla giovinezza, all’amicizia, alla scoperta di sé, ma anche al dolore sottile di crescere in un mondo che non sempre è gentile. È un film che, guardandolo, ti fa venir voglia di chiamare i tuoi vecchi amici d’infanzia, quelli con cui condividevi segreti e avventure, e chiedergli: “Ti ricordi com’eravamo?”.

Un’estate che cambia tutto
Siamo nell’Oregon del 1959, in una piccola città di provincia dove l’aria sa di erba tagliata e di sogni ancora non infranti. Quattro ragazzi – Gordie Lachance, Chris Chambers, Teddy Duchamp e Vern Tessio – decidono di partire per un’avventura che segnerà per sempre le loro vite: trovare il corpo di Ray Brower, un ragazzo della loro età scomparso nei boschi. Ma non è solo la ricerca di un corpo a spingerli. È una fuga. Una fuga dalle famiglie che li trascurano, dai bulli che li tormentano, da un futuro che sembra già scritto e non troppo promettente.
Gordie (Wil Wheaton), il narratore, è un ragazzo sensibile, schiacciato dal lutto dei genitori per la morte del fratello maggiore e dalla sua invisibilità in famiglia. Chris (River Phoenix, in una performance che brilla di autenticità) è il leader, il ragazzo dal cuore grande ma con un cognome che lo marchia come “quello problematico”. Teddy (Corey Feldman) è l’eccentrico, con una risata “malata” (scelta dopo 30 tentativi, come ci racconta una curiosità dietro le quinte) e un passato segnato da un padre violento. Vern (Jerry O’Connell), infine, è il più impacciato, quello che porta un tocco di leggerezza con la sua ingenuità. Insieme, sono un mosaico di insicurezze, speranze e cameratismo, legati da quel tipo di amicizia che solo a dodici anni puoi vivere con tanta intensità.
Un viaggio più grande di loro
Il viaggio dei quattro ragazzi lungo i binari della ferrovia è molto più di un’escursione nei boschi. È un rito di passaggio, un momento in cui l’innocenza si scontra con la realtà. Tra le risate, le confessioni sotto le stelle e i momenti di paura – come l’incontro ravvicinato con un treno o lo scontro con la banda di Ace Merrill (Kiefer Sutherland, perfetto nel ruolo del bullo spietato) – i ragazzi scoprono chi sono e chi potrebbero diventare. Ogni passo li allontana dall’infanzia, e il film cattura questo passaggio con una delicatezza che commuove.
Una delle scene più memorabili è quella di “Culo di Lardo Hogan” e la gara dei mangiatori di torte, un momento che parte come una gag esilarante e si trasforma in un’esplosione di caos grottesco. È un esempio perfetto del tono del film: un mix di leggerezza e profondità, di risate e malinconia. Stephen King stesso, maestro nel bilanciare il quotidiano con l’inquietante, ha dato al film la sua benedizione, e non è difficile capire perché.
La magia di Rob Reiner e il cast stellare
Rob Reiner dirige Stand by Me con un tocco poetico, senza mai cadere nel sentimentalismo eccessivo. La sua regia è sobria ma potente, capace di lasciare spazio ai giovani attori, tutti straordinari. River Phoenix, in particolare, ruba la scena con la sua interpretazione di Chris: il suo monologo accanto al fuoco, in cui confessa a Gordie il peso delle aspettative e del suo cognome, è uno di quei momenti che ti fanno trattenere il fiato. È tragico pensare che Phoenix, scomparso troppo presto, abbia lasciato un’impronta così indelebile in un ruolo che sembra scritto per lui.
Anche i dettagli dietro le quinte aggiungono fascino al film. Sapevate che i ragazzi hanno in tasca esattamente 2,37 dollari, un numero che richiama la cella 237 di Le ali della libertà e la stanza maledetta di Shining, entrambi tratti da King? O che Elizabeth McGovern, fidanzata di Reiner all’epoca, appare in una foto su una rivista di cinema nel film? Sono piccoli tocchi che rendono Stand by Me ancora più speciale, come segreti condivisi tra amici.
Perché guardarlo (o riguardarlo)
Stand by Me non è solo un film sull’adolescenza: è un film su cosa significa essere umani. Parla di amicizie che sembrano eterne ma che il tempo spesso dissolve, di sogni che si scontrano con la realtà, di momenti che ti cambiano per sempre. La colonna sonora, con l’iconica Stand by Me di Ben E. King, è la ciliegina sulla torta, un accompagnamento perfetto per un viaggio che è insieme fisico ed emotivo.
Se non l’hai mai visto, ti consiglio di guardarlo in una sera d’estate, magari con un amico o due, e lasciarti trasportare. Se l’hai già visto, riguardalo: ti accorgerai che ogni volta trovi qualcosa di nuovo, un dettaglio che ti colpisce, un’emozione che avevi dimenticato. Perché, come dice Gordie alla fine, “Non ho mai più avuto amici come quelli che avevo a dodici anni. Gesù, chi li ha?”.



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