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sabato 29 marzo 2025

Elodie - Bagno a mezzanotte

SALVATORE TOMA, POETA MALEDETTO?

Create e trattenete nella mente l'immagine di un poeta che sfreccia su un motorino scassato per le stradine polverose di Maglie, nel cuore del Salento, con una penna in mano e un ghigno beffardo sul viso. Immaginate un uomo che scrive cartoline al vetriolo ai potenti dell’editoria milanese e che, tra un sogno annotato al risveglio e un bicchiere di vino, si ritira in un bosco di querce a contemplare la vita, la morte e tutto ciò che sta nel mezzo. Questo era Salvatore Toma, un poeta che non si può incasellare, un “maledetto” per vocazione e un visionario per natura, scomparso troppo presto nel 1987, a soli 35 anni, ma ancora vivo nelle sue parole feroci, leggere e surreali.
Nato nel 1951, Toma è stato un ribelle gentile, un anarchico della parola che ha fatto della sua breve esistenza un manifesto di libertà. La recente pubblicazione di Poesie (1970-1983), curata da Luciano Pagano per Musicaos Editore, ci restituisce l’intera parabola creativa di un autore che la Puglia può annoverare tra i suoi giganti del Novecento. Non è solo il poeta della morte – anche se il tema lo attraversa come un filo rosso, potente e ineludibile – ma un cantore dell’amore, della natura, del sogno e dell’ironia. Leggerlo oggi significa scoprire un uomo che, con un linguaggio diretto e cangiante, sapeva passare dal sarcasmo alla tenerezza, dalla rabbia alla visione onirica, senza mai perdere il contatto con la terra che lo ha generato.
Pensate alla sua Ultima lettera di un suicida modello, scritta nel 1979: “Farsi fuori è un modo di vivere / finalmente a modo proprio / a modo vero”. È un pugno nello stomaco, un grido che sfida le convenzioni e rivendica il coraggio di scegliere, anche nella fine. Eppure, non fermatevi qui. Toma è anche il poeta che si prende gioco del mondo, che immagina di passare col rosso per attirare l’attenzione di Maria Corti – la studiosa che lo scoprì e lo pubblicò su Alfabeta – o che si perde nei suoi sogni, da cui nascevano versi caravaggeschi, pieni di luce e ombra. Come disse Antonio Verri, suo amico e ammiratore, “Toma è un colossale bagno di trovate”, un autore che vola sopra le meschinità del quotidiano e colpisce con la sua verità.
E poi c’è la natura, il suo grande amore. In un’epoca in cui il mondo già scivolava verso il disastro ecologico, Toma sognava di diventare “albero e radice”, “terra contesa”, “fiore o montagna”. La sua visione panteistica, quasi profetica, ci parla oggi più che mai: un invito a guardare oltre l’umano, a ritrovare un legame profondo con ciò che ci circonda. Non è morto, come scrisse Antonio Errico sul Quotidiano di Lecce nel 1987: “Pensate solo che non è più su questa terra. Perché così lui vuole che si pensi”. E come dargli torto?
La leggenda di Toma – alimentata dalla sua vita isolata, dalle sue stravaganze, dal suo rifiuto di piegarsi al potere – non deve però oscurare la sua poesia. Poesie (1970-1983) ci offre un ritratto più completo rispetto al pur prezioso Canzoniere della morte curato da Maria Corti nel 1999. Qui troviamo un Toma giocoso, vitale, sarcastico, capace di mescolare registri e di sorprendere a ogni verso. È un poeta che merita di essere letto non solo come mito, ma come voce autentica, capace di parlare al nostro tempo con una forza che non si spegne.
Se vi capita tra le mani questo libro, lasciatevi trasportare. Non è solo un viaggio nella mente di un “Rimbaud del Sud”, ma un’esperienza che vi farà ridere, riflettere e, forse, guardare il mondo con occhi diversi. Perché Salvatore Toma, in fondo, non è mai stato solamente ed esclusivamente un poeta: è stato un modo di esserci, un respiro selvaggio che ancora ci chiama.

venerdì 28 marzo 2025

Il kit di sopravvivenza ...

Immaginate di aprire il giornale o di scorrere il feed di X e trovarvi davanti a una notizia che sembra uscita da un film distopico: l’Unione Europea che invita i suoi 450 milioni di cittadini a preparare un “kit di sopravvivenza” per resistere 72 ore in caso di guerra o disastro. Acqua in bottiglia, torce, cibo in scatola, documenti impermeabili, persino fiammiferi: un elenco che sa di bunker e sirene antiaeree. È il 27 marzo 2025, e questa non è fantascienza, ma una proposta reale, annunciata ieri dalla commissaria europea per la gestione delle crisi, Hadja Lahbib. E il mondo – o almeno quella parte che twitta e discute – è esploso in un misto di incredulità, sarcasmo e un pizzico di paura vera.
Un’idea che divide: tra prudenza e paranoia
Partiamo dal contesto, perché è qui che si gioca tutto. L’Europa vive un momento di tensione palpabile: la guerra in Ucraina, che da tre anni tiene il continente con il fiato sospeso, le minacce ibride di cyberattacks, e un Vladimir Putin che, secondo i leader europei, potrebbe non fermarsi a Kiev. “Le minacce di oggi sono più complesse e interconnesse che mai,” ha detto Lahbib, e non è difficile crederle. Basta guardare le notizie: la Francia sta preparando manuali di sopravvivenza per ogni famiglia, la Scandinavia distribuisce guide da anni, e ora Bruxelles vuole uniformare il tutto con questo “kit di resilienza”. L’obiettivo? Garantire che ogni cittadino possa cavarsela da solo per tre giorni, in caso di conflitto o catastrofe naturale.
Ma c’è chi la vede diversamente. Su X, Matteo Salvini ha ironizzato: “A Bruxelles sono ossessionati dalla guerra. Acqua in bottiglia di plastica (ma non era anti-green?), contanti (non volevano abolirli?). Imbarazzante.” E non è l’unico. Molti utenti si chiedono: è una mossa sensata o un’esagerazione che alimenta il panico? “Scorte per 72 ore? Sembra che si aspettino l’apocalisse domani,” scrive un altro. Eppure, tra le battute, emerge un filo di inquietudine: e se avessero ragione loro?
Cosa c’è nel kit e perché ci fa pensare
Il kit in sé è semplice, quasi banale: sei litri d’acqua, barrette energetiche, una torcia, batterie, medicinali di base, copie dei documenti in una busta impermeabile. Niente di fantascientifico, niente armi o maschere antigas (anche se qualcuno su X ha scherzato: “Manca solo il manuale per combattere gli zombie”). È pensato per essere pratico, accessibile, un “piano B” per quando tutto va storto. Lahbib lo ha spiegato bene: “Sapere cosa fare in caso di pericolo aiuta a non farsi prendere dal panico.” E chi può darle torto? Ricordate le corse al supermercato per la carta igienica all’inizio della pandemia?
Eppure, c’è qualcosa di surreale nel pensare che nel 2025, in un’Europa che si vanta di pace e progresso, si parli di kit di sopravvivenza. È come se il passato – la Guerra Fredda, i rifugi antiatomici – ci stesse bussando alla porta, ma con un twist moderno: oggi le minacce non sono solo missili, ma blackout, attacchi informatici, crisi climatiche. È un promemoria che la nostra quotidianità dorata poggia su fondamenta fragili.
Le voci della rete: paura, risate e domande
Basta un giro su X per capire quanto questa storia stia colpendo l’immaginario collettivo. C’è chi, come @FraBaraghini
, rifiuta l’idea tout court: “No, grazie. Non voglio vivere preparandomi alla guerra.” Altri, come @GUERRIERA110
, si spingono oltre: “Fanno sul serio questi idioti?” Ma tra il sarcasmo e la rabbia, spunta anche la preoccupazione genuina. @Global16938439
scrive: “C’è da preoccuparsi sul serio.” E non è difficile capirlo: quando i governi iniziano a parlare di “preparazione”, il confine tra prudenza e allarmismo diventa sottile.
Poi ci sono i meme. “Il kit UE: acqua, torcia e un biglietto per dire addio al Green Deal,” scherza un utente. O ancora: “Se Putin invade, gli tiro dietro le barrette energetiche.” È il modo umano di reagire all’assurdo: ridere per non pensarci troppo. Ma sotto sotto, il dubbio resta: e se non fosse uno scherzo?
Un richiamo alla realtà (e al cuore)
Personalmente, questa storia mi lascia con un nodo allo stomaco. Da un lato, capisco la logica: viviamo in un mondo instabile, e prepararsi non è da folli. Dall’altro, mi chiedo cosa stiamo diventando. Un continente che si arma di torce e scatolette è un continente che ha paura, e la paura, si sa, può essere una miccia pericolosa. Eppure, c’è qualcosa di poetico in questo kit: è un atto di fiducia nella resilienza umana, un modo per dire “possiamo farcela, anche nel buio.”
E tu, cosa ne pensi? Lo prepareresti, questo kit? O lo vedi come l’ennesima follia di un’Europa che non sa più dove andare? Una cosa è certa: questa notizia non passerà inosservata. È troppo umana, troppo vicina, troppo carica di emozioni contrastanti per non farci parlare.