Provate a immaginare la scena: Donald Trump, seduto nello Studio Ovale, con una mappa del mondo davanti a sé, indica con decisione la Groenlandia e proclama: “Questa deve essere nostra”. Non è una battuta, né una trovata da reality show. Negli ultimi mesi, il presidente degli Stati Uniti ha riportato in auge un’idea che aveva già accennato durante il suo primo mandato: annettere la Groenlandia, un’enorme isola artica sotto la sovranità danese, ma strategicamente cruciale. Le sue ultime dichiarazioni, rilasciate a fine marzo 2025, hanno riacceso il dibattito internazionale, suscitando reazioni che vanno dallo sconcerto all’ironia, fino a una preoccupazione palpabile in Europa. Ma cosa c’è dietro questa ossessione? È solo una provocazione o un piano concreto? Proviamo a capirlo insieme, come se stessimo discutendo davanti a un caffè. Partiamo dai fatti. Il 24 marzo 2025, Trump ha dichiarato: “La situazione in Groenlandia non può andare avanti così. La gente della Groenlandia ci sta chiedendo di intervenire”. Ha poi aggiunto, il 30 marzo, che gli Stati Uniti “otterranno la Groenlandia al 100%”, suggerendo che potrebbe esserci “una buona possibilità” di farlo senza usare la forza militare, anche se “non esclude nulla dal tavolo”. Parole che suonano come un mix di sicurezza presidenziale e ambiguità calcolata. Non è la prima volta che Trump tira fuori questa idea: già nel 2019 aveva proposto di “comprare” l’isola dalla Danimarca, scatenando la reazione stizzita della premier danese Mette Frederiksen, che definì l’idea “assurda”. Oggi, però, il tono è più assertivo, quasi ultimativo, e il contesto geopolitico è cambiato.
Perché proprio la Groenlandia? A prima vista, potrebbe sembrare un capriccio da tycoon che vuole espandere il suo “impero”. Ma se ci fermiamo a riflettere, i motivi emergono chiari come il ghiaccio artico. L’isola, con i suoi oltre 2 milioni di chilometri quadrati, è un tesoro strategico. È vicina al Polo Nord, una regione sempre più contesa a causa dello scioglimento dei ghiacci, che apre nuove rotte commerciali e accesso a risorse naturali come petrolio, gas e terre rare – materiali indispensabili per la tecnologia moderna. Trump stesso ha citato la “sicurezza nazionale” come priorità, sottolineando la presenza di navi russe e cinesi nelle acque vicine. Aggiungiamo che gli Stati Uniti già gestiscono la base militare di Pituffik (ex Thule), un avamposto chiave per la sorveglianza dell’Artico. Controllare l’intera isola significherebbe consolidare il dominio americano in una zona dove Russia e Cina stanno cercando di guadagnare terreno.
Eppure, non è solo una questione di strategia. C’è anche un aspetto economico. La Groenlandia è ricca di risorse minerarie – uranio, zinco, terre rare – che potrebbero ridurre la dipendenza degli USA dalla Cina, oggi leader in questo settore. Con il cambiamento climatico che rende queste risorse più accessibili, l’isola diventa una posta in gioco allettante. Trump, con il suo approccio transazionale alla politica internazionale, sembra vedere nella Groenlandia un “affare” da chiudere, un po’ come se stesse negoziando l’acquisto di un hotel di lusso.
Ma cosa ne pensano i diretti interessati? Qui la faccenda si complica. La premier danese Frederiksen ha ribadito che “la Groenlandia non è in vendita”, mentre il primo ministro groenlandese Múte Egede ha sottolineato che l’isola “appartiene al suo popolo”. Un sondaggio recente mostra che l’85% dei groenlandesi non vuole diventare parte degli Stati Uniti, e molti spingono per l’indipendenza dalla Danimarca, non per cambiare padrone. Trump sostiene che “la gente della Groenlandia ci sta chiamando”, ma non c’è alcuna evidenza concreta di questa presunta richiesta. Sembra più una narrazione costruita per giustificare le sue ambizioni.
Dal punto di vista europeo, le dichiarazioni di Trump sono un campanello d’allarme. La Danimarca, membro della NATO, si trova in una posizione delicata: da un lato deve mantenere l’alleanza con gli USA, dall’altro difendere la propria sovranità. Altri leader, come quelli di Francia e Germania, hanno criticato l’approccio “imperialista” di Trump, temendo che possa destabilizzare l’ordine internazionale. Persino l’ONU ha richiamato al rispetto dei confini sovrani. Eppure, il Regno Unito ha scelto una linea più morbida, con il ministro degli esteri David Lammy che ha evitato di condannare Trump, suggerendo che dietro ci siano “legittime preoccupazioni” sull’Artico.
E se Trump facesse sul serio? L’ipotesi di un’azione militare sembra remota – invadere un territorio NATO sarebbe un suicidio politico – ma la coercizione economica o diplomatica non è da escludere. Potrebbe esercitare pressioni sulla Danimarca o cercare di sfruttare il desiderio di indipendenza della Groenlandia per negoziare un accordo favorevole agli USA. Tuttavia, il rischio è alto: alienarsi gli alleati europei in un momento di tensioni globali con Russia e Cina non sarebbe una mossa saggia, nemmeno per un outsider come Trump.
In tutto questo, c’è anche un pizzico di teatralità. Trump ama il palcoscenico, e queste dichiarazioni potrebbero essere un modo per rafforzare la sua immagine di leader forte davanti alla sua base elettorale. “Make Greenland Great Again” potrebbe essere il prossimo slogan, un’eco del suo populismo che mescola nostalgia imperiale e pragmatismo economico. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo un oceano – letteralmente.
Personalmente, trovo affascinante questo mix di ambizione e provocazione. È come guardare una partita a scacchi dove un giocatore decide di rovesciare il tavolo per vincere. Funzionerà? Non lo so, ma di sicuro tiene il mondo con il fiato sospeso. E voi, cosa ne pensate? È una follia o una genialata? Scrivetelo nei commenti – sono curioso di sentire la vostra!