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mercoledì 2 aprile 2025

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Provate a immaginare la scena: Donald Trump, seduto nello Studio Ovale, con una mappa del mondo davanti a sé, indica con decisione la Groenlandia e proclama ....

Provate a immaginare la scena: Donald Trump, seduto nello Studio Ovale, con una mappa del mondo davanti a sé, indica con decisione la Groenlandia e proclama: “Questa deve essere nostra”. Non è una battuta, né una trovata da reality show. Negli ultimi mesi, il presidente degli Stati Uniti ha riportato in auge un’idea che aveva già accennato durante il suo primo mandato: annettere la Groenlandia, un’enorme isola artica sotto la sovranità danese, ma strategicamente cruciale. Le sue ultime dichiarazioni, rilasciate a fine marzo 2025, hanno riacceso il dibattito internazionale, suscitando reazioni che vanno dallo sconcerto all’ironia, fino a una preoccupazione palpabile in Europa. Ma cosa c’è dietro questa ossessione? È solo una provocazione o un piano concreto? Proviamo a capirlo insieme, come se stessimo discutendo davanti a un caffè.
Partiamo dai fatti. Il 24 marzo 2025, Trump ha dichiarato: “La situazione in Groenlandia non può andare avanti così. La gente della Groenlandia ci sta chiedendo di intervenire”. Ha poi aggiunto, il 30 marzo, che gli Stati Uniti “otterranno la Groenlandia al 100%”, suggerendo che potrebbe esserci “una buona possibilità” di farlo senza usare la forza militare, anche se “non esclude nulla dal tavolo”. Parole che suonano come un mix di sicurezza presidenziale e ambiguità calcolata. Non è la prima volta che Trump tira fuori questa idea: già nel 2019 aveva proposto di “comprare” l’isola dalla Danimarca, scatenando la reazione stizzita della premier danese Mette Frederiksen, che definì l’idea “assurda”. Oggi, però, il tono è più assertivo, quasi ultimativo, e il contesto geopolitico è cambiato.
Perché proprio la Groenlandia? A prima vista, potrebbe sembrare un capriccio da tycoon che vuole espandere il suo “impero”. Ma se ci fermiamo a riflettere, i motivi emergono chiari come il ghiaccio artico. L’isola, con i suoi oltre 2 milioni di chilometri quadrati, è un tesoro strategico. È vicina al Polo Nord, una regione sempre più contesa a causa dello scioglimento dei ghiacci, che apre nuove rotte commerciali e accesso a risorse naturali come petrolio, gas e terre rare – materiali indispensabili per la tecnologia moderna. Trump stesso ha citato la “sicurezza nazionale” come priorità, sottolineando la presenza di navi russe e cinesi nelle acque vicine. Aggiungiamo che gli Stati Uniti già gestiscono la base militare di Pituffik (ex Thule), un avamposto chiave per la sorveglianza dell’Artico. Controllare l’intera isola significherebbe consolidare il dominio americano in una zona dove Russia e Cina stanno cercando di guadagnare terreno.
Eppure, non è solo una questione di strategia. C’è anche un aspetto economico. La Groenlandia è ricca di risorse minerarie – uranio, zinco, terre rare – che potrebbero ridurre la dipendenza degli USA dalla Cina, oggi leader in questo settore. Con il cambiamento climatico che rende queste risorse più accessibili, l’isola diventa una posta in gioco allettante. Trump, con il suo approccio transazionale alla politica internazionale, sembra vedere nella Groenlandia un “affare” da chiudere, un po’ come se stesse negoziando l’acquisto di un hotel di lusso.
Ma cosa ne pensano i diretti interessati? Qui la faccenda si complica. La premier danese Frederiksen ha ribadito che “la Groenlandia non è in vendita”, mentre il primo ministro groenlandese Múte Egede ha sottolineato che l’isola “appartiene al suo popolo”. Un sondaggio recente mostra che l’85% dei groenlandesi non vuole diventare parte degli Stati Uniti, e molti spingono per l’indipendenza dalla Danimarca, non per cambiare padrone. Trump sostiene che “la gente della Groenlandia ci sta chiamando”, ma non c’è alcuna evidenza concreta di questa presunta richiesta. Sembra più una narrazione costruita per giustificare le sue ambizioni.
Dal punto di vista europeo, le dichiarazioni di Trump sono un campanello d’allarme. La Danimarca, membro della NATO, si trova in una posizione delicata: da un lato deve mantenere l’alleanza con gli USA, dall’altro difendere la propria sovranità. Altri leader, come quelli di Francia e Germania, hanno criticato l’approccio “imperialista” di Trump, temendo che possa destabilizzare l’ordine internazionale. Persino l’ONU ha richiamato al rispetto dei confini sovrani. Eppure, il Regno Unito ha scelto una linea più morbida, con il ministro degli esteri David Lammy che ha evitato di condannare Trump, suggerendo che dietro ci siano “legittime preoccupazioni” sull’Artico.
E se Trump facesse sul serio? L’ipotesi di un’azione militare sembra remota – invadere un territorio NATO sarebbe un suicidio politico – ma la coercizione economica o diplomatica non è da escludere. Potrebbe esercitare pressioni sulla Danimarca o cercare di sfruttare il desiderio di indipendenza della Groenlandia per negoziare un accordo favorevole agli USA. Tuttavia, il rischio è alto: alienarsi gli alleati europei in un momento di tensioni globali con Russia e Cina non sarebbe una mossa saggia, nemmeno per un outsider come Trump.
In tutto questo, c’è anche un pizzico di teatralità. Trump ama il palcoscenico, e queste dichiarazioni potrebbero essere un modo per rafforzare la sua immagine di leader forte davanti alla sua base elettorale. “Make Greenland Great Again” potrebbe essere il prossimo slogan, un’eco del suo populismo che mescola nostalgia imperiale e pragmatismo economico. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo un oceano – letteralmente.
Personalmente, trovo affascinante questo mix di ambizione e provocazione. È come guardare una partita a scacchi dove un giocatore decide di rovesciare il tavolo per vincere. Funzionerà? Non lo so, ma di sicuro tiene il mondo con il fiato sospeso. E voi, cosa ne pensate? È una follia o una genialata? Scrivetelo nei commenti – sono curioso di sentire la vostra!

martedì 1 aprile 2025

COSTANZA CON MIRIAM DALMAZIO

 Pensa a una notte qualsiasi, un TG regionale del Veneto che passa quasi inosservato. Poi, un lampo: un team di paleopatologi svela che Cangrande della Scala, signore di Verona, è stato avvelenato secoli fa. Alessia Gazzola, messinese con un cervello da medico legale e un’anima da narratrice, non ci dorme sopra. “Devo farlo,” si dice, e da quel momento nasce Costanza—non una semplice fiction, ma un viaggio che intreccia storie dimenticate e cuori che battono ancora. Miriam Dalmazio dà vita a Costanza Maccalè, una paleopatologa siciliana che non si accontenta di sopravvivere come rider a Messina: si trasferisce a Verona, trascinando con sé una figlia curiosa e un passato che esplode come una bomba emotiva. Tutto ciò è la prova che il passato può afferrarti per la gola e il presente può spezzarti il cuore—allo stesso tempo. Otto episodi totali, 4 serate (prossime domeniche: 6 e 13 aprile), 50 minuti di adrenalina pura a puntata. E se pensi che sia “solo un’altra fiction Rai”, ti sbagli: questa è la trilogia bestseller di Gazzola che ha già conquistato lettori e ora sta seducendo gli schermi—con un seguito già nell’aria.

Dimentica le solite storie d’amore sdolcinate o i gialli scontati. Costanza è l’eccezione che non sapevi di trovarti davanti agli occhi : un mix di scienza, mistero e passione che solo una mente come quella di Gazzola—la “regina del bestseller” dietro L’Allieva—poteva creare. Non è per tutti: è per chi osa guardare oltre, per chi vuole essere tra i primi a dire “Io c’ero” quando questa serie diventerà leggenda.

Adolescence .... Ha la faccia da angelo, ma gli occhi di chi nasconde un segreto!

Sai di essere intrappolato in un incubo senza tagli, senza pause, senza via d’uscita. Una telecamera ti segue, implacabile, mentre un ragazzino di 13 anni, Jamie Miller (Owen Cooper), viene accusato di aver ucciso una compagna di classe. Ha la faccia da angelo, ma gli occhi di chi nasconde un segreto. La tua mente urla: “Non può essere vero!” Eppure, eccoti lì, costretto a guardare ogni secondo di questa discesa nell’abisso. Benvenuto in Adolescence, la miniserie Netflix che non ti chiede di guardarla – ti obbliga. Quattro episodi, un unico piano sequenza ciascuno, e un pugno nello stomaco che ti farà tremare.

#AdolescenceNetflix #OneShotRevolution

Dimentica le serie TV che conosci. Pensavi che i piani sequenza fossero un vezzo da registi snob, roba per giganti come Alfred Hitchcock (Nodo alla gola), Orson Welles (L’infernale Quinlan) o Martin Scorsese (Quei bravi ragazzi)? Ti sbagliavi. Adolescence prende questa tecnica elitaria e la trasforma in un’arma psicologica di massa. Non è un trucco per impressionare i critici – è un cappio che ti stringe al collo, facendoti vivere ogni emozione cruda, ogni dubbio, ogni terrore.
Tutto inizia con un’irruzione. La polizia entra nella casa dei Miller: Eddie (Stephen Graham, un colosso emotivo), il padre che cerca di tenere insieme i pezzi; Manda (Christine Tremarco), la madre silenziosa; Lisa (Amelie Pease), la sorella smarrita; e Jamie, il figlio, il sospettato. La telecamera si muove tra le stanze come un predatore, senza mai staccare la visione , portandoti dalla casa a una stazione di polizia dove ogni angolo respira angoscia. Non c’è montaggio per salvarti: vedi Jamie spogliarsi per un test del DNA, il tremore di Eddie mentre altri uomini adulti scrutano suo figlio, il suo sguardo fisso – un misto di protezione e orrore. Tu sei lì con lui, intrappolato, incapace di voltarti.
Ogni episodio è un universo. Uno ti trascina in un inseguimento mozzafiato: un sospettato salta da una finestra, e tu lo segui – fuori, tra edifici scolastici, nel traffico, senza fiato. Un altro ti sbatte dentro una scuola britannica in crisi, dove i detective Luke Bascombe (Ashley Walters) e Misha Frank (Faye Marsay) cercano prove mentre studenti e insegnanti collassano sotto il peso di cyberbullismo, rabbia e dolore. È un thriller, un esame sociologico, una tragedia – tutto in un unico flusso ininterrotto. Adolescence non è solo una serie: è un esperimento che ti costringe a chiederti – chi è il vero mostro? Il ragazzino? La società? O tu, che continui a guardare? #RealityUnfiltered
Perché Non Puoi proprio Ignorarlo
Un tredicenne assassino? La tua mente si ribella, ma deve sapere. Una volta dentro la storia, non ne esci più.
Un tempo i piani sequenza erano impossibili, riservati ai geni. Oggi, grazie a droni e steadycam, sono più accessibili – pensa a Birdman o 1917. Ma Adolescence, diretta da Philip Barantini con la fotografia di Matthew Lewis, li porta a un altro livello. Non sono spezzoni cuciti insieme: ogni episodio è un’unica ripresa, fluida, viva. La telecamera si muove come un’entità, inseguendo sospettati, esplorando stanze, soffermandosi sui volti distrutti dei Miller. Non richiama l’attenzione su di sé – ti immerge nella storia, rendendo ogni tema (cyberbullismo, rabbia maschile, un sistema scolastico marcio) parte di un unico, devastante racconto. #NextLevelTV
Adolescence non è una serie qualunque – è la serie par excellence. Jack Thorne e Stephen Graham scrivono, Barantini dirige, e il risultato è un’opera che ridefinisce il medium. Questo lavoro non è per le masse distratte: è per chi cerca l’avanguardia, l’esclusività, la verità nuda.
Non aspettare che te lo raccontino. Adolescence è su Netflix adesso, ma non sarà lì per sempre. Non guardarla significa rinunciare a capire il mondo di oggi.