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martedì 6 maggio 2025

I Guerrieri della Notte: un viaggio epico nell’underground di New York

 Se c’è un film che incarna lo spirito crudo, visionario e ribelle della New York di fine anni ’70, quello è I Guerrieri della Notte (The Warriors, 1979) di Walter Hill. Non è solo un film sulle gang, ma un’epopea urbana che mescola guerra, mito e coreografie quasi danzanti, trasformando le strade della Grande Mela in un campo di battaglia tribale. È un cult che ancora oggi, a oltre quarant’anni dalla sua uscita, continua a catturare l’immaginazione di chi cerca storie viscerali e senza tempo.

Una premessa che sa di leggenda
Immaginate una New York notturna, lontana dai riflettori di Broadway, dove le gang dominano i quartieri come antichi guerrieri. Nel Bronx, Cyrus, il carismatico leader dei Riffs, sogna di unire tutte le bande sotto un’unica bandiera per conquistare la città. Ma il suo discorso, che vibra di speranza e ambizione, si spegne con un colpo di pistola. L’omicidio, orchestrato dai Rogues, viene però addossato agli Warriors, una piccola banda di Coney Island. Da qui parte la loro odissea: otto giovani, disarmati, senza il loro leader Swan (arrestato durante un raid), devono attraversare una metropoli ostile per tornare a casa. Ogni fermata della metropolitana diventa una prova, ogni angolo un agguato.
Un viaggio tra tribù e rituali
Ciò che rende I Guerrieri della Notte unico è il suo tono mitologico. Le gang non sono semplici delinquenti: sono tribù con codici, colori e divise che le distinguono, come i Baseball Furies, con le loro mazze da baseball e i volti dipinti, o le Lizzies, un gruppo tutto al femminile che usa la seduzione come arma. Walter Hill trasforma New York in un labirinto epico, dove ogni scontro è coreografato come una danza violenta, un mix tra un film di guerra e un musical oscuro. La metropolitana, con le sue gallerie e i suoi vagoni sferraglianti, diventa il filo conduttore di questa Odissea moderna, mentre la città notturna osserva in silenzio.
Le scene di inseguimento sono pura adrenalina: gli Warriors corrono, si nascondono, combattono, affrontando agguati e tradimenti. Ogni gang che incontrano ha un’identità distinta, quasi caricaturale, che dà al film un tocco di surrealismo. Eppure, nonostante la violenza sia il cuore pulsante della storia, il film è sorprendentemente poco cruento. Non c’è sangue che scorre a fiumi, e l’unica morte significativa è quella di un guerriero schiacciato sotto la metro. Come ha detto lo stesso Hill, “guardate un telegiornale oggi e poi ditemi se questo film è davvero violento”. È un’osservazione che colpisce, perché I Guerrieri della Notte non glorifica la violenza, ma la usa per raccontare una lotta per la sopravvivenza.
Un cast di facce vere e un regista visionario
Walter Hill, con il suo stile diretto e senza fronzoli, dà al film un’atmosfera cruda ma stilizzata. La sua idea originale era di avere una banda di Warriors interamente composta da neri, per riflettere meglio la realtà delle gang newyorkesi dell’epoca, ma la produzione impose un cast più “misto” per paura di alienare il pubblico. Nonostante questo compromesso, il film mantiene una forza autentica, grazie a un cast di attori semi-sconosciuti che sembrano usciti direttamente dalle strade di Brooklyn o del Bronx. Michael Beck (Swan) e James Remar (Ajax) spiccano per il loro carisma ruvido, mentre la regia di Hill, con il suo uso di luci al neon e ombre lunghe, trasforma ogni scena in un dipinto urbano.
Un aneddoto curioso? La scena della mega-rissa iniziale, dove tutte le gang si riuniscono per ascoltare Cyrus, richiese cinque giorni di riprese. È un momento iconico, che fissa subito il tono del film: un caos organizzato, un’esplosione di energia giovanile e ribellione.
Un film degli anni ’80… nato nel ’79
Uscito nel 1979, I Guerrieri della Notte è arrivato in Italia nel 1980, guadagnandosi un posto d’onore tra i classici degli anni ’80. Non è solo una questione di date: il film incarna lo spirito di quel decennio, con la sua estetica audace, la sua musica pulsante (la colonna sonora di Barry De Vorzon è un gioiello) e il suo ritratto di una gioventù in rivolta contro un mondo che non li capisce. È un precursore di tanti temi che avrebbero dominato il cinema successivo, dal racconto delle sottoculture urbane all’esplorazione della città come personaggio.
Perché guardarlo oggi?
Se non avete mai visto I Guerrieri della Notte, vi aspetta un’esperienza che è al tempo stesso un tuffo nel passato e una storia senza età. È un film che parla di lealtà, sopravvivenza e del desiderio di trovare un posto nel mondo, anche quando tutto sembra remare contro. La scena finale, sulla spiaggia di Coney Island, con i sei Warriors superstiti che affrontano i Rogues mentre l’alba illumina il cielo, è pura poesia visiva. E quando i Riffs scoprono la verità sull’omicidio di Cyrus, il cerchio si chiude con una soddisfazione catartica.
Non è un film perfetto: alcuni dialoghi sono un po’ datati, e il ritmo a tratti può sembrare ripetitivo. Ma è proprio la sua imperfezione a renderlo così affascinante, come un vinile che scricchiola ma che non smetti di ascoltare. Se amate il cinema che osa, che mescola generi e che racconta storie di outsider, I Guerrieri della Notte è una corsa che non potete perdervi.
E tu, sei pronto a combattere per tornare a casa?



lunedì 5 maggio 2025

Il mio nome è Remo Williams: L’arte del Sinanju e l’eredità di un cult dimenticato

 Se vi dico Remo Williams, probabilmente molti di voi alzeranno un sopracciglio, incerti se si tratti di un eroe d’azione anni ’80, di un cugino lontano di James Bond o di un tizio che fa magie con le arti marziali. Eppure, Il mio nome è Remo Williams (Remo Williams: The Adventure Begins, 1985) è uno di quei film che, pur non avendo mai raggiunto lo status di blockbuster, ha scavato un posticino nel cuore di chi ama il cinema d’azione con un pizzico di follia e un’estetica gloriosamente vintage. È un mix di spionaggio, arti marziali e umorismo sfacciato che, nonostante i suoi difetti, merita di essere riscoperto. Preparatevi a un viaggio in un’epoca in cui i film d’azione non avevano bisogno di CGI per farti credere che un uomo potesse schivare proiettili o camminare sul cemento fresco.

La premessa: un eroe improbabile per un mondo sporco
Immaginate un poliziotto newyorkese, Sam Makin, che vive la sua vita tra inseguimenti e ciambelle (ok, forse sto stereotipando). Un giorno, il governo decide che è l’uomo giusto per un esperimento estremo: fingere la sua morte, dargli una nuova identità – Remo Williams – e trasformarlo in un’arma vivente per missioni che l’America non può ufficialmente ammettere. È il classico trope dell’eroe riluttante, ma con una svolta: Remo non è un superuomo. È un tizio qualunque, con un sarcasmo tagliente e un’etica che lo rende sospettoso di chiunque, specialmente dei suoi nuovi “datori di lavoro”.
Il film, diretto da Guy Hamilton (che aveva già firmato Goldfinger), si basa sulla serie di romanzi The Destroyer di Warren Murphy e Richard Sapir. La trama è semplice ma efficace: Remo viene reclutato da un’agenzia segreta, la CURE, che opera al confine della legalità per “ripulire” il mondo da minacce che il governo non può toccare. Ma c’è un problema: l’organizzazione stessa puzza di corruzione. Prima di diventare il killer perfetto, Remo dovrà capire di chi fidarsi – e imparare a sopravvivere.
Chiun e il Sinanju: il cuore pulsante del film
Qui entra in scena il vero asso nella manica del film: Chiun, il maestro coreano di arti marziali interpretato da un magistrale Joel Grey. Chiun non è solo un mentore; è un mix di saggezza orientale, arroganza comica e affetto burbero che ruba ogni scena. È lui a insegnare a Remo il Sinanju, un’arte marziale fittizia che, secondo la mitologia del film, è la madre di tutte le discipline di combattimento. Il Sinanju permette a Remo di fare cose assurde: muoversi senza fare rumore, camminare sull’acqua, addirittura schivare proiettili in volo. È il tipo di esagerazione che solo negli anni ’80 poteva sembrare plausibile, e il film la abbraccia senza vergogna.
Le scene di addestramento tra Remo (Fred Ward, perfetto nel ruolo dell’eroe scettico ma determinato) e Chiun sono il cuore del film. Non solo perché sono divertenti – Chiun insulta Remo chiamandolo “faccia pallida” o lamentandosi della sua mancanza di grazia – ma perché costruiscono un rapporto che va oltre il cliché maestro-allievo. C’è un’umanità inaspettata in questi momenti, che bilancia l’azione con un tocco di calore. E sì, le coreografie delle arti marziali sono spettacolari per l’epoca, con un mix di realismo e teatralità che rende ogni combattimento un piacere da guardare.
Un cult mancato e un’eredità frammentata
Il mio nome è Remo Williams aveva tutte le carte in regola per diventare un franchise. Il film si chiude con un “to be continued” che prometteva nuove avventure, e fu persino girata una puntata pilota per una serie TV. Purtroppo, il pubblico non rispose come sperato, e la serie non vide mai la luce. Il film incassò poco rispetto al budget, e il sogno di un sequel ufficiale svanì. Eppure, la sua influenza è innegabile. L’idea di un eroe che opera nell’ombra per un’organizzazione ambigua ha ispirato molti action successivi, e il mix di umorismo e arti marziali richiama film come Beverly Hills Ninja o persino Deadpool per il suo tono irriverente.
Curiosamente, nel 2001 è spuntato un “sequel non ufficiale” intitolato Remo Williams: The Prophecy. Non aspettatevi un capolavoro: è un progetto a basso budget che riutilizza filmati scartati del film originale, con un nuovo attore per Remo ma con Chiun ancora presente. È più un curiosità per fan hardcore che un vero seguito, e circola online come una reliquia di un’epoca in cui i fan facevano di tutto per mantenere viva una storia.
Perché guardarlo oggi?
Viviamo in un’era di supereroi in CGI e trame ipercomplesse, ma Il mio nome è Remo Williams ci ricorda la bellezza del cinema d’azione puro, senza fronzoli. È un film che non si prende troppo sul serio, ma non scivola mai nel ridicolo. Fred Ward porta un carisma ruvido che lo rende credibile sia come eroe che come uomo comune, mentre Joel Grey è semplicemente indimenticabile. La regia di Hamilton dà al film un ritmo incalzante, e la fotografia cattura un’America anni ’80 che sembra quasi mitologica.
Se amate i film che mescolano azione, umorismo e un pizzico di cuore, Remo Williams è una gemma da riscoprire. Magari non vi insegnerà a schivare proiettili, ma vi farà passare due ore con un sorriso stampato in faccia. E chissà, forse vi verrà voglia di cercare online quel misterioso sequel del 2001 – ma non dite che non vi ho avvertito.