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venerdì 28 marzo 2025

Edoardo De Candia ... un’anima che respirava arte e libertà!

Immaginate un ragazzo alto, magro, scapigliato, che si nasconde nell’orto di casa, tra verdure e galline che gli beccano l’anima, come scrisse Vittorio Pagano nel 1965. Edoardo De Candia non era solo un artista: era un’esistenza in bilico, un’anima che respirava arte e libertà, un eretico mite che la Puglia non ha mai saputo celebrare davvero. La “provincia” lo relegò a cronache di questure e referti medici, incapace di cogliere la dolcezza ribelle di quel sorriso che sfidava ogni convenzione.
Edoardo era un viandante, un sognatore anarchico che vagava notti intere per le strade, parlando di Rimbaud e Nietzsche con chiunque osasse seguirlo nei suoi “stornelli atroci di vita e d’arte”. Poi, con una spavalda innocenza, espatriò – Inghilterra, Austria – portando con sé solo il suo spirito indomabile. Tornò un giorno d’estate, trasformato: un “efebo di bronzo liquido”, con una camicia leggera e un palmo di bacchette, pronto a inchiodarsi a uno scoglio o a tuffarsi nudo nel mare di San Cataldo, quel mare che amava e che dipinse con pennellate larghe, vibranti, piene di vita.
La sua arte? Un viaggio. Dalle marine colorate, fantasiose, che sembrano danzare tra cielo e onde, ai nudi femminili prosperosi, tracciati con un disegno “fulminante alla Matisse”, come disse Ennio Bonea. Pochi tratti, essenziali, ma capaci di catturare l’anima di un soggetto, la luce di un momento. Era un talento istintivo, un’esplosione di colore e immaginazione che non si piegava a regole o compromessi.
Edoardo viveva come un “ricco scialacquatore” nella povertà, Ennio Bonea dopo la sua morte, il 6 luglio 1992, a soli 59 anni. Una fine “preannunciata”, come quella di un personaggio da romanzo – uno di quei perseguitati dalla sorte che Jorge Amado avrebbe potuto raccontare, felici di esistere senza catene. Bello come un attore, avrebbe potuto dominare un palco, ma solo se gli avessero lasciato scrivere il copione e dirigere la scena. Non accettava padroni, né nella vita né nell’arte.
Antonio Verri lo salutò come un “cavaliere visionario, purissimo”, uno che sapeva “levarsi in aria, disertare”. Edoardo era leggero, sfuggente, un poeta del pennello che la Puglia non ha saputo trattenere. Oggi, a guardarlo indietro, ci resta il rimpianto di non averlo capito abbastanza – e la meraviglia di un’arte che parla ancora, tra le onde di San Cataldo e le donne di tela che sembrano respirare.
Se passate da Lecce o dal Salento, cercate le sue tracce. Non le troverete nei musei patinati, ma nei racconti di chi lo ha incrociato, nei colori di un mare che non dimentica. Edoardo De Candia non era solo un artista: era un urlo di libertà, soffocato troppo presto.

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