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mercoledì 16 aprile 2025

L'ultimo Imperatore

Pensate a un bambino di tre anni, incoronato imperatore di un regno millenario, recluso in un palazzo dorato che è tanto una prigione quanto un trono. Immaginate poi quell’uomo, ormai anziano, che si aggira tra le strade di Pechino come un giardiniere qualunque, dopo essere stato un dio. Questa è la storia di Pu Yi, l’ultimo imperatore della Cina, raccontata con una maestosità visiva e un’intensità emotiva senza pari nel capolavoro di Bernardo Bertolucci, L’Ultimo Imperatore. Un film che non è solo cinema allo stato puro, ma un viaggio attraverso la storia, la cultura e l’umanità.

Un affresco storico che respira cinema

L’Ultimo Imperatore (1987) è un kolossal che trascende il genere epico. Bertolucci non si limita a narrare la vita di Pu Yi, ma dipinge un ritratto intimo e universale di un uomo intrappolato dal peso della sua corona. Dalla fastosa infanzia nella Città Proibita, dove ogni desiderio è un ordine, alla destituzione per mano dei giapponesi, fino alla sua reinvenzione come cittadino comune, il film cattura la transitorietà del potere e la fragilità dell’identità. È una storia che parla di cambiamento, non solo personale, ma di un’intera nazione che si trasforma sotto il tumulto del XX secolo.
La regia di Bertolucci è un atto d’amore per il cinema. Ogni inquadratura è un dipinto, grazie alla fotografia mozzafiato di Vittorio Storaro, che alterna i toni dorati della Città Proibita ai grigi opachi della prigionia. La scenografia di Ferdinando Scarfiotti e i costumi sontuosi trasportano lo spettatore in un’epoca lontana, mentre la colonna sonora di Ryuichi Sakamoto e David Byrne avvolge ogni scena con una malinconia struggente. Non sorprende che il film abbia conquistato 9 Oscar, un trionfo che ha celebrato non solo Bertolucci, ma l’intera cinematografia italiana, dal montaggio alla sceneggiatura non originale.

Un’impresa titanica

Realizzare L’Ultimo Imperatore è stato un’impresa quasi mitologica. Per la prima volta, il governo cinese ha permesso a una troupe occidentale di filmare nella Città Proibita, un luogo fino ad allora inaccessibile alle cineprese. Con 19.000 comparse, quasi 1.000 chili di capelli umani per le parrucche e un’attenzione maniacale ai dettagli, il film è un monumento alla dedizione artistica. Persino Bertolucci, costretto a muoversi in bicicletta per rispettare le regole del set, ha incarnato lo spirito di sacrificio che permea questa produzione.
Eppure, ciò che rende il film indimenticabile non è solo la sua grandiosità, ma la sua umanità. Pu Yi, interpretato magistralmente da John Lone (e da un giovanissimo Richard Vuu nella versione infantile), non è solo un simbolo storico, ma un uomo che cerca di trovare il proprio posto in un mondo che lo ha prima venerato e poi dimenticato. È impossibile non provare empatia per lui, mentre si confronta con la perdita, la solitudine e, infine, l’accettazione.

Perché guardarlo oggi?
In un’epoca dominata da blockbuster frenetici, L’Ultimo Imperatore ci ricorda il potere del cinema come arte. È un film che chiede tempo e attenzione, ma ripaga con una profondità emotiva e visiva che pochi altri possono eguagliare. Che siate appassionati di storia, amanti del cinema d’autore o semplicemente curiosi di scoprire una cultura lontana, questo film ha qualcosa da offrire. È un’esperienza che vi farà riflettere sul potere, sull’identità e sulla capacità di rinascere, anche quando tutto sembra perduto.

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