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venerdì 9 maggio 2025

Rambo: L’urlo di un eroe ferito

Se c’è un film che incarna il grido di un’intera generazione di reduci, quello è First Blood (1982), il primo capitolo della saga di Rambo. Diretto da Ted Kotcheff e tratto dal romanzo First Blood di David Morrell, questo non è solo un action movie, ma un ritratto crudo e umano di un uomo spezzato, un eroe di guerra che la società ha deciso di dimenticare. John Rambo, interpretato da un Sylvester Stallone al massimo della forma, non è solo un’icona di muscoli e sopravvivenza: è il simbolo di un’America che ha voltato le spalle ai suoi figli.
Un reduce in cerca di casa
John Rambo è un ex Berretto Verde, un sopravvissuto alla giungla del Vietnam, ma il vero campo di battaglia lo trova al ritorno in patria. Il film si apre con un Rambo stanco, segnato, che cammina verso un piccolo paese nello stato di Washington per visitare un vecchio commilitone. La scoperta della sua morte – un altro nome cancellato dalla guerra – è un pugno nello stomaco. Come se non bastasse, l’accoglienza che riceve non è quella di un eroe, ma di un reietto. La freddezza della società americana verso i reduci del Vietnam è tangibile, e il borioso sceriffo Teasle (Brian Dennehy, perfetto nel ruolo) incarna questa indifferenza. Per Teasle, Rambo è solo un vagabondo, un fastidio da cacciare via. Ma cacciare Rambo non è mai una buona idea.
Da vittima a predatore
L’arresto di Rambo per vagabondaggio è il punto di non ritorno. Le umiliazioni e le violenze subite in carcere risvegliano i traumi del Vietnam: le sevizie dei carcerieri vietcong riaffiorano, e il reduce scatta. La fuga di Rambo, spettacolare e disperata, lo porta nella foresta, dove si trasforma da preda a predatore. Qui entra in gioco la maestria di Kotcheff: la tensione è palpabile, e le tecniche di guerriglia di Rambo – trappole improvvisate, movimenti silenziosi – trasformano la natura in un’estensione del suo dolore. Non è solo una lotta per la libertà, ma una ribellione contro un sistema che lo ha tradito.
Sorprendentemente, per un film spesso etichettato come “violento”, First Blood è misurato: solo quattro morti, nessuna per mano di Rambo. Questo non è il Rambo caricaturale dei sequel, quello delle mitragliate infinite. Qui Stallone dà vita a un personaggio complesso, che combatte più per sopravvivere che per vendetta. La scena finale, con il monologo straziante di Rambo che racconta il suo trauma, è un momento di pura vulnerabilità, raro per un action movie degli anni ’80.
Un eroe nato per caso
Curiosità affascinanti circondano il film. Il nome “Rambo” deriva da una varietà di mele, ma in giapponese significa “violenza” – un contrasto perfetto per un personaggio dolce e letale. Nel romanzo di Morrell, Rambo muore, ma il finale cinematografico, più speranzoso, ha aperto la strada a un franchise leggendario. E pensare che Stallone non era la prima scelta: Steve McQueen, con il suo carisma malinconico, avrebbe potuto essere un Rambo diverso, ma Stallone ha fatto suo il ruolo, dando al personaggio un’intensità fisica e emotiva unica.
Perché First Blood resta un classico
First Blood non è solo un film d’azione: è un grido di rabbia e un atto d’accusa. Parla di un uomo che chiede solo rispetto e riceve disprezzo, di una società che crea eroi e poi li abbandona. La regia di Kotcheff, la fotografia cupa e la colonna sonora di Jerry Goldsmith amplificano l’atmosfera di tensione e desolazione. E poi c’è Stallone, che con Rambo ha creato un’icona che va oltre il genere action.
Se non l’hai mai visto o lo ricordi solo per le esplosioni, ti invito a rivederlo. Chiediti: cosa cerchi in un film? Azione frenetica o una storia che ti colpisce al cuore? First Blood offre entrambe, con una potenza che pochi film degli anni ’80 possono eguagliare. E tu, cosa ne pensi di Rambo? È solo un duro, o c’è di più sotto la superficie?



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