Donate
martedì 17 giugno 2025
lunedì 16 giugno 2025
"Vestito per uccidere": il thriller provocatorio di Brian De Palma che danza tra erotismo e suspense
Immaginate di trovarvi in una New York degli anni '80, avvolta da un fascino decadente, dove ogni angolo sembra nascondere un segreto. È in questo scenario che Brian De Palma, maestro del thriller psicologico, tesse la tela di Vestito per uccidere (Dressed to Kill, 1980), un film che è al contempo un omaggio a Hitchcock e una provocazione audace, capace di far discutere ancora oggi. Se amate i film che vi tengono incollati allo schermo, mescolando tensione, erotismo e colpi di scena, preparatevi a un viaggio che non dimenticherete facilmente.
Una trama che seduce e spaventa
Al centro della storia c’è Kate Miller (Angie Dickinson), una casalinga quarantenne intrappolata in una vita di insoddisfazioni. La sua uscita dallo studio del dottor Robert Elliott (Michael Caine) segna l’inizio di un’escalation drammatica: un incontro impulsivo con uno sconosciuto, un momento di passione e un errore fatale – lasciare la fede nuziale nell’appartamento dell’amante. Ma il destino ha in serbo qualcosa di più oscuro: una misteriosa donna bionda, alta e implacabile, la aggredisce in ascensore, tagliandole la gola con una lama affilata. È un omicidio brutale, che dà il via a un gioco di specchi e identità.
Qui entra in scena Liz Blake (Nancy Allen, allora moglie di De Palma), una prostituta di alto bordo che, per un caso fortuito, diventa testimone del delitto. Da questo momento, Liz non è solo una spettatrice, ma una preda, braccata dalla stessa assassina. Ad aiutarla c’è Peter (Keith Gordon), il figlio adolescente di Kate, un giovane brillante e determinato a scoprire la verità. Insieme, i due scavano in un mistero che li porta a confrontarsi con Bobbi, un transessuale che sembra essere il colpevole, e con il dottor Elliott, il cui ruolo si rivela molto più complesso e disturbante di quanto sembri.
Non voglio spoilerare troppo, ma vi basti sapere che il finale è un vortice di rivelazioni che vi farà ripensare a tutto ciò che avete visto. De Palma gioca con la nostra percezione, usando il tema del doppio e dell’identità nascosta per costruire un thriller che è tanto psicologico quanto viscerale.
Un cocktail di stile e provocazione
Vestito per uccidere è un film che non passa inosservato, e non solo per la sua trama. De Palma, con il suo stile inconfondibile, rende ogni inquadratura un’opera d’arte. Dalle lunghe sequenze silenziose nel museo, che trasudano tensione erotica, alla scena dell’ascensore, carica di un’ansia claustrofobica, il regista dimostra una padronanza tecnica che rende omaggio a Psycho di Hitchcock, ma con un tocco moderno e audace. La telecamera di De Palma danza, seduce, spia, come se fosse un personaggio a sé.
E poi c’è l’elefante nella stanza: le scene di nudo e sesso, che all’epoca fecero scalpore. La sequenza iniziale sotto la doccia, con Kate che sembra abbandonarsi a fantasie sensuali, è stata tanto criticata quanto iconica. Curiosità: quella non è Angie Dickinson, ma Victoria Lynn, modella di Penthouse, chiamata a sostituirla per la scena. Questo dettaglio, insieme alla scelta di non mostrare mai esplicitamente alcune violenze, dimostra come De Palma giochi con l’illusione, lasciando che sia la nostra immaginazione a fare il lavoro sporco.
Un cast che brilla (e qualche retroscena succoso)
Il cast è un altro punto di forza. Angie Dickinson porta una vulnerabilità magnetica a Kate, rendendo il suo personaggio tragico e umano. Nancy Allen, nei panni di Liz, è un mix perfetto di cinismo e fragilità, una donna che lotta per sopravvivere in un mondo che la giudica. E poi c’è Michael Caine, che dona al dottor Elliott una calma inquietante, perfetta per il ruolo. Sapete che inizialmente il ruolo di Elliott era destinato a Sean Connery? L’ex 007 dovette rinunciare per conflitti di programmazione, lasciando a Caine l’opportunità di brillare in un personaggio che è tutto fuorché prevedibile.
Perché guardarlo oggi?
Vestito per uccidere non è solo un thriller, ma un’esperienza che sfida le convenzioni. Certo, alcune scelte – come la rappresentazione della transessualità, che oggi appare datata e problematica – riflettono il contesto degli anni ’80 e possono far storcere il naso. Ma il film resta un capolavoro di tensione e stile, capace di intrattenere e provocare. È il tipo di opera che ti fa venir voglia di discuterne con gli amici davanti a un bicchiere di vino: “Ma davvero ti aspettavi quel colpo di scena?”.
Se cercate un film che vi tenga col fiato sospeso, che vi faccia ridere nervosamente e che vi lasci con più domande che risposte, Vestito per uccidere è una scelta perfetta
domenica 15 giugno 2025
Attrazione Fatale: Quando la Passione Diventa Ossessione
Immaginate un incontro fugace, un’attrazione travolgente, due notti di passione che promettono di restare un ricordo isolato. Ora immaginate che quel ricordo si trasformi in un incubo, un’ossessione che minaccia di distruggere tutto ciò che avete di più caro. Questo è il cuore pulsante di Attrazione Fatale (1987), il thriller psicologico diretto da Adrian Lyne che ha ridefinito il concetto di “errore fatale” e ha trasformato un coniglietto domestico in un’icona di terrore cinematografico. Come esperto di cinema, vi porto dentro questo cult, un film che mescola desiderio, colpa e terrore in un cocktail che ancora oggi lascia il pubblico senza fiato.
Una Storia di Desiderio e Conseguenze
Dan Gallagher (Michael Douglas), un avvocato di successo con una vita familiare perfetta – moglie amorevole, Beth (Anne Archer), e una figlia adorabile – si lascia sedurre da Alex Forrest (Glenn Close), un’editor affascinante e magnetica incontrata per caso. Due notti di passione sembrano un’avventura senza conseguenze, ma Dan non sa che Alex non è solo una donna intensa: è un vulcano emotivo, affetto dalla sindrome de Clérambault, un disturbo ossessivo che la porta a fissarsi su di lui in modo patologico. Quando Dan cerca di chiudere il capitolo, Alex risponde con un gesto estremo: si taglia i polsi, costringendolo a restare con lei. Da qui, la situazione precipita in un vortice di telefonate ossessive, minacce, e un gesto che è diventato leggenda: l’uccisione del coniglietto della figlia di Dan, un atto che traumatizza la piccola e segna l’escalation della follia di Alex.
Il film è un’esplorazione cruda e spietata delle conseguenze delle scelte impulsive. Dan, che all’inizio appare come un uomo comune che cede a una tentazione, si ritrova intrappolato in un incubo che mette a rischio la sua famiglia. Alex, invece, è un personaggio tragico e spaventoso: la sua ossessione non è solo un capriccio, ma una forza distruttiva che la consuma. La sindrome de Clérambault, che il film rappresenta con intensità, dà una dimensione clinica alla sua follia, rendendola al contempo più umana e più terrificante.
Un Cast Stellare e una Produzione Tormentata
Il casting di Attrazione Fatale è una storia a sé. Per il ruolo di Alex, Hollywood si è contesa il personaggio: praticamente ogni attrice di spicco degli anni ’80 era in lizza, inclusa Madonna, il cui nome aggiunge un pizzico di curiosità pop alla vicenda. Glenn Close, che alla fine ha ottenuto la parte, offre una performance indimenticabile, passando con maestria da seduttrice a figura tragica a minaccia implacabile. Michael Douglas, con il suo carisma da uomo qualunque che inciampa nei propri errori, è il contraltare perfetto, mentre Anne Archer dà a Beth una forza che culmina nel drammatico finale.
Eppure, il film non è stato facile da realizzare. Adrian Lyne, il regista, era la ventesima scelta dello studio, un dettaglio che lui stesso ha raccontato con ironia: “Complimenti, Adrian, sei la nostra ventesima scelta!”. Il finale originale, poi, era molto più cupo: Alex si suicidava, incastrando Dan per omicidio e mandandolo in prigione. Ma le proiezioni di prova mostrarono che il pubblico voleva una catarsi più netta, e così il finale fu rigirato, con Beth che uccide Alex in uno scontro al cardiopalma. Glenn Close, si dice, tiene ancora il coltello di scena in bella mostra nella sua cucina, un trofeo di una performance che ha segnato la sua carriera.
Perché Attrazione Fatale è un Classico
Guardare Attrazione Fatale oggi significa immergersi in un’epoca in cui i thriller erotici dominavano il botteghino, ma il film di Lyne si distingue per la sua capacità di andare oltre il sensazionalismo. È un racconto morale senza moralismi, che esplora temi universali: il tradimento, la colpa, la fragilità delle relazioni. La regia di Lyne, con il suo stile viscerale e sensuale, amplifica la tensione, mentre la sceneggiatura di James Dearden tiene lo spettatore incollato, alternando momenti di intimità a esplosioni di terrore puro.
Il film ha anche un impatto culturale enorme. Ha coniato l’espressione “bunny boiler” (bollitrice di conigli) per descrivere una persona ossessivamente gelosa, e ha alimentato dibattiti sul ritratto delle donne nei thriller: Alex è una villain o una vittima della sua malattia mentale? È una domanda che il film lascia aperta, invitando a riflettere senza dare risposte facili.
Un Consiglio da Cinefilo
Se non avete mai visto Attrazione Fatale, preparatevi a un’esperienza che vi terrà sul filo del rasoio. E se lo avete già visto, riguardatelo con occhi nuovi: noterete come ogni inquadratura, ogni dialogo, costruisca un crescendo di tensione che esplode in un finale che, pur controverso, è puro cinema. Come direbbe un amico davanti a un caffè: “È uno di quei film che ti fanno pensare due volte prima di cedere a una tentazione… e ti fanno controllare due volte la porta di casa!”.
E voi, cosa ne pensate di Attrazione Fatale? Vi ha spaventato, emozionato o fatto arrabbiare?
Iscriviti a:
Post (Atom)
Tootsie: Quando Dustin Hoffman Diventò una Star… Travestendosi!
Immaginate un attore talentuoso, ma sfortunato, che per un capriccio del destino finisce per conquistare Hollywood indossando tacchi e parru...
