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lunedì 31 marzo 2025
Sandro Greco: L’Alchimista dell’Avanguardia Pugliese
Sandro Greco è stato un uomo che, con la curiosità di un bambino e la tenacia di un esploratore, ha attraversato decenni di arte contemporanea senza mai fermarsi, trasformando ogni materiale, ogni idea, ogni frammento di vita in un’opera d’arte. Era così quest'artista, un nome che risuona come un’eco tra le strade assolate della Puglia e le gallerie d’arte più audaci. Glorificato dal critico Pietro Marino come uno dei “Santi Medici” dell’avanguardia pugliese in occasione della mostra alla Galleria “Pino Pascali” di Polignano a Mare nel 1974, Greco è stato un artista altro, forse più appropriatamente un alchimista del pensiero, un ponte tra scienza, natura e creatività.
Dalle Radici al Caos Creativo
Nato in una Puglia che profuma di terra e mare, Greco abbandona presto la professione di farmacista per inseguire una vocazione più grande. La sua storia artistica inizia negli anni ’40 e ’50 con un amore per il figurativo – il circo, con i suoi clown e le sue atmosfere oniriche, diventa il suo primo palcoscenico. Ma il vero turning point arriva nel 1967, con la mostra “Arte e Scienza”. Qui, l’entropia – quel concetto scientifico di disordine e trasformazione – diventa la chiave per aprire nuove porte: l’arte povera, il concettualismo, la land art. Greco non si limita a dipingere o modellare: lui pensa, sperimenta, rompe schemi.
I suoi “Fiori di Carta” sbocciano sull’asfalto, le strisce di carta delimitano paesaggi, le farfalle immaginarie danzano tra natura e artificio. È un precursore, un visionario che intuisce la land art prima che diventi un trend globale. E non si ferma qui: passa agli “ideogrammi” per decifrare il linguaggio, alle “forme simboliche” che sussurrano significati metafisici, fino a toccare la manualità pura con tappeti, mosaici e ceramiche che sembrano raccontare storie millenarie.
La Ceramica come Filosofia della Creazione
Chiamare Greco semplicemente un ceramista sarebbe riduttivo, quasi ingiusto. Sì, la sua maestria nel decorare anfore, vasi e piatti è stata straordinaria – un serbatoio di immagini che eleva l’artigianato a vera arte. Ma le sue ceramiche non sono solo oggetti: sono frammenti di un Opus Magnum, una “pietra filosofale” fatta di infinite tessere che si incastrano in un’unità stilistica unica. Dalle terrecotte umili ai gioielli elitari, dai “farmaci concettuali” alle reliquie, ogni opera è un dialogo tra tradizione e modernità, tra il tangibile e l’astratto.
Pittura: Tra Ironia e Astrazione
La pittura di Sandro Greco è un viaggio parallelo, altrettanto ricco. Negli anni ’60 i suoi dipinti flirtano con il post-impressionismo e l’espressionismo: ritratti, paesaggi, colori che vibrano di vita. Poi, dagli anni ’80, l’astrazione prende il sopravvento. Opere come “La matematica dialoga con l’arte” (1980) o “L’insieme giallo non vuole giocare” (1988) mostrano un Greco che gioca con le forme e i concetti, mentre la serie dei “Clowns” – con pezzi come “Isabel, assistente di Planck” (2005) o “Il Clown” (2006) – mescola satira e lirismo in un equilibrio perfetto. È un’arte che non si prende troppo sul serio, ma che colpisce dritto al cuore.
Un’etica nell’estetica
Ciò che rende Sandro Greco speciale è stata la sua capacità di fondere etica ed estetica, scienza e fantasia. I suoi interventi sul paesaggio – come “l’invasione dei camici bianchi” – hanno trasformato la natura in un simbolo, un grido poetico. Le sue riflessioni su prossemica, entropia e tempo (bellissime quelle raccolte nel libretto “Il tempo, i pensieri e i ricordi”) ci ricordano che l’arte senza cultura è vuota. In un mondo artigianale spesso fermo a ripetere il passato, Greco è stato una ventata di aria fresca, un invito a rinvigorire la tradizione con il pensiero moderno.
domenica 30 marzo 2025
Ezechiele Leandro e la bellezza nella mostruosità
Pensate ad un angolo di Puglia, lontano dai riflettori delle spiagge affollate e dai vicoli bianchi di Ostuni, dove il tempo sembra essersi fermato e un uomo, con le sue mani ruvide e un’immaginazione senza confini, ha dato vita a un mondo unico. Sto parlando di San Cesario di Lecce, un piccolo comune a pochi passi dal capoluogo salentino, e di Ezechiele Leandro, un artista che definire "straordinario" è quasi riduttivo. La sua storia e il suo capolavoro, il Santuario della Pazienza, sono stati un viaggio nell’arte contemporanea pugliese che merita di essere raccontato, con entusiasmo e un pizzico di stupore.
Leandro nasce a Lequile nel 1905, in un contesto umile e travagliato: orfano, autodidatta, un uomo che si forma tra i pascoli, i cantieri e le miniere d’Africa e Germania, prima di stabilirsi a San Cesario. Qui, in via Cerundolo, costruisce non solo una casa, ma un universo artistico che sfugge a ogni catalogazione. Pittura, disegno, scultura, collage, assemblaggi, installazioni: il suo linguaggio è un’esplosione eclettica, un caos organizzato che lui stesso definiva "primitivo". E aveva ragione. C’è qualcosa di ancestrale nelle sue opere, un ritorno alle origini dell’espressione umana che però dialoga, quasi inconsapevolmente, con le avanguardie del Novecento.
Pensate a Duchamp e ai suoi ready-made: Leandro, con la stessa audacia, raccoglie materiali di scarto – cocci, ferro, copertoni, piastrelle – e li trasforma in arte, dando nuova vita a ciò che la società ha dimenticato. Oppure a Picasso, con quel suo primitivismo cubista che scompone e ricompone la realtà: anche Leandro guarda al mondo con occhi che vedono oltre, frammentando e ricostruendo l’esistenza in simboli e allegorie. Ma non si ferma qui. La sua arte è mutante, sfuggente, un mix di sacro e profano, di visioni apocalittiche e riflessioni sull’uomo, che lo rende un outsider autentico, lontano dalle mode e dalle correnti ufficiali.
Il Santuario della Pazienza, inaugurato nel 1975 dopo anni di lavoro solitario, è stato il cuore pulsante di questa ricerca. Situato nel giardino della sua casa-museo, era a tutti gli effetti un’opera ambientale di oltre 700 metri quadrati, un labirinto di oltre 200 sculture in cemento e materiali riciclati che rappresentano scene bibliche – l’Apocalisse, la Passione di Cristo, il Giudizio Universale – ma anche figure fantastiche nate dalla sua immaginazione. Entrarci era come immergersi in un sogno febbrile: statue antropomorfe, mosaici irregolari, grovigli di forme che sembrano pulsare di vita. Un luogo che ha richiesto pazienza, sì, per essere compreso, ma che ha ripagato con un’esperienza sensoriale e spirituale unica.
Come appassionato di storia dell’arte contemporanea pugliese, non posso non emozionarmi davanti a un artista così libero. Leandro non aveva studiato nelle accademie, non frequentava gallerie alla moda, eppure il suo talento ha attraversato i confini, arrivando a esposizioni internazionali negli anni ’70. Tuttavia, a San Cesario, la sua comunità lo guardava con sospetto, lo considerava un eccentrico, quasi un folle. Le sue sculture, definite “mostri” da alcuni, sono state persino oggetto di vandalismi, tanto da spingerlo a erigere un muro di cinta per proteggerle. Oggi, quel muro può essere inglobato in un immaginario collettivo tanto da farne un simbolo di resistenza,
Cosa rende Leandro così speciale per la Puglia e per l’arte contemporanea? La sua capacità di trasformare il margine in centro, il rifiuto in bellezza, il silenzio in un grido universale. In un’epoca in cui l’arte spesso si piega al mercato, lui ci ricorda che creare è un atto di necessità, non di convenienza.
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