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giovedì 16 ottobre 2025

Atene, Laboratorio del Futuro o Ritorno al Passato? La Grecia Sacrifica i Diritti sull'Altare della Flessibilità - ecco cosa ne penso

 Sembra una notizia proveniente da un'altra epoca, un dispaccio ottocentesco che racconta le lotte operaie per la dignità del tempo di vita. E invece arriva dal cuore dell'Europa del 2025, da quella Grecia che è stata culla della democrazia e, più di recente, epicentro della crisi finanziaria del continente. Il via libera del parlamento ellenico alla settimana lavorativa di sei giorni e alla giornata fino a 13 ore non è un semplice aggiustamento normativo: è uno strappo filosofico, un esperimento sociale i cui esiti ci riguarderanno tutti.

La Narrazione Ufficiale: Modernità e Competitività

Secondo la narrazione del governo conservatore di Kyriakos Mitsotakis, questa riforma è un baluardo di modernità. L'obiettivo dichiarato è duplice: attrarre investimenti stranieri, offrendo loro un quadro di "flessibilità" senza eguali in Europa, e combattere il sommerso, quel cancro economico che drena risorse allo Stato e lascia i lavoratori privi di tutele. La logica è quella, ormai nota, del neoliberismo più ortodosso: deregolamentare per liberare le energie del mercato. L'esecutivo assicura che si tratterà di una scelta "volontaria" del lavoratore, un accordo tra le parti per rispondere a picchi di produzione o esigenze eccezionali. Una visione seducente, se non fosse che la parola "volontarietà" assume un significato sinistro in un mercato del lavoro ancora fragile e con un potere contrattuale sbilanciato a favore delle imprese.

Dietro il Velo della Flessibilità: una Provocazione al Modello Sociale Europeo

Qui risiede la provocazione. Chiamare "flessibilità" la possibilità legale di lavorare 78 ore a settimana significa distorcere il linguaggio per mascherare la realtà. Non è flessibilità, è disponibilità totale. Non è un accordo tra pari, ma la ratifica di un rapporto di forza dove il lavoratore, spesso per necessità, non ha alternative se non accettare. I sindacati e le opposizioni greche, parlando di "ritorno al Medioevo", non usano un'iperbole casuale, ma fotografano la percezione di un'erosione di diritti dati per acquisiti da generazioni.

L'approvazione di questa legge trasforma la Grecia in un laboratorio. Un test per misurare fino a che punto si può spingere l'asticella della deregolamentazione in un Paese membro dell'Unione Europea. Siamo di fronte a un bivio cruciale: stiamo assistendo alla creazione di un'enclave a basso costo del lavoro all'interno dell'Eurozona, un modello competitivo basato non sull'innovazione tecnologica o sulla qualità della produzione, ma sulla compressione del costo e del tempo umano? Se l'esperimento avrà successo, ovvero se Atene riuscirà ad attrarre capitali significativi, quale governo europeo in difficoltà non sarà tentato di seguirne l'esempio?

L'Europa Guarda (o Dovrebbe Guardare)

Ciò che accade ad Atene, dunque, non rimane ad Atene. La legge greca è una sfida diretta al pilastro sociale europeo, quel complesso di norme e principi che dovrebbe garantire un equilibrio tra le esigenze del mercato e i diritti fondamentali dei cittadini, tra cui quello a un "giusto orario di lavoro". La Commissione Europea e le principali capitali osservano, per ora in un silenzio assordante. Ma il dibattito è aperto: il futuro della competitività europea si costruirà sul modello tedesco della qualità e dell'alta specializzazione, o scivolerà verso un "modello greco" basato sulla massima liberalizzazione a discapito delle tutele?

La scommessa del governo Mitsotakis è audace e rischiosa. Potrebbe rivelarsi un boomerang, alimentando tensioni sociali e un brain drain dei talenti non disposti a barattare la propria vita per il lavoro. Oppure potrebbe, drammaticamente, funzionare, creando un precedente devastante. La Grecia, ancora una volta, diventa lo specchio in cui l'Europa è costretta a guardare le proprie contraddizioni e a decidere quale futuro desidera costruire (Stefano Donno)




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