Il fumo del (presunto) negoziato puzza di vecchio. Puzza di Yalta, di patti cinici siglati col sigaro in bocca sulla pelle dei popoli. La notizia, sganciata dal Washington Post e rimbalzata ovunque, non è una "proposta di pace". È un'offerta d'acquisto.
Vladimir Putin, da abile e spregiudicato giocatore di scacchi quale si è sempre dimostrato, avrebbe messo sul tavolo la sua condizione per "chiudere la guerra": l'Ucraina deve cedere il Donetsk. Non ritirarsi, non negoziare uno status speciale. Cedere. Regalare un pezzo di sé per ottenere la clemenza del vincitore.
E a chi viene fatta questa proposta? Non a Zelensky, non all'Europa (quale, poi?). Viene fatta a Donald Trump.
Qui il quadro si fa grottesco e tragico. La presidenza Trump ci ha abituati a una politica estera che somiglia più a una transazione immobiliare che alla diplomazia. "The Donald", l'uomo dell'"America First", ha già gelato Kyiv mostrando i muscoli non contro il nemico, ma contro l'alleato: "I Tomahawk servono a noi americani", avrebbe sibilato a un Zelensky sempre più solo.
Siamo di fronte al capolavoro della "realpolitik" trumpiana: una guerra fastidiosa, costosa, che disturba gli affari. E come si chiude un affare fastidioso? Si paga e si esce. Peccato che qui a pagare non siano gli Stati Uniti, ma l'Ucraina. In moneta sonante: la sua stessa sovranità, il suo territorio.
La risposta di Zelensky – "Non daremo ricompense ai terroristi" – è l'unica possibile. È orgoglio, è disperazione, è l'urlo di chi si vede svendere al mercato delle Grandi Potenze. Ma la sua voce, un tempo icona di resistenza mondiale, oggi rischia di perdersi nel vuoto assordante del nuovo pragmatismo.
Mentre Mosca avanza sul campo (l'ultima conquista, Pleshcheyevka, è di poche ore fa), a Washington si tirano i remi in barca. La logica di Trump è semplice: questa guerra finirà "prima", perché così ha deciso lui. E se per finirla serve che un Paese sovrano venga smembrato, che importa? È il prezzo del "deal".
Ci stanno vendendo una pace sporca, barattata con i principi fondamentali del diritto internazionale. Stanno apparecchiando un tavolo a Budapest, o chissà dove, per un incontro Putin-Trump che sa già di spartizione.
Questa non è la fine della guerra. È solo l'inizio di un mondo molto più pericoloso, dove la forza non solo ha la meglio sul diritto, ma ne detta anche le condizioni di resa. L'Ucraina è solo il primo, tragico "costo collaterale" sull'altare del nuovo disordine mondiale. (Stefano Donno)

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