L'Esecutivo presenta la sua Legge di Bilancio 2026, definendola "seria, equilibrata e responsabile". È il mantra d'obbligo per ogni governo che si presenta davanti al Paese e, soprattutto, a Bruxelles. Ma oltre l'autocompiacimento della conferenza stampa, la manovra da circa 18-19 miliardi di euro che si delinea assomiglia più a un'abile partita a Tetris che a una strategia di crescita a lungo termine.
Siamo di fronte a un esercizio di pragmatismo spinto, dove la necessità di "fare cassa" e distribuire "mance" elettorali prevale su qualsiasi ambizione di riforma strutturale.
Il piatto forte, mediaticamente parlando, è la riduzione dell'IRPEF per il ceto medio, con il taglio della seconda aliquota dal 35% al 33%. Misura sacrosanta per alleggerire una pressione fiscale insostenibile? Forse. Ma è anche una misura finanziata non da una crescita economica robusta o da una spending review coraggiosa, bensì, ancora una volta, da entrate una tantum.
Ed eccoci al punto dolente: le coperture. Per finanziare il taglio fiscale, si ricorre alla solita "pace fiscale", questa volta ribattezzata "rottamazione-quinquies". Non chiamatelo condono, per carità, ma la sostanza quella è: si chiede a chi non ha pagato di saldare (in parte), garantendo entrate immediate. È una politica che disincentiva i contribuenti onesti e conferma una verità amara: questo Governo, come i precedenti, preferisce un incasso facile oggi a una riforma fiscale equa domani.
Certo, ci sono interventi necessari. L'iniezione di fondi (oltre 6-7 miliardi) nella Sanità è vitale. Dopo la pandemia e con file d'attesa infinite, assumere medici e infermieri e adeguare gli stipendi non è un lusso, è manutenzione straordinaria. Ma anche qui, non confondiamo il rattoppo di un sistema al collasso con un investimento strategico sulla sanità del futuro.
L'altro grande capitolo, le pensioni, vede un timido adeguamento all'aspettativa di vita (dal 2027), ma senza toccare i nervi scoperti.
Ciò che manca, in questa manovra "responsabile", è la parola "crescita". Le misure per le imprese appaiono timide, gli investimenti sul PNRR procedono con affanno e non si vede traccia di quella visione industriale che dovrebbe traghettare l'Italia fuori dalla stagnazione.
Questa Legge di Bilancio 2026 è lo specchio di un'Italia che "tira a campare". Un'aritmetica politica impeccabile per navigare a vista, che placa il ceto medio e tappa le falle della sanità, ma che rimanda, ancora una volta, l'appuntamento con il futuro. È una manovra di gestione, non di governo. (Stefano Donno)

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