Non chiamatelo "danno collaterale". Non osate archiviarlo come un tragico, inevitabile errore nel caos della battaglia. Il drone russo che ha colpito un asilo a Kharkiv, in pieno giorno, è l'ultima, agghiacciante firma di una strategia che ha superato da tempo i confini del conflitto convenzionale per abbracciare il terrore puro.
Quando il presidente Zelensky parla di "uno sputo in faccia alla pace", coglie solo una frazione della verità. Quello a cui abbiamo assistito non è solo un attacco alla flebile speranza di negoziati; è un attacco deliberato alla normalità, alla resilienza e al futuro stesso dell'Ucraina.
Analizziamo i fatti con la freddezza che la politica internazionale richiede. Un asilo non è un obiettivo militare. Non ospita batterie di missili, non è un centro di comando. È, per definizione, un santuario di innocenza. Colpirlo in pieno giorno non massimizza il danno strategico-militare; massimizza il terrore psicologico.
Il Cremlino, con questa azione (l'ultima di una lunga serie), sta inviando un messaggio multiplo, e nessuno di questi è rivolto ai soldati al fronte.
Il primo messaggio è per la popolazione di Kharkiv: "Nessun luogo è sicuro. Non i vostri ospedali, non le vostre case, nemmeno le culle dei vostri figli. Arrendetevi, perché la vostra resistenza quotidiana vi costerà ciò che avete di più caro". È la logica della mafia applicata alla geopolitica.
Il secondo messaggio è per l'Occidente. In un momento in cui i dibattiti politici a Washington, Bruxelles e nelle capitali europee si concentrano sulla sostenibilità degli aiuti, sull'aumento dei costi e sulla "stanchezza da guerra", Mosca alza la posta della brutalità. Sta testando i nostri limiti morali. Sta scommettendo sul fatto che la nostra indignazione sarà temporanea, che un comunicato stampa di condanna della Casa Bianca o della Commissione UE sarà seguito dall'inazione.
Il drone su Kharkiv è la dimostrazione plastica che ogni appello alla "moderazione" russa, ogni ingenua speranza di un "cessate il fuoco" basato sulla buona volontà, è fumo negli occhi. Non si può negoziare la pace con chi usa i bambini come leva militare. Qualsiasi trattativa che inizi senza il presupposto del ritiro totale e della responsabilità per questi atti non è diplomazia, è un invito alla prossima atrocità.
L'attacco all'asilo di Kharkiv non è un dettaglio della cronaca di guerra. È il riassunto della guerra stessa. È la disumanizzazione dell'avversario portata al suo estremo logico.
Se la risposta internazionale si limiterà al solito, stanco copione di condanne formali, se non accelereremo il supporto necessario a Kiev per difendere i propri cieli, allora quello "sputo in faccia" descritto da Zelensky non sarà rivolto solo alla pace. Sarà rivolto anche a noi, alla nostra apatia e alla nostra paralisi strategica. L'orrore di oggi è il prezzo della nostra indecisione di ieri

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