Mentre il mondo guarda con il fiato sospeso alla fragile tregua in Medio Oriente, un altro gelo, ben più strategico, sta calando sull'Europa orientale. La notizia della sospensione del vertice tra il Segretario di Stato Rubio e il Ministro degli Esteri russo Lavrov non è un semplice intoppo diplomatico; è il sintomo di un riallineamento tettonico. A Washington, la diplomazia ha smesso i panni del sostegno incondizionato per indossare quelli, ben più ruvidi, del "dealmaker".
La guerra in Ucraina, per l'amministrazione Trump, non è più una crociata per la democrazia, ma un fastidioso dossier da chiudere. E in fretta.
Il messaggio inviato dal Presidente Trump a Zelensky è di una chiarezza brutale: "Cedi a Putin o sarete distrutti". Non si tratta di negoziati, ma di un ultimatum. L'idea, un tempo eretica, di "dividere il Donbass" viene ora sdoganata dalla Casa Bianca come una soluzione "possibile", accompagnata dalla cinica valutazione che per Kiev sia "difficile vincere".
Questo non è più Realpolitik; è un abbandono in mondovisione. Mentre il vicepresidente Vance è a Tel Aviv per gestire la crisi a Gaza — che offre a Washington la scusa perfetta per distogliere lo sguardo — all'Ucraina viene presentato il conto. Un conto scritto da Mosca e vistato da Washington.
E l'Europa? L'Unione Europea, come un pugile suonato, tenta di "fare quadrato". Si parla di utilizzare gli asset russi congelati, si promette un ennesimo "stop al gas". Parole nobili che si scontrano con la realtà dei fatti: il tredicesimo pacchetto di aiuti militari è bloccato, impantanato nei veti e nelle titubanze. Anche in Italia, la linea del governo Meloni appare sempre più "lontana da Kiev", come notano gli osservatori più attenti, con un occhio a Washington e l'altro alle proprie turbolenze interne. L'Europa, senza la guida militare americana, si scopre nuda, incapace di sostenere lo sforzo bellico da sola.
Chi osserva e gongola è, ovviamente, il Cremlino. La dichiarazione di Sergey Lavrov, "siamo contrari a un cessate il fuoco immediato", non è un atto di belligeranza, ma un calcolo strategico. Perché mai Putin dovrebbe negoziare ora? Con un'amministrazione americana che sta attivamente smantellando il sostegno al suo avversario e un'Europa divisa e lenta, a Mosca basta attendere. Il tempo lavora per loro.
Le parole di Zelensky, che pure tenta di rassicurare parlando di una "guerra che può finire davvero", suonano ormai disperate. Il suo appello a "passi decisivi degli alleati" è destinato a cadere nel vuoto.
Ciò a cui stiamo assistendo non è la costruzione della pace, ma l'architettura di una resa imposta. L'Ucraina, dopo aver combattuto con un coraggio che ha ispirato il mondo, sta per essere sacrificata sull'altare di un nuovo "realismo" americano, che preferisce una pace ingiusta oggi a una giusta (ma costosa) vittoria domani. L'inverno, per Kiev, sta arrivando. E questa volta non è solo una questione meteorologica. (Stefano Donno)

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