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giovedì 12 giugno 2025

The Osterman Weekend: Sam Peckinpah’s Final, Flawed Conspiracy Thriller

The Osterman Weekend (1983), diretto da Sam Peckinpah e tratto dall’omonimo romanzo di Robert Ludlum del 1972, è un thriller fantapolitico che si muove tra paranoia, tradimento e giochi di potere, ma che, nonostante un cast stellare e momenti di tensione ben orchestrati, rimane un’opera incompiuta, segnata da una produzione travagliata e da un montaggio che ne ha alterato l’anima. Come ultimo film del leggendario regista di The Wild Bunch e Straw Dogs, rappresenta un canto del cigno complesso, che mescola il talento visionario di Peckinpah con le difficoltà personali e professionali che ne hanno segnato la carriera. Per gli amanti del cinema d’autore e dei thriller della Guerra Fredda, è un film che merita di essere riscoperto, ma con la consapevolezza dei suoi limiti.
Una Trama di Sospetto e Manipolazione
La storia ruota attorno a John Tanner (Rutger Hauer), un giornalista televisivo noto per il suo programma Face to Face, in cui non esita a mettere in difficoltà i potenti con domande scomode. Tanner viene contattato dall’agente della CIA Laurence Fassett (John Hurt), un uomo tormentato dalla perdita della moglie, che convince il giornalista che i suoi tre amici di lunga data – Bernard Osterman (Craig T. Nelson), Richard Tremayne (Dennis Hopper) e Joseph Cardone (Chris Sarandon) – sono agenti sovietici del fantomatico network Omega, una rete di spionaggio del KGB. Fassett propone a Tanner di sfruttare il tradizionale weekend che i quattro trascorrono insieme, l’“Osterman Weekend”, per incastrarli, installando telecamere di sorveglianza nella sua casa.
Quello che inizia come un piano apparentemente lineare si trasforma in un vortice di sospetti e tensione. I tre amici, ignari di essere sotto osservazione, percepiscono il comportamento strano di Tanner, mentre un tentativo di rapimento della moglie (Meg Foster) e del figlio del giornalista alza la posta in gioco. La paranoia si intensifica fino a una rivelazione scioccante: Omega non esiste, e Fassett ha orchestrato tutto per vendicarsi del capo della CIA, Maxwell Danforth (Burt Lancaster), che ritiene responsabile della morte della moglie. La verità emerge troppo tardi per Osterman, Tremayne e Cardone, che vengono uccisi, mentre Tanner, con uno stratagemma, riesce a sconfiggere Fassett, salvare la sua famiglia e smascherare il complotto.
Peckinpah e il Suo Ultimo Atto
Sam Peckinpah, noto per il suo stile viscerale e per la sua abilità nel ritrarre la violenza come un balletto cruento, si trovava in una fase difficile della sua carriera quando accettò di dirigere The Osterman Weekend. Dopo il disastro critico e produttivo di Convoy (1978), era stato ostracizzato da Hollywood, e questo film rappresentava un’opportunità per rilanciarsi. Tuttavia, le sue condizioni di salute precarie, aggravate da anni di abuso di sostanze, e il suo rapporto conflittuale con i produttori Peter S. Davis e William N. Panzer hanno segnato profondamente il progetto.
Il documentario del 2004 Alpha to Omega: Exposing ‘The Osterman Weekend’ offre uno sguardo illuminante su questa produzione caotica. Attraverso interviste con il cast (tra cui Hauer, Hurt, Nelson e Sarandon, ma non Hopper) e i membri della troupe, emerge il ritratto di un Peckinpah determinato ma fragile, un “maverick” che ispirava ammirazione nonostante i suoi demoni. Molti attori, tra cui Burt Lancaster e John Hurt, accettarono ruoli per cachet inferiori al loro solito, attratti dalla possibilità di lavorare con un regista leggendario. Tuttavia, il rifiuto di Peckinpah di modificare la scena iniziale – un momento onirico e disturbante che mostra l’omicidio della moglie di Fassett – e altre scelte stilistiche portarono al suo licenziamento. I produttori presero il controllo del montaggio, alterando il film e rendendo la narrazione più confusa, come lamentato da molti critici all’epoca.
Punti di Forza: Un Cast Eccezionale e Momenti di Genio
Nonostante i suoi difetti, The Osterman Weekend brilla per il suo cast. Rutger Hauer, fresco del successo di Blade Runner, offre una performance intensa ma a tratti distaccata, che riflette il suo personaggio: un uomo intelligente ma manipolato, che lotta per mantenere il controllo in un gioco più grande di lui. John Hurt è magnetico come Fassett, trasmettendo un mix di dolore, rabbia e astuzia che rende il suo personaggio il fulcro emotivo del film. Burt Lancaster, nel ruolo del cinico capo della CIA, porta una presenza scenica imponente, mentre Dennis Hopper, Craig T. Nelson e Chris Sarandon aggiungono spessore ai loro personaggi, nonostante il copione non sempre li supporti adeguatamente. Meg Foster, con i suoi occhi azzurri penetranti, lascia il segno in un ruolo che passa da guerriera con l’arco a vittima in pericolo.
I momenti di azione, come la sparatoria finale che richiama lo stile di The Wild Bunch e Straw Dogs, sono un promemoria del talento di Peckinpah per le sequenze dinamiche e coreografate. La colonna sonora di Lalo Schifrin, pur non al livello dei suoi lavori più celebri, accentua efficacemente la tensione. Inoltre, il film tocca temi profetici, come la sorveglianza e la manipolazione mediatica, che anticipano pellicole come The Conversation di Coppola o Enemy of the State di Tony Scott, rendendolo un precursore nel genere del thriller paranoico.
I Limiti: Una Narrazione Incoerente
Purtroppo, The Osterman Weekend soffre di una sceneggiatura debole, adattata da Ian Masters e Alan Sharp, che non riesce a rendere giustizia alla complessità del romanzo di Ludlum. La trama è densa di colpi di scena, ma molti risultano confusi o poco credibili, e i buchi narrativi sono evidenti. Il montaggio della versione teatrale, imposto dai produttori, non aiuta: il ritmo è incostante, e alcune scene sembrano slegate dal contesto. La scena iniziale, che Peckinpah voleva distorta per evocare un incubo, è stata modificata per risultare più “accessibile”, ma il risultato è un’apertura enigmatica che disorienta senza affascinare. Anche il finale, che avrebbe dovuto essere un confronto drammatico tra Tanner e Fassett, perde forza a causa delle modifiche.
Il documentario Alpha to Omega rivela che la versione del regista, inclusa in alcune edizioni Blu-ray (come quella di Imprint Films del 2022), conserva meglio la visione di Peckinpah, ma non risolve del tutto i problemi narrativi. Persino i fan più accaniti del regista ammettono che il film manca della coesione e della potenza emotiva dei suoi capolavori precedenti.
Perché Guardarlo Oggi?
The Osterman Weekend non è il miglior film di Peckinpah, né un capolavoro dimenticato, ma ha un fascino particolare per chi ama il cinema degli anni ’80, i thriller di spionaggio o il lavoro di un regista che, anche al tramonto della sua carriera, non ha smesso di sfidare le convenzioni. È un film che riflette il suo tempo – l’ansia della Guerra Fredda, la sfiducia nelle istituzioni – ma anche le ossessioni di Peckinpah: il tradimento, la lealtà e il conflitto tra istinto e civiltà. Per i completisti di Peckinpah, è un tassello essenziale per capire la sua parabola, mentre per i neofiti potrebbe essere una porta d’accesso al suo stile, purché si avvicinino con aspettative moderate.
Consiglio di guardarlo in abbinata con Alpha to Omega, che non solo contestualizza la produzione, ma offre anche un ritratto toccante di un regista che, nonostante le difficoltà, ha lasciato un segno indelebile nel cinema. Se cercate un thriller che vi tenga incollati allo schermo con una dose di paranoia e un cast d’eccezione, The Osterman Weekend merita una chance. Ma non aspettatevi la perfezione: è un film che, come il suo regista, è tanto affascinante quanto tormentato.






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mercoledì 11 giugno 2025

Sibilla Aleramo

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Il Nome della Rosa: Un Thriller Medievale che Intreccia Mistero e Storia

 Immaginate un’abbazia avvolta dalla nebbia, immersa nel silenzio rotto solo dal fruscio delle pergamene e dai passi furtivi dei monaci. È l’autunno del 1327, e in questo scenario gotico si dipana Il Nome della Rosa, la magistrale trasposizione cinematografica del capolavoro di Umberto Eco, diretta da Jean-Jacques Annaud nel 1986. Non è solo un film, ma un viaggio in un Medioevo oscuro, dove la fede si scontra con la ragione, e il mistero si nasconde tra le pagine di un libro proibito. Come appassionato di cinema, vi porto dentro questo thriller medievale, un’opera che intreccia storia, filosofia e tensione narrativa con una maestria rara.

Un Detective Medievale: Guglielmo da Baskerville
Al centro della storia troviamo Guglielmo da Baskerville, interpretato da un Sean Connery in stato di grazia. Lontano dal suo iconico James Bond, Connery dona al francescano una presenza magnetica: acuto, ironico, quasi un proto-Sherlock Holmes in saio. Accompagnato dal giovane novizio Adso da Melk (un Christian Slater acerbo ma convincente), Guglielmo arriva in un’abbazia del nord Italia per un incontro teologico di alto profilo. Ma il clima di devozione è presto spezzato da una serie di delitti misteriosi, che trasformano l’abbazia in un labirinto di sospetti e segreti.
Guglielmo, con il suo approccio razionale e quasi scientifico, si mette a indagare, sfidando il dogmatismo dell’epoca. La sua figura è un omaggio alla ragione in un mondo dominato dalla superstizione, e Connery lo rende credibile con un mix di carisma e vulnerabilità. Curiosità: il ruolo di Guglielmo era stato inizialmente pensato per Michael Caine, ma è difficile immaginare qualcuno diverso da Connery in questa parte. La sua performance è un pilastro del film, capace di rendere ogni scena un duello tra intelletto e oscurità.
Un Cast Eccezionale e un Antagonista Memorabile
Se Connery è il cuore razionale del film, l’inquisitore Bernardo Gui, interpretato da un superbo F. Murray Abraham, è la sua ombra minacciosa. Abraham porta sullo schermo un villain che incarna il fanatismo religioso: freddo, implacabile, pronto a vedere eresie ovunque. La sua interpretazione è così intensa che quasi ruba la scena, rendendo Bernardo Gui un simbolo del potere oppressivo dell’Inquisizione. È interessante notare che il vero Bernardo Gui morì in Francia, non linciato dalla folla come nel film, ma questa licenza poetica amplifica il dramma e il conflitto.
Il cast di contorno non è da meno. Dal povero Salvatore, un minorato accusato ingiustamente, alla giovane contadina che cattura il cuore di Adso, ogni personaggio aggiunge colore e spessore alla storia. La tensione tra Adso e la ragazza, in particolare, introduce una nota di umanità e desiderio in un contesto otherwise austero, rendendo il film accessibile anche a chi non è appassionato di dibattiti teologici.
La Biblioteca: Un Labirinto di Segreti
Il vero protagonista del film, però, potrebbe essere la biblioteca dell’abbazia, un luogo labirintico e proibito che sembra uscito da un sogno di Borges. È qui che Guglielmo scopre indizi legati a un libro misterioso, un testo che non dovrebbe esistere e che potrebbe essere la chiave degli omicidi. La biblioteca, con i suoi corridoi oscuri e le sue scale vertiginose, è quasi un personaggio a sé, simbolo della conoscenza nascosta e pericolosa. Un dettaglio curioso: il libro al centro del mistero è commentato da un certo Umberto da Bologna, un evidente omaggio a Umberto Eco, che insegnava proprio all’Università di Bologna. Questo gioco metatestuale è un regalo per i fan del romanzo, che troveranno nel film numerosi richiami alla penna erudita di Eco.
Un Thriller dai Meccanismi Quasi Perfetti
Il Nome della Rosa è un thriller medievale che funziona come un orologio svizzero. La regia di Annaud crea un’atmosfera densa, con una fotografia che alterna la bellezza austera dell’abbazia al suo lato più inquietante. La sceneggiatura, pur semplificando l’immensa complessità del romanzo di Eco, conserva il cuore della storia: il conflitto tra ragione e fede, tra libertà di pensiero e dogmatismo. Non è un film perfetto – alcuni passaggi narrativi sono un po’ frettolosi, e il finale può sembrare troppo drammatico rispetto al tono cerebrale del libro – ma è un adattamento che cattura l’essenza del testo originale senza tradirne lo spirito.
Per chi ama il cinema, questo film è un’esperienza che soddisfa su più livelli: è un giallo avvincente, un dramma storico, una riflessione filosofica. È il tipo di film che ti fa venir voglia di rileggere il libro, o di visitare un’abbazia medievale per sentirne l’eco. E se sei un fan di Sean Connery, beh, è un motivo in più per guardarlo: senza licenza di uccidere, ma con una mente affilata come una spada.
Perché Guardarlo?
Vale la pena vedere Il Nome della Rosa? Assolutamente sì. È un film che unisce intrattenimento e profondità, capace di parlare a chi cerca un mistero avvincente e a chi vuole riflettere sul potere della conoscenza. Se ami i thriller con un’ambientazione storica, o se sei affascinato dai dilemmi morali e intellettuali, questo film ti catturerà. E poi, diciamolo, chi non vorrebbe perdersi in quella biblioteca, anche solo per un’ora e mezza? Dimmi, sei più un tipo da enigmi come Guglielmo o da passioni come Adso? La risposta potrebbe dirci qualcosa su come vivresti questo capolavoro!





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