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Nazione Indiana oggi è :
Giuseppe Acconcia, Mariasole Ariot, Gianni Biondillo, Biagio Cepollaro, Silvia Contarini, Giorgiomaria Cornelio, Francesco Forlani, Lisa Ginzburg, Andrea Inglese, Helena Janeczek, Jamila Mascat, Giorgio Mascitelli, Francesca Matteoni, Renata Morresi, Davide Orecchio, Mattia Paganelli, Orsola Puecher, Andrea Raos, Jan Reister, Giacomo Sartori, Giuseppe Schillaci, Antonio Sparzani, Ornella Tajani, Sergio Trapani, Daniele Ventre, Maria Luisa Venuta.
Ne hanno fatto parte :
Andrea Bajani, Sergio Baratto, Carla Benedetti, Gherardo Bortolotti, Alessandro Broggi, Franco Buffoni, Rinaldo Censi, Benedetta Centovalli, Lorenzo Declich, Federica Fracassi, Francesca Fiorletta, Gabriella Fuschini, Sergio Garufi, Jacopo Guerriero, Franz Krauspenhaar, Giovanni Maderna, Renzo Martinelli, Lea Melandri, Raul Montanari, Antonio Moresco, Giulio Mozzi, Sergio Nelli, Aldo Nove, Ozzy Osbourne, Maria Pace Ottieri, Piersandro Pallavicini, Domenico Pinto, Christian Raimo, Massimo Rizzante, Michele Rossi, Marco Rovelli, Evelina Santangelo, Roberto Saviano, Igiaba Scego, Piero Sorrentino, Tiziano Scarpa, Éric Suchère, Chiara Valerio, Giorgio Vasta, Piero Vereni, Dario Voltolini, Giuseppe Zucco.
Il nome “Nazione Indiana” è stato trovato da Antonio Moresco. Il
logotipo originale con le piume è stato disegnato da Giuseppe Genna.
Perché ci siamo chiamati Nazione Indiana
Perché ci piaceva l’idea di una nazione composta da molti popoli
diversi, orgogliosamente diversi e orgogliosamente liberi di migrare
attraverso le loro praterie intrecciando scambi e confronti, e a volte
anche scontri.
Perché a un primo gruppo di scrittori e teatranti che si erano incontrati per un convegno e un libro dal titolo Scrivere sul fronte occidentale
si sono poi aggiunti anche uomini di cinema e altri. Ma noi vorremmo
che domani ci fossero anche musicisti, scienziati, persone che si
occupano dei più svariati ambiti del sapere e della cultura e altri
ancora che noi oggi non riusciamo neanche a immaginare.
Mentre la situazione attuale è che ciascuno viene relegato nel suo
ruolo e nel suo campo e trova uno spazio solo se accetta di rimanere
confinato entro questi limiti, delegando a specialisti e mediatori il
compito di raffigurarlo e di collocarlo in una apposita nicchia
preordinata, in un piccolo gioco chiuso e – a noi pare – senza futuro.
La rete ci permette invece di tornare a una economia di scambio da
Nazione Indiana dove contano soprattutto le cose che facciamo – che
ognuno fa a suo modo scegliendo di volta in volta argomenti, stili,
generi che lo attirano di più – e non la nostra “qualifica
professionale” preconfezionata.
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