C'è una tentazione intellettuale, tanto seducente quanto pericolosa, che emerge ciclicamente nel dibattito pubblico: quella della grande unificazione. È la tentazione di tracciare una linea retta tra fenomeni politici distanti, di appiattire le complessità storiche in una formula accattivante. L'analisi proposta da Giubbe Rosse News, che accosta in un unico afflato "espressionista" Hitlerismo, Trumpismo, Netanyahismo, Le Penismo e persino Macronismo, è un esempio da manuale di questa scorciatoia semantica. Un esercizio che, pur partendo da una possibile (e a tratti condivisibile) critica allo stile di certi leader, finisce per svuotare di significato i concetti che pretende di analizzare, generando più confusione che chiarezza.
Il punto debole, quasi una confessione metodologica, risiede nell'aggettivo "espressionista". L'approccio non si basa su un'analisi rigorosa delle ideologie, delle strutture di potere, dei contesti socio-economici o degli atti di governo, ma sullo stile, sulla percezione, sull'espressione quasi artistica del comando. È un metro di giudizio affascinante per un critico d'arte, ma drammaticamente insufficiente per un analista politico. La politica è sostanza, non solo rappresentazione.
Accostare l'Hitlerismo – un regime totalitario fondato su un'ideologia di annientamento razziale, la soppressione di ogni libertà e l'industrializzazione della morte – a figure come Trump, Le Pen o Netanyahu è già un'operazione intellettualmente spericolata. Sebbene si possano (e si debbano) criticare aspramente le derive nazionaliste, l'erosione delle norme democratiche o il populismo divisivo di questi leader, essi agiscono, nel bene e nel male, all'interno di cornici istituzionali che non sono (ancora) state annientate. Le loro azioni sono soggette a un controllo giudiziario, a un'opposizione parlamentare e a una stampa libera, per quanto sotto pressione. Confondere la crisi di una democrazia con la sua abolizione è il primo, fatale, passo falso.
Ma è l'inclusione del "Macronismo" a far crollare l'intero castello logico, rivelandone la natura pretestuosa. Emmanuel Macron, con la sua visione centrista, il suo europeismo quasi fideistico e le sue politiche economiche di stampo liberale, rappresenta l'antitesi ideologica di quasi tutti gli altri nomi sulla lista. Lo si può criticare per un approccio percepito come arrogante, "jupiteriano", o per politiche sociali divisive, ma assimilarlo a una categoria che parte da Hitler significa ignorare deliberatamente il contenuto delle sue politiche per concentrarsi su un presunto "stile" autoritario. È come giudicare un libro dalla rilegatura ignorandone il testo. L'operazione diventa una semplice collezione di antipatie personali, mascherata da analisi comparativa.
Quale sarebbe, dunque, l'alternativa a questa semplificazione?
Un approccio critico più fecondo non cerca un unico "ismo" che spieghi tutto, ma analizza i fenomeni trasversali che caratterizzano la nostra epoca.
Analizzare la "Sindrome dell'Uomo Forte": Invece di creare calderoni indistinti, sarebbe più utile studiare perché, in contesti diversissimi, l'elettorato premi figure che promettono decisionismo, leadership verticale e rottura con l'establishment. Questo è un fenomeno reale che unisce, con le dovute differenze, Trump a Orbán, ma che non ha nulla a che vedere con la gestione tecnocratica di Macron.
Distinguere tra Nazionalismo e Totalitarismo: Il nazionalismo populista di Trump o Le Pen è una minaccia per l'ordine liberale internazionale e per la coesione sociale interna, ma non è (ancora) il totalitarismo di Hitler. Usare i termini in modo intercambiabile fa un favore proprio a quelle forze di estrema destra, che possono così accusare i loro critici di isteria e banalizzazione, normalizzando di fatto la propria agenda.
Contestualizzare le Crisi Democratiche: La democrazia israeliana sotto Netanyahu affronta sfide immense, legate alla riforma della giustizia e al conflitto israelo-palestinese. La polarizzazione americana nell'era Trump ha messo a dura prova le istituzioni. Sono crisi reali e specifiche, che richiedono analisi specifiche, non un'etichetta onnicomprensiva che le renda indistinguibili.
L'analisi "espressionista" è una trappola. Riducendo tutto a una questione di stile, si perde la capacità di comprendere le differenze sostanziali che definiscono la politica. Si finisce per non vedere più il baratro che separa un presidente tecnocrate e liberale da un leader populista, e quest'ultimo da un dittatore genocida. E quando i contorni si sfocano, la capacità di riconoscere e combattere i pericoli reali, quelli concreti, si indebolisce pericolosamente. La buona analisi, come la buona politica, richiede precisione, non suggestione. (Stefano Donno)

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