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martedì 14 ottobre 2025

Lecce appesa a un filo: la politica dei pali e il futuro incerto della mobilità - ecco cosa ne penso

Lecce, ancora una volta, si ritrova a un bivio. Non si tratta di una semplice scelta amministrativa, ma di una decisione che scava a fondo nell'identità della città, contrapponendo due visioni del futuro quasi inconciliabili. Il campo di battaglia, oggi come vent'anni fa, è il filobus. Il progetto di ampliamento della rete, voluto con forza dall'amministrazione guidata da Adriana Poli Bortone, non è solo un piano da quasi 120 milioni di euro per il trasporto pubblico; è diventato il simbolo di uno scontro politico aspro, di una cittadinanza divisa e di un'idea di progresso che sembra guardare più al passato che all'innovazione. La questione, approdata in un infuocato Consiglio Comunale, ha tutti gli elementi di un dramma politico salentino. Da un lato, una maggioranza che difende il progetto come l'unica via per una mobilità sostenibile, forte di perizie tecniche che ne sostengono la convenienza a lungo termine rispetto ai moderni bus elettrici. Dall'altro, un'opposizione agguerrita, capitanata dall'ex sindaco Carlo Salvemini, che bolla l'opera come un anacronistico sfregio al tessuto urbano, un'eredità pesante fatta di quasi mille nuovi pali e chilometri di cavi aerei pronti a "ingabbiare" il barocco leccese. Ma ridurre il dibattito a una mera contesa tra maggioranza e opposizione sarebbe un errore. La vera notizia, qui, è il protagonismo ritrovato dei cittadini. La raccolta di oltre 7.000 firme per indire un referendum abrogativo contro la delibera è un segnale politico potentissimo, che l'amministrazione non può ignorare o liquidare come semplice "propaganda". È la voce di una parte della città che chiede di essere ascoltata, che contesta un metodo decisionale percepito come verticistico, "a valle" e non "a monte" delle scelte strategiche. Nel merito, le perplessità sul progetto sono concrete e pesanti. Il costo di gestione del filobus, storicamente quasi doppio rispetto ai bus tradizionali, è un fardello noto alle casse comunali. Le proiezioni di un aumento esponenziale dei passeggeri appaiono, ai più critici, come un atto di fede più che un'analisi realistica. E poi c'è la questione estetica, tutt'altro che secondaria in una capitale della cultura. L'idea di un reticolo di fili sospeso sopra viali e piazze evoca un modello di trasporto del Novecento, mentre le capitali europee sperimentano soluzioni a zero impatto visivo, come bus elettrici a ricarica rapida (flash charging) o a idrogeno. L'amministrazione Poli Bortone rivendica la coerenza di una scelta già fatta in passato e la validità di un progetto che, a suo dire, porterà ordine e modernità. Tuttavia, la politica non è solo l'arte di governare, ma anche quella di interpretare il proprio tempo. Insistere su una tecnologia divisiva e impattante, quando il mercato offre alternative più agili e discrete, appare come una scelta di retroguardia, figlia di una visione che fatica a scrollarsi di dosso le soluzioni del passato. La battaglia sul filobus, in fondo, non riguarda solo la mobilità. Riguarda il modello di sviluppo di Lecce. Sarà una città che accetta compromessi estetici in nome di una sostenibilità "cablata", o saprà immaginare un futuro più leggero, innovativo e rispettoso della sua fragile bellezza? La risposta non può trovarsi solo nelle stanze di Palazzo Carafa, ma deve nascere da un confronto vero e trasparente con quella stessa cittadinanza che, con una firma su un modulo, ha reclamato il diritto di decidere a quale filo appendere il proprio futuro (Stefano Donno)




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