L'appello del Wall Street Journal all'amministrazione Trump non è un semplice consiglio di politica estera; è una cannonata editoriale sparata direttamente contro le mura della Casa Bianca. "Date i missili Tomahawk a Kiev", tuona l'influente quotidiano, rompendo l'ennesimo tabù nel dibattito sul sostegno militare all'Ucraina.
È una richiesta che, se accolta, segnerebbe il superamento di un Rubicone strategico. I Tomahawk non sono armi difensive; sono missili da crociera offensivi, con una gittata capace di colpire in profondità il territorio russo, ben oltre la linea del fronte.
L'analisi del WSJ è, nella sua brutalità, lineare: la Russia li teme, l'Ucraina ne ha bisogno per ribaltare le sorti di un conflitto impantanato, l'America li possiede. Sulla carta, l'equazione sembra funzionare. Ma la geopolitica, purtroppo per gli editorialisti da salotto, non è un esercizio di logica, è un brutale esercizio di realpolitik.
Ed è qui che emerge, quasi tragica, la figura di Volodymyr Zelensky. Il presidente ucraino, citato nel dispaccio, non nega l'efficacia dell'arma ("la Russia li teme"), ma chiude la porta a sogni troppo ambiziosi con una frase che vale più di mille analisi strategiche: "ma sono realista".
Cosa significa questo realismo? Significa che Zelensky, molto meglio del WSJ, ha compreso la natura dell'attuale amministrazione americana. Sa che Donald Trump è un "dealmaker" riluttante, ossessionato più dall'evitare la Terza Guerra Mondiale (o almeno, dall'evitare di pagarne il conto) che dal garantire una vittoria totale a Kiev.
L'uscita del Wall Street Journal, quindi, va letta più come una manovra di pressione interna all'establishment repubblicano – un tentativo di mettere Trump con le spalle al muro e forzarlo a scegliere tra la sua retorica da falco e la sua istintiva prudenza isolazionista – piuttosto che come una reale anticipazione strategica.
Il giornale gioca a fare il guerriero da tastiera, spingendo per un'escalation di cui non pagherebbe il prezzo. I Tomahawk sono l'arma definitiva per chi crede che questa guerra si possa vincere solo militarmente, senza curarsi delle linee rosse di un Cremlino sempre più imprevedibile.
Ma Zelensky non può permettersi questo lusso. Il suo "realismo" è quello di un leader che sa di non poter contare su assegni in bianco. Ha capito che, mentre Washington dibatte su armi quasi fantascientifiche per il suo esercito, il vero campo di battaglia, per lui, è politico: mantenere coeso un Occidente stanco e un'America distratta.
Mentre il WSJ invoca i Tomahawk, Kiev teme l'arrivo dell'inverno e la scarsità di munizioni d'artiglieria. C'è un abisso tra la guerra combattuta nelle redazioni di New York e quella vissuta nelle trincee vicino a Kharkiv. L'editoriale del WSJ è rumoroso, ma è il sobrio realismo di Zelensky che ci racconta la verità sul futuro di questo conflitto. (Stefano Donno)

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