Bruxelles, si sa, è la capitale dell’estetica burocratica, ma stavolta il castello di carte rischia di crollare sotto il peso di una realtà che non concede sconti: la guerra. Mentre al fronte si muore e le munizioni scarseggiano, i corridoi dell’Unione Europea sembrano essersi trasformati in un labirinto di veti incrociati e cavilli tecnici. Al centro del contendere, i famigerati 90 miliardi di euro necessari per tenere in vita l’Ucraina nei prossimi due anni. Una cifra enorme, certo, che la Commissione Europea vorrebbe coprire attingendo ai profitti degli asset russi congelati. Peccato che l’operazione si sia trasformata in un vicolo cieco politico.
Il paradosso è servito. Da un lato abbiamo l'urgenza assoluta: senza quel sostegno finanziario, la capitolazione di Kiev non è più una fosca profezia, ma una certezza matematica. Dall'altro, abbiamo un'Unione "impantanata". Il Belgio, custode della maggior parte di questi fondi tramite Euroclear, pone condizioni che fanno storcere il naso a molti. Se si accetta il gioco di Bruxelles (intesa come governo belga), si rischia di veder sfilare altri partner fondamentali, Italia in testa. Se non si accetta, la macchina si ferma.
È il solito cortocircuito europeo: l’unanimità di facciata che si sgretola non appena si tocca il portafoglio o la sovranità giuridica. La strategia della Commissione Von der Leyen, che ha puntato tutto sull’uso degli asset russi per evitare di chiedere nuovi sforzi diretti agli Stati membri, sembra ora mostrare la corda. È stata una mossa d'azzardo che ha finito per infilare i leader in un angolo.
Ora si parla di "creatività". Nel gergo diplomatico dell'UE, questa parola è spesso un eufemismo per indicare soluzioni d'emergenza raffazzonate all'ultimo minuto per evitare il disastro totale. Ma l’Ucraina non ha bisogno di creatività contabile; ha bisogno di certezze. Mentre i capi di Stato e di governo si preparano a un vertice che si preannuncia infinito, l'ombra del fallimento aleggia sopra i tavoli imbanditi.
Il tempo è il lusso che l’Europa crede ancora di avere, ma che Kiev ha già esaurito. Se i leader non sapranno uscire da questo stallo, la storia non ricorderà i loro complessi tecnicismi finanziari, ma il momento esatto in cui la paralisi burocratica ha firmato la resa di un intero popolo. (Stefano Donno )

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