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mercoledì 12 novembre 2025

Il cimitero delle macchine di Sergio La Chiusa (Miraggi)

 Giocando con le regole del patto tra narratore, personaggio e lettore, La Chiusa prende un’esistenza fittizia e anodina, per quanto emblematica, un personaggio da romanzo – Ulisse Orsini – e ci invita a osservarlo da vicino: un soggetto improduttivo, in esubero, ossessionato dalla propria sensazione di illegittimità. Uno che ha perso il lavoro e si rintana in casa, riducendosi a sgattaiolare sul pianerottolo per non incontrare i rispettabili condomini. Lo colloca in una metropoli nei primi anni Duemila, riconoscibile eppure fantastica, un cantiere interminato, coerente solo nella propria vocazione di «città della moda e degli eventi»; e lo segue nella sua tragicomica odissea urbana, attraverso paradossali ambulatori e ospedali simili a penitenziari, per vie ridotte a scarni residui dello sfruttamento economico, finché giunge – in mutande e con una valigia piena di biancheria – in una discarica dell’hinterland. Qui, nel cimitero delle macchine, tra i reietti accampati in mezzo a rottami e carcasse d’auto, Ulisse conosce Lazzaro Lanza, un imbianchino con aspirazioni messianiche, che lo trascina nelle azioni del suo movimento rivoluzionario (e nei suoi lavori di tinteggiatura). Il sardonico avvicendarsi di sipari architettato dall’autore rivela tutta l’assurdità del mondo contemporaneo e registra l’inesausto stato di tensione tra l’insostenibilità del reale e la fuga nell’immaginazione. Una tensione che ingabbia Ulisse e gli altri personaggi del romanzo, facendone le nostre grottesche controfigure.

Proposto da Giuseppe Lupo al Premio Strega 2025 con la seguente motivazione:
«Il romanzo di Sergio La Chiusa è un potente atto d’amore nei confronti della scrittura come interpretazione del mondo, oggetto da modellare secondo le curve di un monologo interiore, flusso di una coscienza definitivamente smarrita. Protagonista della storia è un personaggio che si fa chiamare Ulisse (nome che strizza l’occhio all’altro Ulisse che aveva inaugurato il Novecento percorrendo le strade di Dublino) e veste i panni di un io vagabondo alla cui voce l’autore affida il racconto di una disincantata postmodernità. Siamo in un’epoca indefinibile e la città di Milano, un tempo frenetica e produttiva capitale morale del Paese, ha perduto l’immagine scintillante della moda per riscoprirsi simile a un immenso cantiere in cui non si costruisce più niente e dove si può solo incontrare la disperazione degli ultimi, i poveri, gli invisibili, i rimossi, quelli che sperimentano il risveglio di un’alba senza futuro. L’approccio apocalittico, la prosa labirintica e canzonatoria, la materia narrata fanno di questo libro un romanzo originale, controverso, corrosivo, disperatamente profetico.»





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