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mercoledì 12 novembre 2025

Il Tabù Infranto: Kuleba archivia la "vittoria" e svela la Realpolitik - ecco cosa ne penso

 Le parole del ministro degli Esteri ucraino non sono un cedimento, ma la dolorosa ammissione di uno stallo che logora da mesi. L'Occidente è avvisato: la fase del negoziato è iniziata, e sarà brutale.

È un suono assordante, quello del silenzio che segue la rottura di un tabù. E Dmytro Kuleba, il capo della diplomazia di Kyiv e volto della resistenza ucraina nei salotti internazionali, quel tabù lo ha appena mandato in frantumi.

"Né Mosca né Kyiv possono vincere".

Rileggetelo. Non lo sta dicendo un analista neutrale da una torre d'avorio ginevrina; lo sta dicendoforse stremato, forse solo disperatamente pragmatico—lo stesso uomo che per quasi tre anni (siamo ormai a novembre 2025) ha giustamente difeso la narrativa della vittoria totale come unica opzione moralmente e strategicamente accettabile.

Le parole di Kuleba, riportate oggi, non sono un lapsus. Sono un epitaffio. Sono l'epitaffio sull'illusione che questa guerra di logoramento potesse finire con una parata trionfale sulla Piazza Rossa o con la resa incondizionata di Kyiv. È il brutale ingresso della Realpolitik in un conflitto finora dominato dalla retorica dell'eroismo e della giustizia assoluta.

Non fraintendiamo: Kuleba non sta parlando di resa. Sta parlando di realtà. La realtà di un fronte cementificato, di risorse che scarseggiano (da entrambe le parti) e di alleati occidentali la cui attenzione inizia a vacillare, distratti da altre crisi e dalla stanchezza interna.

Ma è sulla seconda parte della sua dichiarazione che si gioca la vera, dolorosa partita del futuro: "entrambi dovranno fare concessioni".

Eccola, la parola chiave. La parola che fino a ieri era sinonimo di tradimento: concessioni.

Qui, l'analisi deve farsi critica. Perché se Kuleba ha avuto il coraggio di svelare il re, ora dobbiamo chiederci di cosa sia fatto questo re nudo. Di quali "concessioni" stiamo parlando?

Le "concessioni" di Mosca sono forse il ritiro da territori che ha occupato illegalmente? Questa non è una concessione, è il ripristino del diritto internazionale.

Le "concessioni" di Kyiv, quindi, quali sarebbero? La Crimea? Il Donbass? La neutralità perpetua iscritta nella Costituzione? Kuleba, da navigato diplomatico, lancia il sasso e osserva i cerchi nell'acqua. Sa benissimo che l'asimmetria morale è totale: l'aggressore e l'aggredito non possono fare "concessioni" sullo stesso piano.

Eppure, lo dice. E lo dice perché il suo vero messaggio non è (solo) per Mosca. È per Washington, per Berlino, per Bruxelles. È un avvertimento crudo: se non potete o non volete darci gli strumenti per la vittoria militare totale, allora dovete sostenerci politicamente ed economicamente in un negoziato che sarà lungo, sporco e che richiederà di ingoiare rospi amarissimi.

Le parole di Kuleba segnano ufficialmente la fine della fase eroica del conflitto e l'inizio di quella diplomatica. Che, spesso, è altrettanto sanguinosa, anche se il sangue non scorre nelle trincee ma sulle mappe geografiche e sui trattati. Kuleba ha appena ammesso che per Kyiv il tempo dell'eroismo deve, per forza di cose, lasciare spazio al tempo del compromesso. Un compromesso che, inevitabilmente, avrà il sapore dell'ingiustizia. (Stefano Donno)




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