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giovedì 13 novembre 2025

La Manovra nel caos: tra il botta e risposta Meloni-Schlein e l'asse solitario di Giorgetti - ecco cosa ne penso

 Mentre il cronometro corre verso la scadenza degli emendamenti in commissione Bilancio, il dibattito sulla legge finanziaria assomiglia sempre meno a un rigoroso esercizio di contabilità nazionale e sempre più a un palcoscenico di monologhi slegati. L'Italia assiste a tre spettacoli paralleli: la rissa rituale tra maggioranza e opposizione, le fughe in avanti di un alleato ingombrante e la silenziosa partita a scacchi di un Ministro dell'Economia che guarda più a Bruxelles e a Shanghai che a Palazzo Madama.

Il primo atto è il più usurato. Da un lato, la premier Meloni rivendica (con un certo orgoglio contabile) di aver chiuso i rubinetti dei tagli agli enti locali per il 2026. Dall'altro, la segretaria Schlein estrae la calcolatrice e ricorda i miliardi sottratti nelle manovre precedenti.

È il classico dialogo tra sordi. La Premier difende l'oggi (o meglio, il dopodomani) ignorando il ieri; la leader PD attacca il ieri senza incidere sull'oggi. Nel mezzo, i sindaci – veri destinatari del messaggio – ascoltano l'eco di cifre che non tornano e assistono alla solita replica del centrodestra, che bolla l'avversaria come "marziana". Un copione stanco, che scalda gli animi dei militanti ma lascia irrisolti i problemi reali dei territori.

Se Atene piange, Sparta non ride. Il secondo atto è il cortocircuito interno alla maggioranza. Mentre la Presidente del Consiglio e il Ministro dell'Economia Giorgetti cercano faticosamente di chiudere una manovra blindata, il vicepremier Salvini torna a sventolare il vessillo della "rottamazione allargata".

"Per me resta sul tavolo", dichiara, sconfessando apertamente i vertici del governo. È difficile dire se sia tattica negoziale per ottenere altro, o semplice campagna elettorale permanente. Fatto sta che, nel momento più delicato della sessione di bilancio, il leader della Lega agisce da battitore libero, indebolendo la credibilità della linea economica dell'esecutivo e dando l'immagine di un'orchestra dove ogni strumento suona un proprio spartito.

Ma il vero dramma, quello con implicazioni strategiche ed economiche profonde, si sta consumando lontano dalle aule parlamentari. È il terzo atto, il "Giorgetti-show" a Bruxelles.

Mentre gli alleati si distraggono, il Ministro dell'Economia sta giocando la partita più importante: una guerra commerciale contro i colossi cinesi dell'e-commerce. Il tema è la "tassa Temu/Shein", quell'euro simbolico (ma non troppo) da imporre ai miliardi di pacchetti sotto i 150 euro che invadono l'Europa, eludendo di fatto dazi e regole di concorrenza.

Giorgetti ha fiutato il pericolo da mesi. Parla di "aggressione extraeuropea", di un mercato invaso da "prodotti a basso costo senza rispetto delle regole". E qui sta il punto: l'Ecofin sembra orientato a una soluzione (il 2028), ma il ministro vuole tutto e subito. Chiede di anticipare al 2026 e, soprattutto, preme per inserire una "norma-ponte" nazionale nella manovra attuale per bloccare l'esenzione doganale dal primo gennaio.

Se l'Ecofin darà il via libera, ci ritroveremo con un emendamento dell'ultima ora che non riguarda affatto le pensioni o la sanità, ma che ridisegna la nostra politica doganale in una mossa protezionista tanto coraggiosa quanto rischiosa.

Il quadro finale è quello di una profonda frammentazione. Abbiamo una Premier impegnata a difendere la narrazione della "manovra che non taglia", un vicepremier che sogna condoni e una leader d'opposizione che guarda allo specchietto retrovisore. E, defilato ma attivissimo, un Ministro dell'Economia che, stanco delle beghe domestiche, tenta di usare la legge di Bilancio come un ariete per forzare la politica industriale dell'Unione Europea.

Manca una visione d'insieme. E mentre la politica litiga su chi sia il "marziano", i container dalla Cina continuano ad arrivare. (Stefano Donno)





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