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sabato 25 ottobre 2025
venerdì 24 ottobre 2025
La Manovra della Smentita: il Governo contro se stesso sul "Decreto Svista" - ecco cosa ne penso
La Legge di Bilancio è, per definizione, l'atto politico più rilevante di un esecutivo. È la mappa con cui si intende navigare l'anno a venire. Eppure, osservando il "teatrino" della maggioranza non appena la Manovra 2026 ha varcato la soglia del Consiglio dei Ministri per approdare in Parlamento, la sensazione non è quella di una rotta tracciata, ma di un equipaggio in ammutinamento prima ancora di salpare.
Quello a cui assistiamo non è il fisiologico dibattito parlamentare, ma una surreale "governance della smentita", dove i ministri sconfessano oggi ciò che loro stessi hanno approvato ieri.
Il caso più emblematico, che sfiora la commedia dell'arte, è lo scontro aperto tra i due vicepremier, Antonio Tajani e Matteo Salvini. Il pomo della discordia? Molteplice.
Da un lato, il leader di Forza Italia veste i panni dell'oppositore interno e attacca frontalmente il collega della Lega sui tagli ai trasporti. Tajani chiede a Salvini, titolare del MIT, di "rimediare" ai definanziamenti per la Metro C di Roma e la M4 di Milano. Una mossa politicamente astuta: Forza Italia si intesta la difesa delle grandi aree urbane, lasciando a Salvini l'imbarazzo di un ministero che, a quanto pare, subisce tagli senza che il suo ministro se ne accorga.
Ma il capolavoro della confusione si raggiunge sulla tassa sugli affitti brevi. Qui, Tajani e Salvini si ritrovano magicamente alleati nel criticare un aumento della cedolare secca che entrambi hanno appena votato in CdM. Come è possibile? Semplice: è stata una "svista", una "distrazione".
I due vicepremier, di fatto, ammettono di aver approvato un testo a loro "insaputa", come ironicamente sottolineato dalle opposizioni.
Questo scenario apre la porta al più classico degli sport nazionali: lo scaricabarile. Se la politica vota provvedimenti che non condivide, la colpa di chi è? Ovviamente dei tecnici. Tajani non perde occasione per sferrare un attacco ai "grand commis" del Ministero dell'Economia, rei di voler "punire" i cittadini con nuove tasse. Un messaggio chiaro: la politica è buona, è la burocrazia (del MEF, ministero guidato dal leghista Giorgetti) ad essere cattiva.
In questo caos calcolato, l'unico a tentare di tenere la barra dritta sembra proprio il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, costretto a difendere non solo i conti pubblici, ma anche l'onorabilità dei suoi stessi tecnici dagli attacchi dei suoi alleati di governo.
La verità è che questa Manovra, prima ancora di essere emendata dal Parlamento, è già stata "emendata" dalle dichiarazioni alla stampa dei suoi stessi proponenti. È la dimostrazione di una maggioranza che governa come se fosse in perenne campagna elettorale, dove ogni partito non difende la linea dell'esecutivo, ma marca il territorio in vista del prossimo sondaggio.
Mentre alleati minori, come Lupi, ricordano candidamente a Tajani che a quel vertice "ha condiviso tutto", la domanda sorge spontanea: se i vicepremier non leggono, o non capiscono, o sconfessano ciò che votano, chi sta davvero guidando il Paese? (Stefano Donno)
Ritratto senza somiglianza di Georgij Ivanov - contiene il saggio Da Puskin agli specchi di Ivanov di Carmelo Claudio Pistillo (La Vita Felice)
Georgij Vladimirovič
Ivànov: (Governatorato di Kovno 1894 - Hyères 1958), scrittore e poeta russo, è
considerato uno dei più grandi poeti dell’emigrazione russa. Dopo essersi
diplomato all’Accademia militare di San Pietroburgo, Ivanov cominciò a
collaborare con l’importante rivista letteraria «Apollon», sostituendo il poeta
e critico Gumilëv. Nel 1923 emigrò a Parigi, dove collaborò con varie riviste
in qualità di poeta, giornalista e critico. Nel 1943, trasferitosi a Biarritz
con la moglie, subì l’esproprio dei beni da parte dei nazisti occupanti. Dall’inizio
del febbraio 1955 fino alla sua morte egli visse nella più completa miseria
nell’ospizio di Hyères, vicino a Nizza
giovedì 23 ottobre 2025
Il Paradosso Meloni: Governare l'Italia Attaccando l'Europa. Il Manuale Trump sbarca a Bruxelles. - ecco cosa ne penso
C'è un'arte sottile nel populismo moderno, un manuale non scritto che Donald Trump ha trasformato in vangelo politico: candidarsi contro il sistema, governare contro il sistema, e non smettere mai di attaccare il sistema, anche quando quel sistema sei tu. L'analisi che emerge dal dibattito attuale, e che paragona la strategia europea di Giorgia Meloni alla "America anti-americana" di Trump, non è solo una provocazione intellettuale. È la diagnosi esatta della più grande contraddizione del potere sovranista.
La tesi è affilata: Meloni non vuole un'Italexit. Quella è roba vecchia, un'opzione rozza, da prima della classe. La strategia odierna, molto più sofisticata, è costruire un'"Europa anti-europea".
Non si tratta più di abbattere il palazzo, ma di occuparne i piani alti per lamentarsi delle fondamenta.
Il parallelismo con Trump è perfetto. L'ex (e forse futuro) presidente USA ha costruito una carriera politica convincendo l'America profonda che il nemico fosse Washington D.C., il "deep state", le élite federali. Lo ha fatto dal Bureau Ovale. Ha delegittimato l'FBI, la CIA, il Dipartimento di Giustizia, ovvero l'architrave stessa del governo che presiedeva. Ha creato un'America ostile alla propria stessa struttura di potere.
Giorgia Meloni sta applicando lo stesso copione, con le dovute traduzioni. Il suo nemico non è (più) l'Euro in sé, ma la "burocrazia di Bruxelles", i "tecnocrati senz'anima", i "poteri forti" che minacciano la nostra identità. E lo fa dal pulpito di Palazzo Chigi, lo stesso pulpito da cui annuncia i successi nell'ottenimento dei fondi del PNRR, fondi che sono l'Europa.
Questa è la grande illusione del "sovranismo 2.0". Si partecipa ai vertici, si stringono mani, si negoziano accordi, e un minuto dopo si torna in patria per denunciare quegli stessi vertici come un covo di nemici. È una strategia politicamente geniale per il consenso interno: ogni successo è merito del governo nazionale, ogni fallimento – dall'inflazione alla crisi migratoria – è colpa dell'Europa.
Ma qui sta il punto critico, l'inganno che un giornalismo serio ha il dovere di smascherare. L'America di Trump, per quanto divisa, resta un'unica nazione sovrana. L'Unione Europea, invece, è un patto volontario tra ventisette Stati. Giocare a fare Trump a Bruxelles ha conseguenze infinitamente più pericolose.
Quando si attacca il "sistema americano" dall'interno, si logora la fiducia nelle istituzioni nazionali. Quando si attacca il "sistema Europa" dall'interno, si logora l'unica vera rete di sicurezza economica e geopolitica che l'Italia possiede. Non si può chiedere solidarietà allo spread alla BCE e contemporaneamente dipingere Francoforte come un avversario. Non si può implorare una soluzione comune sui migranti e definire l'UE un'entità ostile.
La strategia dell'"Europa anti-europea" è un gioco di prestigio retorico. È un tentativo di avere i benefici della stabilità comunitaria (i soldi, il mercato unico, lo scudo politico) senza pagarne il prezzo in termini di cessione di sovranità, o quantomeno di lealtà.
È una performance per la platea nazionale, ma il rischio è che, a forza di recitare, il teatro crolli davvero. E sotto le macerie, a differenza dell'autosufficiente America, l'Italia si ritroverebbe tragicamente sola. (Stefano Donno)
L'albero della libertà di William Wall (Aboca Edizioni)
mercoledì 22 ottobre 2025
L'asilo di Kharkiv: l'innocenza nel mirino. Questo non è un incidente, è un messaggio - ecco cosa ne penso
Non chiamatelo "danno collaterale". Non osate archiviarlo come un tragico, inevitabile errore nel caos della battaglia. Il drone russo che ha colpito un asilo a Kharkiv, in pieno giorno, è l'ultima, agghiacciante firma di una strategia che ha superato da tempo i confini del conflitto convenzionale per abbracciare il terrore puro.
Quando il presidente Zelensky parla di "uno sputo in faccia alla pace", coglie solo una frazione della verità. Quello a cui abbiamo assistito non è solo un attacco alla flebile speranza di negoziati; è un attacco deliberato alla normalità, alla resilienza e al futuro stesso dell'Ucraina.
Analizziamo i fatti con la freddezza che la politica internazionale richiede. Un asilo non è un obiettivo militare. Non ospita batterie di missili, non è un centro di comando. È, per definizione, un santuario di innocenza. Colpirlo in pieno giorno non massimizza il danno strategico-militare; massimizza il terrore psicologico.
Il Cremlino, con questa azione (l'ultima di una lunga serie), sta inviando un messaggio multiplo, e nessuno di questi è rivolto ai soldati al fronte.
Il primo messaggio è per la popolazione di Kharkiv: "Nessun luogo è sicuro. Non i vostri ospedali, non le vostre case, nemmeno le culle dei vostri figli. Arrendetevi, perché la vostra resistenza quotidiana vi costerà ciò che avete di più caro". È la logica della mafia applicata alla geopolitica.
Il secondo messaggio è per l'Occidente. In un momento in cui i dibattiti politici a Washington, Bruxelles e nelle capitali europee si concentrano sulla sostenibilità degli aiuti, sull'aumento dei costi e sulla "stanchezza da guerra", Mosca alza la posta della brutalità. Sta testando i nostri limiti morali. Sta scommettendo sul fatto che la nostra indignazione sarà temporanea, che un comunicato stampa di condanna della Casa Bianca o della Commissione UE sarà seguito dall'inazione.
Il drone su Kharkiv è la dimostrazione plastica che ogni appello alla "moderazione" russa, ogni ingenua speranza di un "cessate il fuoco" basato sulla buona volontà, è fumo negli occhi. Non si può negoziare la pace con chi usa i bambini come leva militare. Qualsiasi trattativa che inizi senza il presupposto del ritiro totale e della responsabilità per questi atti non è diplomazia, è un invito alla prossima atrocità.
L'attacco all'asilo di Kharkiv non è un dettaglio della cronaca di guerra. È il riassunto della guerra stessa. È la disumanizzazione dell'avversario portata al suo estremo logico.
Se la risposta internazionale si limiterà al solito, stanco copione di condanne formali, se non accelereremo il supporto necessario a Kiev per difendere i propri cieli, allora quello "sputo in faccia" descritto da Zelensky non sarà rivolto solo alla pace. Sarà rivolto anche a noi, alla nostra apatia e alla nostra paralisi strategica. L'orrore di oggi è il prezzo della nostra indecisione di ieri
Cromatismi di Paulo Scott (Tulemond)
Dove si stabilisce il confine tra una sfumatura di colore e quella immediatamente successiva? E se la differenza intercorre tra i colori della pelle di due fratelli? Federico vive a Brasilia. Ha preso parte a una commissione governativa, nata per discutere l’ideazione di un software capace di stabilire, attraverso biometrie facciali degli studenti, chi è ‘abbastanza nero’ da meritare uno dei posti riservati nelle Università. Durante i lavori, un’improvvisa richiesta d’aiuto da parte del fratello Lourenço lo riporta nella sua città natale, Porto Alegre. Seguendo le loro storie, Paulo Scott intreccia le tematiche dell’autoidentificazione etnica, dell’ingiustizia sociale e del razzismo strutturale in Brasile. Paulo Scott è nato nel 1966 a Porto Alegre: prima di dedicarsi alla scrittura è stato avvocato e docente di Diritto. Scrittore, sceneggiatore e giornalista, ha pubblicato opere di narrativa, poesia e una graphic novel
martedì 21 ottobre 2025
L'Inverno di Kiev: L'Ucraina Sull'Altare del Realismo Americano - ecco cosa ne penso
Mentre il mondo guarda con il fiato sospeso alla fragile tregua in Medio Oriente, un altro gelo, ben più strategico, sta calando sull'Europa orientale. La notizia della sospensione del vertice tra il Segretario di Stato Rubio e il Ministro degli Esteri russo Lavrov non è un semplice intoppo diplomatico; è il sintomo di un riallineamento tettonico. A Washington, la diplomazia ha smesso i panni del sostegno incondizionato per indossare quelli, ben più ruvidi, del "dealmaker".
La guerra in Ucraina, per l'amministrazione Trump, non è più una crociata per la democrazia, ma un fastidioso dossier da chiudere. E in fretta.
Il messaggio inviato dal Presidente Trump a Zelensky è di una chiarezza brutale: "Cedi a Putin o sarete distrutti". Non si tratta di negoziati, ma di un ultimatum. L'idea, un tempo eretica, di "dividere il Donbass" viene ora sdoganata dalla Casa Bianca come una soluzione "possibile", accompagnata dalla cinica valutazione che per Kiev sia "difficile vincere".
Questo non è più Realpolitik; è un abbandono in mondovisione. Mentre il vicepresidente Vance è a Tel Aviv per gestire la crisi a Gaza — che offre a Washington la scusa perfetta per distogliere lo sguardo — all'Ucraina viene presentato il conto. Un conto scritto da Mosca e vistato da Washington.
E l'Europa? L'Unione Europea, come un pugile suonato, tenta di "fare quadrato". Si parla di utilizzare gli asset russi congelati, si promette un ennesimo "stop al gas". Parole nobili che si scontrano con la realtà dei fatti: il tredicesimo pacchetto di aiuti militari è bloccato, impantanato nei veti e nelle titubanze. Anche in Italia, la linea del governo Meloni appare sempre più "lontana da Kiev", come notano gli osservatori più attenti, con un occhio a Washington e l'altro alle proprie turbolenze interne. L'Europa, senza la guida militare americana, si scopre nuda, incapace di sostenere lo sforzo bellico da sola.
Chi osserva e gongola è, ovviamente, il Cremlino. La dichiarazione di Sergey Lavrov, "siamo contrari a un cessate il fuoco immediato", non è un atto di belligeranza, ma un calcolo strategico. Perché mai Putin dovrebbe negoziare ora? Con un'amministrazione americana che sta attivamente smantellando il sostegno al suo avversario e un'Europa divisa e lenta, a Mosca basta attendere. Il tempo lavora per loro.
Le parole di Zelensky, che pure tenta di rassicurare parlando di una "guerra che può finire davvero", suonano ormai disperate. Il suo appello a "passi decisivi degli alleati" è destinato a cadere nel vuoto.
Ciò a cui stiamo assistendo non è la costruzione della pace, ma l'architettura di una resa imposta. L'Ucraina, dopo aver combattuto con un coraggio che ha ispirato il mondo, sta per essere sacrificata sull'altare di un nuovo "realismo" americano, che preferisce una pace ingiusta oggi a una giusta (ma costosa) vittoria domani. L'inverno, per Kiev, sta arrivando. E questa volta non è solo una questione meteorologica. (Stefano Donno)
L'Europa sonnambula e la sveglia gelata di Ian Bremmer
Se c’era ancora qualcuno a Bruxelles o nelle cancellerie europee che sperava che il secondo mandato di Donald Trump fosse solo una versione...
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