La Legge di Bilancio è, per definizione, l'atto politico più rilevante di un esecutivo. È la mappa con cui si intende navigare l'anno a venire. Eppure, osservando il "teatrino" della maggioranza non appena la Manovra 2026 ha varcato la soglia del Consiglio dei Ministri per approdare in Parlamento, la sensazione non è quella di una rotta tracciata, ma di un equipaggio in ammutinamento prima ancora di salpare.
Quello a cui assistiamo non è il fisiologico dibattito parlamentare, ma una surreale "governance della smentita", dove i ministri sconfessano oggi ciò che loro stessi hanno approvato ieri.
Il caso più emblematico, che sfiora la commedia dell'arte, è lo scontro aperto tra i due vicepremier, Antonio Tajani e Matteo Salvini. Il pomo della discordia? Molteplice.
Da un lato, il leader di Forza Italia veste i panni dell'oppositore interno e attacca frontalmente il collega della Lega sui tagli ai trasporti. Tajani chiede a Salvini, titolare del MIT, di "rimediare" ai definanziamenti per la Metro C di Roma e la M4 di Milano. Una mossa politicamente astuta: Forza Italia si intesta la difesa delle grandi aree urbane, lasciando a Salvini l'imbarazzo di un ministero che, a quanto pare, subisce tagli senza che il suo ministro se ne accorga.
Ma il capolavoro della confusione si raggiunge sulla tassa sugli affitti brevi. Qui, Tajani e Salvini si ritrovano magicamente alleati nel criticare un aumento della cedolare secca che entrambi hanno appena votato in CdM. Come è possibile? Semplice: è stata una "svista", una "distrazione".
I due vicepremier, di fatto, ammettono di aver approvato un testo a loro "insaputa", come ironicamente sottolineato dalle opposizioni.
Questo scenario apre la porta al più classico degli sport nazionali: lo scaricabarile. Se la politica vota provvedimenti che non condivide, la colpa di chi è? Ovviamente dei tecnici. Tajani non perde occasione per sferrare un attacco ai "grand commis" del Ministero dell'Economia, rei di voler "punire" i cittadini con nuove tasse. Un messaggio chiaro: la politica è buona, è la burocrazia (del MEF, ministero guidato dal leghista Giorgetti) ad essere cattiva.
In questo caos calcolato, l'unico a tentare di tenere la barra dritta sembra proprio il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, costretto a difendere non solo i conti pubblici, ma anche l'onorabilità dei suoi stessi tecnici dagli attacchi dei suoi alleati di governo.
La verità è che questa Manovra, prima ancora di essere emendata dal Parlamento, è già stata "emendata" dalle dichiarazioni alla stampa dei suoi stessi proponenti. È la dimostrazione di una maggioranza che governa come se fosse in perenne campagna elettorale, dove ogni partito non difende la linea dell'esecutivo, ma marca il territorio in vista del prossimo sondaggio.
Mentre alleati minori, come Lupi, ricordano candidamente a Tajani che a quel vertice "ha condiviso tutto", la domanda sorge spontanea: se i vicepremier non leggono, o non capiscono, o sconfessano ciò che votano, chi sta davvero guidando il Paese? (Stefano Donno)

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