Riandando con la mente a Champagne e quindi Peppino di Capri, mi sono fermato a pensare a Roberta Stoppa. Non solo la musa di una canzone che ancora in qualche modo canticchiamo, ma una donna che racconta un’Italia che non c’è più. Nata a Torino nel ’41, modella di quelle che negli anni ’60 incarnavano il sogno del boom economico, conosce Peppino a Ischia nel ’59 – lei, diciottenne, balla con William Holden, lui, ventenne, già incantato. Due anni dopo sono marito e moglie, e nel ’63 nasce Roberta, un inno d’amore che sa di vinile e serate sulla spiaggia.
Eppure, la loro storia è lo specchio di un’epoca: passione, crisi, riflettori puntati. Si separano nel ’69, quando lei è incinta di Igor, e poi arriva Giuliana. Roberta, però, resta e rimane in assoluto un simbolo: una ragazza che voleva brillare, che curava l’immagine di lui come una pioniera delle PR, in un’Italia che correva verso il lusso e l’apparenza. Mi colpisce quel dettaglio della fiction – la casa piena di sfarzo, quasi un set cinematografico – perché dice tanto di lei e di quegli anni.
Oggi, a guardarla con gli occhi di un comune mortale del 2025, mi chiedo: quanto di Roberta c’è ancora in noi? Quel bisogno di essere visti, di lasciare un segno, in un mondo che cambia troppo in fretta. Lei, forse, non lo sapeva, ma è stata più di una musa: è stata un riflesso di un Paese che sognava in grande, a volte troppo.
Riandando con la mente a Champagne e quindi Peppino di Capri, mi sono fermato a pensare a Roberta Stoppa. Non solo la musa di una canzone che ancora in qualche modo canticchiamo, ma una donna che racconta un’Italia che non c’è più. Nata a Torino nel ’41, modella di quelle che negli anni ’60 incarnavano il sogno del boom economico, conosce Peppino a Ischia nel ’59 – lei, diciottenne, balla con William Holden, lui, ventenne, già incantato. Due anni dopo sono marito e moglie, e nel ’63 nasce Roberta, un inno d’amore che sa di vinile e serate sulla spiaggia.
Eppure, la loro storia è lo specchio di un’epoca: passione, crisi, riflettori puntati. Si separano nel ’69, quando lei è incinta di Igor, e poi arriva Giuliana. Roberta, però, resta e rimane in assoluto un simbolo: una ragazza che voleva brillare, che curava l’immagine di lui come una pioniera delle PR, in un’Italia che correva verso il lusso e l’apparenza. Mi colpisce quel dettaglio della fiction – la casa piena di sfarzo, quasi un set cinematografico – perché dice tanto di lei e di quegli anni.
Oggi, a guardarla con gli occhi di un comune mortale del 2025, mi chiedo: quanto di Roberta c’è ancora in noi? Quel bisogno di essere visti, di lasciare un segno, in un mondo che cambia troppo in fretta. Lei, forse, non lo sapeva, ma è stata più di una musa: è stata un riflesso di un Paese che sognava in grande, a volte troppo.

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