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martedì 25 marzo 2025

Nadia Cassini... un’esplosione di vita che ha attraversato gli anni ’70 e ’80 italiani con la forza di un uragano!

Nadia Cassini non è stata solo un volto, un corpo o un nome da locandina. È stata un simbolo, un’esplosione di vita che ha attraversato gli anni ’70 e ’80 italiani con la forza di un uragano, lasciando dietro di sé un’eredità che ancora oggi fa discutere, sorridere e, per molti, sognare. Come uno che ha passato anni a osservare il mondo dello spettacolo, la televisione e i mutamenti della società, non posso che guardare a lei con un misto di ammirazione e nostalgia. Nadia, scomparsa il 18 marzo 2025 a Reggio Calabria all’età di 76 anni dopo una lunga malattia, è stata molto più di una “star della commedia sexy all’italiana”: è stata un riflesso di un’Italia che non aveva paura di guardarsi allo specchio, con i suoi vizi, i suoi desideri e la sua irresistibile ironia.
Nata Gianna Lou Müller a Woodstock nel 1949, figlia di due artisti di vaudeville – un padre tedesco-americano e una madre di origini italiane – Nadia sembrava destinata al palcoscenico fin dal primo respiro. La sua vita è stata un romanzo: lascia presto la famiglia, si mantiene cantando nei night club, ballando, posando come modella. Entra nella cronaca rosa come amante di Georges Simenon, il maestro del noir, e poi sposa il conte Igor Cassini, giornalista e fratello dello stilista Oleg, arrivando in Italia alla fine degli anni ’60. È qui che la sua storia prende una piega unica, trasformandola in un’icona che il nostro Paese non dimenticherà mai.
Sul grande schermo, Nadia ha dato vita a un genere – la commedia sexy all’italiana – che oggi può far storcere il naso ai più puritani, ma che negli anni ’70 era un fenomeno di costume, un’esplosione di leggerezza e trasgressione. Film come L’insegnante balla… con tutta la classe (1979), L’infermiera nella corsia dei militari (1979) con Lino Banfi, o La dottoressa ci sta col colonnello (1980) non erano solo titoli da cassetta: erano specchi di un’Italia che rideva di sé stessa, che celebrava il desiderio senza troppi moralismi. Nadia, con quel suo fondoschiena assicurato per un miliardo di lire e un viso da angelo birichino, era perfetta per quel mondo. Non recitava capolavori d’autore, certo, ma portava sullo schermo una vitalità che inchiodava gli spettatori alle poltrone. E lo faceva con un’ironia che, a riguardarla oggi, aveva qualcosa di profondamente autentico.
Poi c’è stata la televisione, quel passaggio naturale per una diva del suo calibro. Negli anni ’80, sulle neonate reti Mediaset di Silvio Berlusconi, Nadia diventa una delle prime sex symbol dell’era delle tv private. Partecipa a Premiatissima con Amanda Lear, illumina Drive In con il suo carisma, si fa spazio a Risatissima. Ma non era solo bellezza: c’era un carattere, un’energia irrequieta. Dicono fosse irascibile, difficile sul set, e forse è vero. Eppure, dietro quel temperamento c’era una donna che non voleva essere solo un oggetto da ammirare. Cantava (chi non ricorda A chi la do stasera?), posava per Playboy e Playmen, sognava di ballare e recitare altrove. La sua voce, spesso doppiata al cinema per la difficoltà con l’italiano, nascondeva un’anima che cercava di rompere gli schemi.
La sua parabola, però, non è stata senza ombre. Dopo il ritiro dalle scene italiane alla fine degli anni ’80 – prima in Francia, poi negli Stati Uniti – Nadia ha vissuto una vita segnata da alti e bassi. Un intervento di chirurgia plastica mal riuscito le deturpò il viso, spingendola verso l’alcolismo, da cui uscì grazie al sostegno della madre e della figlia Kassandra, nata dalla relazione con l’attore greco Yorgo Voyagis. Un incidente d’auto nel 2009 le fratturò il corpo e forse anche un po’ lo spirito. Eppure, nelle rare apparizioni successive, come quella a Domenica Live nel 2013, si percepiva ancora quella scintilla, quel desiderio di tornare, di raccontare qualcosa di nuovo.
Nadia Cassini ci lascia con un’eredità complessa. È stata il sogno erotico di una generazione, sì, ma anche una donna che ha incarnato un’Italia spudorata e vitale, lontana dal perbenismo di oggi. In un’epoca in cui tutto sembra filtrato dal politicamente corretto, la sua sfacciataggine ci manca. Era un’icona che non si scusava di esistere, e forse è per questo che il suo addio fa così male. Come direbbe un amico davanti a un caffè: “Nadia era un fuoco, e quel fuoco non si spegne facilmente nei ricordi di chi l’ha vista brillare”. (s.d.)



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