Immaginate un mondo dove non c’è più una meta, un cartello con scritto 'arrivo', né un’app che ti dice 'gira a destra tra 300 metri'. Immaginate un tizio – o una tizia, eh, non discriminiamo – che cammina, semplicemente cammina, senza Google Maps, senza un ‘dove sto andando’ tatuato in testa. Questo è il viandante di Umberto Galimberti, e no, non è un hippie in crisi esistenziale con lo zaino in spalla. È la risposta a un mondo che abbiamo incasinato con la tecnica, l’atomica e pure con l’IA che sto usando per scrivere ‘sto post (sì, scherzo, sono umano... o forse no?).
In L’etica del viandante (Feltrinelli), Galimberti ci sbatte in faccia una verità che fa male: l’etica dell’Occidente, quella col manuale 'uomo al centro, tutto il resto è contorno', è implosa. La tecnica? Non le puoi dire 'fermati', perché lei risponde 'posso, quindi faccio'. E noi, da bravi moderni, ci siamo illusi che pensare bene portasse al bene. Poi è arrivato il nazismo, la Shoah, Oppenheimer che gioca a Prometeo con l’atomica, e ciao illusioni. Come dice il filosofo argentino Benasayag, citato nel libro: dopo la Seconda guerra mondiale, la frase 'chi pensa bene pensa il bene' è diventata una barzelletta tragica.
Allora Galimberti ci lancia un salvagente: il viandante. Non il viaggiatore con l’itinerario su TripAdvisor, ma uno che cammina senza possedere, senza meta, tipo un Ulisse dantesco che dice 'Itaca? Carina, ma ora vediamo cosa c’è dopo'. È un’etica biocentrica, dove al centro non c’è l’uomo (scusate, egocentrici) ma la vita – quella di tutti: umani, piante, animali. Addio Stati, confini, guerre tollerate oltre la frontiera. La terra è la nostra unica patria, e la fraternità – quella che la Rivoluzione francese ha lasciato in soffitta – diventa la chiave.
E qui arriva il colpo di genio: non si tratta di valori, perché i valori dividono (tipo 'la mia patria è meglio della tua'). Si tratta di interessi, perché sull’interesse si media. È un’evoluzione culturale, un salto dalla clava alla bomba atomica, ma al contrario: verso la fratellanza, coi diritti della natura inclusi. San Francesco approverebbe, con quel suo 'fratello sole, sorella luna'.
Il viandante di Galimberti non è un anarchico che vaga a caso. È uno che abita il mondo nella sua 'innocenza casuale', senza cercare un senso che la tecnica ha già polverizzato. Heidegger lo aveva capito: 'tutto funziona, ed è proprio questo l’inquietante'. La tecnica non salva, non redime, non dà verità. Funziona e basta. E noi? Siamo sradicati, come diceva lui guardando la Terra dalla Luna.
Quindi sì, leggete questo libro. È un pugno nello stomaco, ma anche un invito a non aver paura dell’insolito – che sia l’IA, i migranti o il clima che ci urla 'svegliatevi'. Il viandante non ha catene, solo orme. E forse, in un mondo senza senso, è l’unico modo per non perdersi del tutto. Nietzsche lo direbbe meglio: 'La costa è sparita, orsù, coraggio, vecchio cuore!' (s.d.)
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