Immaginate una New York autunnale, le foglie che cadono lente su Soho, i loft illuminati da luci soffuse, e un’atmosfera che trasuda desiderio e trasgressione. È il 1986, e Nove settimane e mezzo irrompe sugli schermi, diventando un’icona istantanea, un cocktail di sensualità, eccesso e quel fascino decadente tipico degli anni ’80. Diretto da Adrian Lyne, il film non è solo una storia d’amore: è una fantasia erotica che ha segnato un’epoca, un’opera che, pur priva di profondità artistica, si è incisa nella memoria collettiva come un tatuaggio indelebile. Ma cosa rende questo film così irresistibile, nonostante i suoi difetti? E perché, quasi quarant’anni dopo, continua a sedurre e dividere il pubblico?
Una passione che brucia in fretta
La trama è semplice, quasi archetipica. Elizabeth (Kim Basinger), una gallerista sofisticata ma vulnerabile, incontra John (Mickey Rourke), un affascinante uomo d’affari con un’aura di mistero e un debole per il controllo. La loro relazione è un vortice di seduzione, giochi erotici e una tensione che oscilla tra il romantico e il disturbante. Non c’è spazio per il “per sempre” in questa storia: la loro passione è tanto intensa quanto destinata a implodere, come un fuoco d’artificio che illumina il cielo per poi spegnersi. Nove settimane e mezzo, appunto.
Il film non pretende di essere un capolavoro. La sceneggiatura è fragile, i personaggi sono più simboli che persone, e il messaggio, se mai ce n’è uno, si perde tra lenzuola di seta e fragole mangiate al rallentatore. Eppure, è proprio questa mancanza di pretese a renderlo un feticcio culturale. Nove settimane e mezzo non vuole insegnarti nulla: vuole solo farti sentire. E ci riesce, eccome.
Il fascino pericoloso di Mickey e Kim
Mickey Rourke e Kim Basinger sono il cuore pulsante del film. Rourke, con quel suo mix di carisma da cattivo ragazzo e vulnerabilità nascosta, era all’apice del suo fascino pre-chirurgia plastica. John è un predatore gentile, un uomo che seduce con sguardi e silenzi, ma che lascia sempre un’ombra di pericolo. Basinger, d’altra parte, è una rivelazione. La sua Elizabeth è fragile, curiosa, ma anche coraggiosa nel lasciarsi andare. La chimica tra i due è elettrica, e le loro scene insieme – dalle provocazioni in cucina al leggendario strip-tease sulle note di You Can Leave Your Hat On di Joe Cocker – sono pura alchimia.
A proposito di quello strip-tease: è probabilmente la scena più iconica del cinema anni ’80. Kim Basinger, illuminata da una luce calda, si muove con una sensualità che è allo stesso tempo vulnerabile e potente. È una performance che ha fatto storia, anche se – sorpresa! – nelle inquadrature più audaci il corpo non è il suo, ma quello di una controfigura. Questo dettaglio, emerso anni dopo, non ha scalfito il mito: Basinger divenne comunque un’icona, l’idolo di un’intera generazione (soprattutto maschile).
Un film, due versioni, mille polemiche
Nove settimane e mezzo è anche un caso studio sulla censura e le differenze culturali. La versione originale, mai arrivata nei cinema, durava oltre tre ore e scavava più a fondo nella psicologia dei personaggi. Troppo lunga, troppo esplicita, troppo scomoda per il pubblico americano dell’epoca. La versione distribuita negli Stati Uniti fu tagliata e addolcita per aggirare le forbici della censura, mentre in Europa il film arrivò in una forma più cruda e audace. Questo doppio standard riflette il paradosso del film: un prodotto che vuole essere trasgressivo, ma deve piegarsi alle convenzioni del mercato.
E poi c’è la questione del valore artistico, o della sua presunta assenza. I critici dell’epoca lo massacrarono, definendolo superficiale, voyeuristico, persino misogino. Ma è proprio questa mancanza di ambizioni intellettuali a rendere il film così autentico nel suo genere. Nove settimane e mezzo non vuole essere Citizen Kane. È un’esperienza sensoriale, un viaggio nel desiderio che non ha bisogno di giustificazioni.
Perché guardarlo oggi?
Nel 2025, in un mondo dove la sessualità esplicita è a portata di clic, Nove settimane e mezzo potrebbe sembrare datato. Eppure, il suo fascino resiste. Forse è la nostalgia per un’epoca in cui il cinema osava essere sensuale senza essere pornografico. Forse è la colonna sonora, con Joe Cocker che trasforma una canzone in un inno al desiderio. O forse è semplicemente la chimica tra Rourke e Basinger, che ci ricorda come l’attrazione umana, con tutte le sue complessità e contraddizioni, sia sempre un mistero da esplorare.
Se non l’avete mai visto, guardatelo con gli occhi di chi vuole immergersi in un sogno anni ’80, con i suoi eccessi e le sue imperfezioni. Se lo avete già visto, riguardatelo per riscoprire quella New York autunnale, quel brivido di un amore che brucia troppo in fretta. In fondo, Nove settimane e mezzo è come una storia d’amore intensa ma breve: non cambia la tua vita, ma ti lascia con un sorriso e un po’ di batticuore.
E tu, sei pronto a lasciarti sedurre? O preferisci lasciare il cappello dov’è?
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