C’è un’immagine, brutale nella sua semplicità, che riassume la tragica schizofrenia di queste ore: da una parte il ronzio asettico delle linee diplomatiche protette, dall’altra il boato assordante delle esplosioni che squarciano la notte di Kiev. Mentre Volodymyr Zelensky si collega in videochiamata con i vertici del G7 e dell’Unione Europea, la capitale ucraina non dorme, costretta ancora una volta a contare i danni di un cielo che piove fuoco.
La cronaca riportata da Il Sole 24 Ore ci restituisce questo spaccato duale. Ma se guardiamo oltre la notizia, ciò che emerge è un quadro politico allarmante: il rischio concreto che la "routine della guerra" stia anestetizzando le coscienze e, peggio ancora, le agende politiche occidentali.
La diplomazia del "Giorno Dopo"
Le bombe cadono di notte; le telefonate arrivano di giorno. Questo sfasamento temporale è diventato la metafora perfetta del ritardo cronico dell'Occidente. Zelensky ribadisce, con la stanchezza di chi ripete lo stesso copione da quasi due anni, l'urgenza di sistemi di difesa aerea. Non chiede miracoli, chiede scudi.
Dall'altra parte della cornetta, i leader UE e G7 offrono rassicurazioni, pacchetti di sanzioni (l’ennesimo) e promesse di supporto "finché sarà necessario". Tuttavia, la domanda che sorge spontanea, e che richiede uno sguardo critico, è: il "necessario" dell'Europa coincide con l'urgenza di sopravvivenza dell'Ucraina?
L'illusione dello stallo
Mentre i leader discutono di asset russi congelati e di percorsi di adesione all'UE, la realtà sul campo è fatta di una guerra di attrito che non conosce pause. L'errore strategico che l'Europa sta compiendo è credere che lo stallo del fronte significhi stabilità. Non è così. I bombardamenti notturni su Kiev dimostrano che Mosca non ha intenzione di abbassare la guardia, puntando tutto sul logoramento psicologico e infrastrutturale del nemico.
Il pericolo, per Bruxelles e per le cancellerie europee, è trasformare il conflitto ucraino in un rumore di fondo. Un fastidioso sottofondo geopolitico che c'è, ma che non deve disturbare troppo le elezioni interne, le crisi economiche o i dibattiti sul Patto di Stabilità.
Il dovere della velocità
La critica qui deve essere netta. La solidarietà politica è lodevole, ma non intercetta i missili balistici. La lentezza burocratica nell'approvazione e nella consegna degli aiuti militari sta costando vite umane e territori. Ogni "call" che si conclude senza un calendario preciso di consegne è una vittoria tattica per il Cremlino.
L'Europa si trova di fronte a un bivio morale e strategico. Continuare con la politica dei piccoli passi, rassicurante per le opinioni pubbliche interne ma insufficiente per Kiev, o compiere quel salto di qualità che trasformi le parole in deterrenza reale.
Zelensky ringrazia, come impone il protocollo. Ma dietro i sorrisi di circostanza nelle videoconferenze, lo sguardo è quello di chi sa che stanotte, molto probabilmente, le sirene suoneranno ancora. E a quel punto, nessuna dichiarazione congiunta potrà coprire il rumore delle esplosioni.
L'Europa deve decidere se vuole essere l'architetto della pace o il notaio della distruzione dell'Ucraina. Il tempo delle telefonate di cortesia è finito; è tempo che la velocità della diplomazia raggiunga quella dei missili. (Stefano Donno)

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