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venerdì 11 dicembre 2020
giovedì 10 dicembre 2020
Il falò della follia di Federico Lenzi (I Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno)
La banalità non merita poesia e Federico Lenzi qui sembra rispondere, con convinta adesione, a quanto Maurizio Cucchi andava affermando circa venti anni addietro. Si era appena entrati nel nuovo millennio e, notando che «la poesia civile non è genere che goda oggi di particolare fortuna», si diceva «convinto che il poeta abbia anche un dovere di interpretazione e intervento, di critica e denuncia, rispetto alla realtà del suo tempo». Possiamo parlare, dunque, di sistema nella riflessione poetica di Federico Lenzi? Sarebbe troppo impegnativo e si caricherebbe di eccesive responsabilità un neomaggiorenne. Con le inevitabili limitazioni dovute alla sua giovane età e con l’ammirazione per le sue numerose e piacevolmente disordinate frequentazioni culturali e letture, sembra di poter intravedere – talvolta in maniera evidente, talaltra in forma accennata – quanto Matteo Lefèvre, qualche anno fa, scrisse a proposito di una bella e controversa voce statunitense, parlando di «una poesia... comprometida, “impegnata”» e ponendo così in luce una «voce… libera e fresca, mai ingessata o annunciata». È questa freschezza di verso, che consente di descrivere un recinto di valori per la poesia di Federico Lenzi; un recinto ampio con diverse possibilità di essere allargato, non un hortus conclusus che ha il sapore dell’egoismo e della sufficienza, piuttosto che dell’organicità e della necessità di contaminarsi. Del resto, sono passati appena cinque anni da quando – già fisicamente fuori misura rispetto ai coetanei – Federico Lenzi usciva dalla scuola media, a volte “solo e pensoso”, tirandosi dietro il trolley di libri: immaginavo tanti libri e tanto spazio vuoto in quella valigia. Invece no, con i libri c’erano anche tanti frammenti e lacerti di un discorso che in queste pagine egli ha cercato di comporre in maniera più compiuta. È da credere che siano rimasti nel trolley tanti altri frammenti da elaborare e per questi ultimi il tempo della fioritura sembra già alle porte. (dalla prefazione di Angelo Sconosciuto)
Federico Lenzi nasce a Brindisi il 24 agosto nel 2001. Si dedica all’attività poetica a partire dai quindici anni, trovandola unico sfogo per liberarsi da quelle prigioni che alcuni chiamano adolescenza, altri prospettiva di vita. L’iniziale incanto della parola fine a se stessa viene poi mutato in favore di un’opera che tenti l’abbattimento di una società marcia, filo conduttore di questa raccolta. Da sempre affascinato dallo studio delle Lettere, studia e vive a Bologna, dove ancora si dedica all’Arte in attesa di idee più alteIn copertina:Burn it to the ground by Christopher Burns on Unsplash Photo by Camila Quintero Franco on UnsplashPhoto: Photo by Elijah O’Donnell on Unsplash
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mercoledì 9 dicembre 2020
Il mare una storia da riscrivere di Paola Scialpi (I Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno)
Paola, con una descrizione delicata ed elegante, dà un’anima e un cuore rossosangue a persone umane, che hanno patito tribolazioni estreme. E che, per un senso di giustizia, dovrebbero ambire ad una vita migliore. Dovrebbero traversare l’esistenza con meno ansietà, meno colpi inferti, talvolta, anche da altri uomini sfruttatori e meschini. (Marcello Buttazzo)
“Mare: Una storia da riscrivere”, datata 2017, e con un inizio: “...mamma ho sete...”. Così inizia e viene da noi letta la narrazione per immagini della scrittura di Paola Scialpi. Il Rosso (è) il Nero e nelle intensità (è) nel peso di un primario colore e di un non colore, il nero. Il tessuto cromatico si avvicenda nel viceversa. Il transito nella storia si accompagna per essere nei simboli graduati nel grigio. A leggere con attenzione le immagini e le parole, congiunte dal terribile e con il relitto di un naufragio, ci si domanda, da subito, cos’è il mare? Cos’è la terra, se isola o continente? L’assillo è come il mare possa circondare, separare e contenere (Francesco Pasca)
La speranza di percorrere un viaggio e raggiungere un porto sul quale ancorarsi, la speranza di vivere ancora. E in fondo negli abissi dell’anima percorrendo i paesaggi delle grida, del silenzio, dell’indifferenza emergono la volontà, il desiderio di ricominciare, di essere accolti, riconosciuti come altri da sé, ma pur umani. (Alessandra Peluso)
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