In una Varsavia che crolla a pezzi, i ragazzi di strada stringono fra le mani le bottiglie di benzina che sono impazienti di scagliare contro i carri armati tedeschi, mentre intorno a loro infuria quell’insurrezione che Białoszewski ha saputo miracolosamente farci vivere dall’interno.
Gli spettri della guerra irrompono in Canzone nera,
lasciando la giovane Szymborska con un nodo stretto in gola, «intriso
d’ira», per la scomparsa dell’amato, ricca di una conoscenza del mondo
che è il solo, amaro bottino, e alla ricerca di nuove parole: «A che
serve la conoscenza della morte. / A causa sua si raffredda il tè sul
tavolo. / Niente atmosfera. Di parole di sapone». I moltissimi,
appassionati lettori abituati al suo bisogno di essere sempre universale
rimarranno certo stupiti di fronte a testi che lasciano intravedere in
filigrana le lacerazioni della Storia. Non a caso, dopo averli composti
fra il 1944 e il 1948, Wisława Szymborska non ha voluto raccoglierli in
volume, forse anche perché l’Unione degli scrittori polacchi si era nel
frattempo pronunciata a favore del realismo socialista come unico stile
ufficiale. Superato lo stupore, quei lettori non potranno tuttavia che
riconoscere la sua impavida sicurezza di tocco, e rimanerne conquistati:
«– è dallo stupore / che sorge il bisogno di parole / e perciò ogni
poesia / si chiama Stupore –».
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