Una storia di ragazzi devastata da un’esplosione di violenza senza senso, che forse solo un racconto collettivo può ricominciare a fare sentire nostra.
Questa è una storia che si potrebbe raccontare
in poche righe: in una notte di fine estate, intorno alle 3.20, in una
cittadina di provincia del basso Lazio, un ragazzo italiano di origine
capoverdiane, Willy Monteiro Duarte, viene ammazzato di botte da altri
quattro suoi coetanei, che non conosceva e che non lo conoscevano. Un
pestaggio senza ragione, forse una rissa finita male. I quattro
responsabili vengono riconosciuti e arrestati prima che sia giorno.
Quella che sembra una tragedia muta, schiacciata dalla freddezza della
cronaca, diventa un episodio sul quale i media mainstream italiani si
lanciano creando una rappresentazione distorta, fallace, colpevole. È
proprio dal tentativo di ricucire questa lacerazione tra la secca
descrizione e il racconto morboso della vittima e dei carnefici che
prende spunto il viaggio di Christian Raimo e Alessandro Coltré: tre
anni di incontri e interviste con gli amici e la famiglia di Willy, con
le persone delle comunità coinvolte in questo dramma (Colleferro,
Artena, Paliano), tre anni di studio e riflessioni per provare a capire
chi abita davvero quei luoghi, e soprattutto restituire loro una voce.
L’omicidio di Willy Monteiro Duarte è stato un dramma singolare
diventato subito un dolore collettivo, un trauma accaduto alla
generazione dei suoi coetanei: una storia di ragazzi. Per contrastare lo
storytelling nero delle infinite dirette della tv del pomeriggio si
parte quindi dall’interrogativo più immediato: come si racconta un
massacro? E da interrogativo a interrogativo, guidati dalle parole di
chi a Colleferro quella sera c’era e di chi ci è nato o vive quei paesi
tutti i giorni, prende forma un’inchiesta che – credendo nella verità
della ricerca storica e sociale, del giornalismo, della letteratura –
rimette al centro i giovani: i veri protagonisti, anch’essi vittime.
Dentro la storia del massacro di Willy ce ne sono altre cento, quella di
una comunità segnata dai traumi più e meno recenti, quella di una
provincia sospesa tra disoccupazione e nuova emigrazione, quella
dell’inquinamento della Valle del Sacco, quella di un territorio figlio
ormai orfano dell’industria e oggi in cerca di nuova identità.
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