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mercoledì 27 agosto 2025

Super Vicky: Il Robot che ha Conquistato i Cuori degli Anni '80 con un Pizzico di Critica Sociale

 Ciao a tutti, appassionati di cinema e TV! Sono qui, come vostro esperto di fiducia in materia di serie cult e dimenticati tesori televisivi, a parlarvi di un gioiellino che forse molti di voi ricordano con un sorriso nostalgico: Super Vicky, o Small Wonder nel suo titolo originale americano. Andata in onda tra il 1985 e il 1989, questa sitcom ha mescolato fantascienza leggera, umorismo slapstick e un sottotesto sorprendentemente acuto sulla società moderna. Immaginatevi un ingegnere geniale che, invece di affidarsi alla natura, decide di "fabbricare" la famiglia perfetta. Suona familiare? Beh, in un'era pre-AI e robot domestici, Super Vicky era già avanti anni luce, e oggi, ripensandoci, mi fa quasi emozionare per quanto fosse profetico e divertente.

Partiamo dal cuore della storia, che è semplice ma geniale, proprio come le migliori invenzioni. Ted Lawson, un ingegnere elettronico con la passione per i gadget futuristici, vive con sua moglie Joan e il figlioletto Jamie. La coppia sogna di allargare la famiglia con una sorellina per Jamie, ma le cose non vanno come previsto. Invece di arrendersi, Ted – che è un po' il prototipo del nerd visionario – decide di creare lui stesso la soluzione: un robot con le sembianze di una ragazzina di circa 10 anni, battezzata Vicky (che sta per V.I.C.I., Voice Input Child Identicant). È un'idea folle, ma ehi, negli anni '80 tutto sembrava possibile, dal Rubik's Cube ai primi computer domestici. Vicky entra in casa come se niente fosse, e da lì inizia il pandemonio.Ma non pensate a un robot alla Terminator: Vicky è adorabile, con i suoi capelli castani e il visino innocente, ma porta con sé un sacco di "bug" che rendono ogni episodio un'esplosione di risate. Parla con una voce monocorde, da far invidia a un sintetizzatore vocale dei primi tempi, e prende tutto alla lettera – letteralmente! Ditele "rompi il ghiaccio" a una festa, e rischiate di trovarvi con un blocco di ghiaccio in frantumi sul pavimento. Aggiungete una forza sovrumana che sfugge al controllo (immaginate una bambina che solleva un divano come se fosse una piuma), e avete la ricetta per disastri comici uno dietro l'altro. E poi ci sono i vicini, oh quei vicini ficcanaso che rendono tutto ancora più esilarante! In particolare, l'odiosa Harriet, la figlia dei vicini, che fiuta subito qualcosa di strano: "Ma questa ragazzina ieri non c'era, e oggi ha già 10 anni? Che diavolo sta succedendo?". È il classico trope della sitcom americana, ma qui serve a amplificare il caos, trasformando la vita dei Lawson in una commedia degli equivoci continua.Quello che mi affascina di più, però, è come Super Vicky non sia solo una serie per far ridere i bambini davanti alla TV del sabato pomeriggio. Sotto quella patina di umorismo grottesco, c'è una critica non troppo velata alla società americana degli anni '80 – e, se ci pensate, a quella di oggi. Vicky, con la sua logica ferrea e priva di emozioni umane, mette in evidenza i difetti della vita quotidiana: il consumismo sfrenato, le convenzioni sociali ipocrite, il maschilismo latente. Prende alla lettera le istruzioni, rivelando quanto siano assurde certe norme culturali. È come se gli autori dicessero: "Guardate cosa succede quando applichiamo la pura razionalità a un mondo irrazionale!". Ricordo episodi in cui Vicky espone l'assurdità di certe tradizioni familiari o scolastiche, e mi fa pensare a quanto sia attuale, in un'epoca di intelligenze artificiali che ci sfidano a riflettere su chi siamo davvero.E l'evoluzione del personaggio? Man mano che la serie procede, Ted dà a Vicky un "upgrade" per adattarla meglio alla realtà adolescenziale. Da bambina robotica diventa una teenager in erba, con tutte le complicazioni del caso: primi amori, ribellioni, amicizie complicate. È un tocco di crescita che aggiunge profondità, trasformando Vicky da semplice gag machine a un simbolo di transizione umana. Immaginate l'empatia che suscita: una "ragazza" che impara a navigare il mondo emotivo, proprio come noi tutti abbiamo fatto da adolescenti. Mi commuove un po', perché in fondo Super Vicky parla di famiglia, accettazione e imperfezioni – temi universali che resistono al tempo.Oggi, riguardando la serie (e vi consiglio di farlo, magari su qualche piattaforma di streaming o YouTube), mi colpisce quanto fosse innovativa per l'epoca. Non aveva effetti speciali hollywoodiani, ma il cast era azzeccatissimo: Dick Christie come Ted, il padre inventore un po' goffo; Marla Pennington come Joan, la mamma protettiva; e Tiffany Brissette come Vicky, che con la sua espressione impassibile rubava la scena. Jamie, interpretato da Jerry Supiran, era il fratellino perfetto, complice nelle marachelle robotiche. E Harriet? Emily Schulman la rendeva così irritante da essere adorabile.In un panorama TV dominato da supereroi e dramma high-tech, Super Vicky ci ricorda che il vero divertimento sta nelle piccole cose: un robot che inciampa nelle metafore umane, una famiglia che nasconde un segreto assurdo, e una società che si specchia nelle sue follie. Se non l'avete vista, correte a recuperarla – vi farà ridere, riflettere e magari un po' commuovere. E voi, che ricordi avete di Vicky? Fatemelo sapere nei commenti, sono curioso! Fino alla prossima recensione, stay tuned e keep wondering



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