Donate

sabato 25 ottobre 2025

Il teatro del disgelo: perché i negoziati USA-Cina sono il "Giorno della Marmotta" della geopolitica - ecco cosa penso

La notizia, ormai un classico del repertorio diplomatico, suona più o meno così: "USA e Cina riavviano i negoziati". Cambiano i luoghi (ieri la Malesia, come documentava Il Sole 24 Ore in un pezzo del 2019, oggi forse Vienna o Singapore) e cambiano i negoziatori di secondo livello, ma la sostanza resta pericolosamente immobile.

Ogni volta che Washington e Pechino annunciano una "ripresa del dialogo", i mercati tirano un sospiro di sollievo, le borse rimbalzano e i commentatori si affrettano a celebrare il trionfo della ragione. È un rituale confortante. Peccato che, sempre più spesso, assomigli più a un'abile mossa di pubbliche relazioni che a un reale tentativo di risolvere la frattura strutturale che definisce il XXI secolo.

Analizziamo la dinamica. L'articolo del 2019 citava la ripartenza dei colloqui dopo uno stallo nell'era Trump. Quei negoziati, come quelli che li hanno preceduti e quelli che li hanno seguiti, si sono concentrati sulla superficie del problema: tariffe, acquisti di soia, equilibrio della bilancia commerciale. Erano, e restano, negoziati transazionali.

Il problema è che la partita non è più commerciale. È sistemica.

Ci illudiamo che il dialogo serva a trovare un compromesso, ma per le due superpotenze il dialogo è diventato semplicemente un altro strumento del conflitto.

Da un lato, Washington (indipendentemente dall'amministrazione in carica) usa i colloqui per gestire la percezione dei propri alleati. Deve dimostrare di non essere il "guerrafondaio" della situazione, di tentare la via diplomatica prima di imporre l'inevitabile de-risking, i controlli sulle esportazioni di semiconduttori o le sanzioni. È una mossa per consolidare il fronte interno e quello occidentale.

Dall'altro lato, Pechino padroneggia l'arte dell'attesa. Partecipa ai colloqui per guadagnare tempo, per dipingere gli Stati Uniti come un partner inaffidabile e isterico, e per rallentare l'imposizione di nuove misure restrittive. Ogni mese guadagnato senza nuovi dazi o blocchi tecnologici è un mese in più per rafforzare la propria autonomia strategica (la "doppia circolazione") e ridurre la propria vulnerabilità.

Ciò a cui assistiamo non è una negoziazione, è una gestione della tensione. È l'equivalente geopolitico di due pugili che si abbracciano in un clinch per riprendere fiato prima del prossimo round, non per firmare un armistizio.

La vera agenda non è sui tavoli negoziali della Malesia o di qualsiasi altro luogo neutrale. La vera agenda è la supremazia tecnologica sull'Intelligenza Artificiale, il controllo delle catene di approvvigionamento critiche (dai chip alle terre rare) e, inevitabilmente, la questione di Taiwan.

Questi non sono temi che si risolvono bilanciando importazioni di acciaio o esportazioni di software. Sono questioni a somma zero, pilastri della sicurezza nazionale e dell'identità ideologica di entrambe le potenze.

Mentre i diplomatici sorridono alle telecamere e confermano la "ripresa dei contatti", nei corridoi del potere di Washington e Pechino si pianificano le prossime mosse della guerra tecnologica ed economica.

Il pericolo, per l'Europa e per il resto del mondo, è scambiare questo teatro per la realtà. Applaudire il "disgelo" significa ignorare che, sotto la sottile crosta di ghiaccio della diplomazia, la rivalità strutturale scorre più calda e impetuosa che mai. Faremmo bene a prepararci per l'impatto, anziché sperare che il "Giorno della Marmotta" finisca con un lieto fine che, semplicemente, non è previsto dal copione (Stefano Donno)




Nessun commento:

Posta un commento

A proposito di Casanova di Miklós Szentkuthy (Adelphi)

  Miklós Szentkuthy, saggista, memorialista, romanziere – paragonato a Borges per l’erudizione e a Joyce (ne aveva tradotto l’ Ulisse ) per ...