Sgombriamo subito il campo da qualunque illusione diplomatica: l'analisi che emerge dalle colonne de Il Fatto Quotidiano non è solo una provocazione, è la fotografia spietata del nuovo disordine mondiale. L'idea che, sotto la presidenza Trump, Cina e Stati Uniti abbiano raggiunto la "parità" non è un complimento per Pechino; è un atto d'accusa verso un Occidente che ha smarrito la bussola strategica.
La "parità" di cui parliamo non è quella virtuosa di due economie integrate che competono lealmente. È la parità che si raggiunge quando il gatto (Washington) decide volontariamente di lasciare il campo ai topi, preferendo abbaiare contro i propri alleati (l'Europa) piuttosto che presidiare il territorio.
In questo vuoto strategico, la Cina di Xi Jinping non avanza: dilaga.
Il capolavoro del cinismo strategico di Pechino, come giustamente sottolineato, si gioca sul tavolo ucraino. La tesi è brutale quanto corretta: la Cina non ha alcun vantaggio nel promuovere una vera pace in Ucraina.
Perché dovrebbe? Il conflitto alle porte dell'Europa è, per il Dragone, un dono insperato.
Primo: è un pozzo senza fondo per le risorse occidentali. Ogni miliardo speso da Washington e Bruxelles per Kiev è un miliardo che non viene investito nel contenimento cinese nel Pacifico. Ogni missile Patriot inviato in Ucraina è un sistema d'arma in meno a difesa di Taiwan. L'amministrazione Trump, ossessionata dalla contabilità transazionale dell'impegno NATO, facilita involontariamente questo dissanguamento strategico, focalizzandosi sul "costo" immediato piuttosto che sul "valore" strategico a lungo termine.
Secondo: la guerra distrae. Mentre i media e le cancellerie occidentali sono (comprensibilmente) ipnotizzati dagli orrori quotidiani del Donbass, Pechino cementa la sua influenza economica in Africa, stringe patti in Medio Oriente e militarizza il Mar Cinese Meridionale. L'America di Trump, con il suo mantra "America First", segnala al mondo che il ruolo di gendarme globale è vacante. E Pechino ne prende atto.
Terzo, e forse più importante: la Russia. L'aggressione di Putin, fallimentare sul piano militare convenzionale, è stata un successo per la Cina. Ha trasformato la Russia da partner scomodo a vassallo energetico. Mosca, isolata e sanzionata, non ha altra scelta che vendere il suo gas e il suo petrolio a Pechino, a prezzi stracciati, e offrire copertura diplomatica in seno al Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Perché mai Xi Jinping dovrebbe rinunciare a un alleato così disperatamente sottomesso?
La cruda realtà è questa: la presidenza Trump, con la sua miscela di isolazionismo e realpolitik spicciola, ha accelerato il passaggio a un mondo multipolare che non sa gestire. Ha confuso l'"essere alla pari" con il disimpegno.
La pace in Ucraina, per Pechino, non è un obiettivo; è un fastidio. Significherebbe il ritorno dell'attenzione americana sul Pacifico e la possibile (seppur difficile) ricomposizione di un fronte occidentale. Molto meglio un'Europa impantanata in una guerra di logoramento e un'America che dubita del suo stesso ruolo.
L'analisi del Fatto è corretta: Pechino osserva, accumula e, soprattutto, attende. Non ha fretta. Il tempo, e il caos occidentale, giocano a suo favore. (Stefano Donno)

Nessun commento:
Posta un commento