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mercoledì 5 novembre 2025

Il Green Deal all'italiana: così l'Europa "trucca" il clima con i crediti di carbonio - ecco cosa ne penso

Ricordate i grandi proclami? L'Europa come faro verde del mondo, la transizione inarrestabile, la rivoluzione copernicana del "Green Deal". Era la narrazione orgogliosa di Ursula von der Leyen. Oggi, quella narrazione scricchiola sotto il peso della realtà politica e, diciamolo, di una certa ipocrisia contabile.

La notizia che emerge da Bruxelles, e che il nostro governo (tra gli altri) ha caldeggiato, è di quelle tecniche nell'aspetto ma devastanti nella sostanza: per centrare i famigerati obiettivi di riduzione delle emissioni al 2030, la Commissione sta per aprire la porta ai cosiddetti "crediti di carbonio".

Tradotto dal burocratese: invece di obbligare l'industria pesante, l'energia fossile e l'agricoltura intensiva a tagliare davvero le proprie emissioni alla fonte, si permetterà loro di "compensare". Come? Conteggiando l'assorbimento fatto da foreste e suoli, o affidandosi alle futuribili (e costosissime) tecnologie di cattura della CO2 (CCS).

È un capolavoro di creative accounting climatico. È come dire a uno studente che, invece di studiare per prendere un buon voto, può "compensare" la sua impreparazione pagando un compagno di banco per suggerirgli le risposte. Il risultato sulla pagella (l'obiettivo 2030) sarà forse raggiunto sulla carta, ma lo studente (il nostro sistema produttivo) non avrà imparato assolutamente nulla.

Gli scienziati, quelli non distratti dalle sirene delle lobby, sono in allarme da tempo. Questo approccio "annacqua" gli sforzi, sposta il problema più in là e, soprattutto, crea un pericoloso precedente: la riduzione reale dell'inquinamento diventa facoltativa, un optional da barattare con qualche calcolo algebrico su quanto carbonio un bosco (forse) assorbirà.

Che l'Italia sia in prima fila a chiedere questo "sconto" non sorprende affatto. È la linea politica che conosciamo bene: difendere lo status quo industriale e agricolo, anche quando palesemente insostenibile, scambiando la lungimiranza strategica con il consenso a breve termine. Proteggiamo l'interesse particolare di chi oggi inquina, rimandando i costi (ambientali ed economici) alle prossime generazioni.

La "frenata" della von der Leyen, forse già proiettata verso il suo secondo mandato e bisognosa del sostegno dei governi più recalcitranti, è un pessimo segnale. Dimostra che quando l'ambizione climatica incontra la Realpolitik, la prima a soccombere è quasi sempre l'ambizione.

Il Green Deal, nato come il progetto che doveva definire l'identità europea nel XXI secolo, rischia così di morire come un mediocre compromesso al ribasso, soffocato non solo dalle emissioni, ma anche dai crediti facili e dalla pavidità politica (Stefano Donno)




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