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sabato 1 novembre 2025

Il Valzer Infinito di Washington e Caracas: Petrolio, Sanzioni e la Democrazia Dimenticata - ecco cosa ne penso

 L'asse Washington-Caracas è tornato a surriscaldarsi, ma chi si sorprende davvero? Quello a cui stiamo assistendo non è un nuovo capitolo, ma l'ennesima replica di una sceneggiatura logora. Un pericoloso "stop-and-go" diplomatico dove l'unica costante è l'ipocrisia della realpolitik, giocata sulla pelle di quasi 30 milioni di persone.

Da un lato, abbiamo un'Amministrazione americana che tenta una complessa ginnastica diplomatica: allentare le sanzioni petrolifere per calmierare i mercati energetici globali (sconvolti da altri fronti bellici) e gestire la crisi migratoria al proprio confine meridionale. Dall'altro, c'è Nicolás Maduro, un leader che ha trasformato la sopravvivenza politica in un'arte, dimostrando ancora una volta di essere un negoziatore più astuto di quanto i suoi detrattori a Washington vogliano ammettere.

Il recente, e prevedibile, fallimento degli accordi (come quelli noti delle Barbados) è emblematico. Washington offre la carota—un alleggerimento delle sanzioni sul vitale settore petrolifero di PDVSA—in cambio di garanzie per elezioni "libere e giuste". Maduro incassa la carota, stabilizza il suo flusso di cassa, e immediatamente dopo stringe il pugno di ferro in patria, ad esempio inabilitando i candidati dell'opposizione (come María Corina Machado) che hanno una reale possibilità di sconfiggerlo.

Qui emerge la critica fondamentale alla strategia statunitense: è una strategia schizofrenica.

Non si può pretendere di promuovere la democrazia usando il petrolio come unico barometro. L'Amministrazione Biden, esattamente come quelle che l'hanno preceduta, sembra credere di poter dosare la pressione economica per ottenere risultati politici. Ma Maduro ha dimostrato che il suo obiettivo non è la prosperità del Venezuela; è il mantenimento del potere assoluto. È disposto a sacrificare l'economia nazionale sull'altare della sua sopravvivenza politica.

Gli Stati Uniti, d'altro canto, sono prigionieri dei propri interessi. Hanno bisogno che il greggio pesante venezuelano torni sul mercato per abbassare i prezzi alla pompa, un fattore decisivo in qualsiasi elezione americana. Questa necessità pragmatica svuota di ogni credibilità la loro retorica sulla "libertà" del popolo venezuelano.

Il risultato è uno stallo tossico. Le sanzioni—che dovevano rovesciare il regime—hanno fallito, colpendo la popolazione e spingendo milioni di venezuelani verso l'esodo, destabilizzando l'intera regione. L'allentamento delle sanzioni, d'altro canto, non ha prodotto democrazia, ma ha solo fornito ossigeno a un apparato autoritario che ora si sente legittimato.

Maduro sa che Washington non reintrodurrà mai sanzioni totali finché il prezzo del barile resta volatile e la Russia rimane un paria energetico. Ha capito il bluff.

Mentre questa partita a scacchi tra giganti impantanati prosegue, la democrazia venezuelana non è sul tavolo dei negoziati; è nel cassetto delle buone intenzioni, sacrificata sull'altare del petrolio. Washington ha barattato la speranza di un cambiamento reale con la flebile promessa di una stabilità energetica a breve termine. E Maduro, forte delle sue alleanze con Mosca, Pechino e Teheran, continua il suo valzer, sicuro che la musica, per ora, non si fermerà. (Stefano Donno)






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