L'ultimo ruggito via social del Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha la perentorietà di un editto: "Con la destra al Governo, [la patrimoniale] non vedrà mai la luce". Una dichiarazione, questa, che assolve a una duplice, e ormai classica, funzione della sua strategia comunicativa: rassicurare il proprio elettorato di riferimento e piantare una bandiera identitaria nel campo perennemente minato del fisco italiano.
Il casus belli, neanche a dirlo, è il riaffiorare del dibattito, o forse sarebbe meglio dire del "fantasma", di un'imposta sui grandi patrimoni, evocata da sinistra (sindacati e frange del PD) e subito trasformata dalla Premier nello "spauracchio" rosso da cui difendere l'Italia che produce.
Sia chiaro: la mossa è politicamente impeccabile. Nell'arena della propaganda, Meloni gioca d'anticipo, chiude i ranghi e offre ai suoi una narrazione semplice ed efficace: noi siamo il baluardo contro chi vuole "mettere le mani nelle tasche degli italiani". È un copione visto e rivisto, che paga sempre in termini di consenso immediato.
Ma un giornalista, e un Paese con i piedi per terra, non può fermarsi al tweet. Deve guardare oltre la trincea ideologica e chiedersi: a quale prezzo arriva questa "rassicurazione"?
Il punto critico non è tanto la legittima posizione liberista di un governo di destra, quanto l'assordante silenzio che accompagna questo "No". Mentre la Premier erige un muro contro un'ipotesi fiscale che (con l'attuale maggioranza) non ha comunque alcuna possibilità di concretizzarsi, i problemi strutturali del Paese restano lì, enormi e insoluti.
Dove troverà il Governo le risorse per finanziare una sanità pubblica che scricchiola, per rinnovare i contratti pubblici mangiati dall'inflazione, per sostenere una natalità in caduta libera o per avviare quella titanica opera di riduzione del debito pubblico che Bruxelles ci chiederà, prima o poi, di onorare?
La verità, scomoda ma necessaria, è che il "No" alla patrimoniale è una risposta facile. Ciò che manca, e che un leader di governo dovrebbe fornire, è la "proposta" complessa. Manca una visione organica su come redistribuire il carico fiscale, oggi palesemente sbilanciato sul lavoro dipendente e sulle imprese oneste, e su come scovare l'evasione monstre che sottrae ossigeno allo Stato.
La "patrimoniale", in Italia, è un tabù tossico. Evocarla (da sinistra) scatena il panico; demonizzarla (da destra) garantisce applausi. In mezzo, scompare ogni possibilità di un dibattito serio, laico e pragmatico su come far funzionare la leva fiscale in modo equo e non punitivo. Si può essere contrari alla patrimoniale e, al contempo, disegnare un sistema dove chi ha di più contribuisce di più, senza per questo affossare il risparmio o l'investimento? Certamente sì.
Ma la politica degli slogan non ama le sfumature. E così, mentre la Premier ci "rassicura" che lo spauracchio è stato rinchiuso nell'armadio, la montagna del debito continua a crescere e le disuguaglianze a scavare solchi. Il proclama di Giorgia Meloni non è una soluzione economica, è un'operazione di posizionamento politico. Utile per il prossimo sondaggio, molto meno per il futuro del bilancio dello Stato. (Stefano Donno)

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