Si riapre il sipario, mai veramente chiuso, sul dramma venezuelano. Da Washington, l'amministrazione americana—con il consueto stile assertivo che contraddistingue la presidenza Trump—lancia l'ennesimo "attacco" verbale e politico contro Nicolás Maduro. L'eco mediatico, come riportato oggi anche da Repubblica, è immediato e univoco: il leader di Caracas è sempre più "isolato".
La domanda che un'analisi seria deve porsi, tuttavia, va oltre la constatazione. Questo isolamento è strategico o è solo scenico? E, soprattutto, serve davvero a indebolire il regime o, paradossalmente, finisce per rafforzarlo?
Siamo onesti: la linea dura statunitense, fatta di sanzioni e retorica incendiaria, serve più a rassicurare l'elettorato conservatore della Florida che a orchestrare un reale cambio di regime a Caracas. È una politica muscolare che confonde l'azione con l'agitazione.
L'isolamento di Maduro, sbandierato come un trofeo diplomatico, è un'arma a doppio taglio.
Certo, il regime chavista è un paria per l'Occidente. Le sue casse sono vuote, la sua popolazione stremata da un'inflazione fantascientifica e da una crisi umanitaria che ha pochi precedenti al di fuori di un contesto bellico. Ma l'isolamento è tutt'altro che ermetico.
Finché Pechino e Mosca (per non parlare di Teheran e L'Avana) vedranno nel Venezuela una preziosa pedina strategica—una spina nel fianco nel "cortile di casa" americano—il caudillo avrà ossigeno economico e diplomatico per sopravvivere.
Peggio ancora: ogni "attacco" frontale da parte degli Stati Uniti è manna dal cielo per la propaganda bolivariana. Maduro non chiede di meglio che poter agitare lo spauracchio dell'imperialismo Yanqui per serrare i ranghi di un apparato militare la cui lealtà è, di fatto, l'unica cosa che lo tiene al potere. Offre al regime la giustificazione perfetta per ogni fallimento interno: "È colpa del blocco".
L'errore strategico di Washington è confondere l'isolamento diplomatico con l'isolamento effettivo. Maduro è messo all'angolo, sì, ma in quell'angolo ha imparato a sopravvivere, circondato da alleati che non hanno alcun interesse nella democrazia, ma molti interessi nel petrolio e nella geopolitica.
Questo nuovo "attacco" non è una strategia, è una dichiarazione. Non apre spiragli negoziali credibili né aiuta un'opposizione interna ormai tragicamente frammentata e disillusa.
L'unica, drammatica, certezza è che a pagare il prezzo di questo stallo tossico non sono né i generali a Caracas né i falchi a Washington. È il popolo venezuelano, ostaggio di un vicolo cieco diplomatico dove l'unica via d'uscita sembra essere quella degli aeroporti, in un esodo senza fine. (Stefano Donno)

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