Il gioco delle ombre tra Washington, Kiev e Mosca si arricchisce di un nuovo, gelido capitolo. La recente chiusura del Cremlino all’ipotesi di un incontro trilaterale con gli Stati Uniti e l’Ucraina — nonostante l’attivismo della nuova cerchia diplomatica di Donald Trump, rappresentata da Steven Witkoff — non è una semplice scortesia istituzionale. È un messaggio politico deliberato, scritto con l’inchiostro della Realpolitik più cruda.
La Strategia del Rifiuto
Mosca non vuole sedersi a un tavolo dove si sente "uno contro due". Rifiutare il formato trilaterale significa, per Vladimir Putin, riaffermare un principio cardine della sua dottrina: l'Ucraina non è un interlocutore autonomo, ma un pezzo di un puzzle più grande che va risolto direttamente con la Casa Bianca.
Accettare il dialogo a tre vorrebbe dire legittimare la posizione di Volodymyr Zelensky proprio nel momento in cui il Cremlino percepisce una crepa nell'unità occidentale. Mosca scommette sul "divide et impera", preferendo canali bilaterali che possano bypassare Kiev e mettere l’Europa davanti al fatto compiuto.
L'Illusione della "Pace Russa"
Mentre Witkoff cerca di tessere una tela negoziale per onorare le promesse elettorali di Trump (una risoluzione rapida del conflitto), la Russia risponde con la retorica dell'impegno per la pace. Ma attenzione: la "pace" russa non è un compromesso, è una condizione.
Il Cremlino resta fermo sulle sue posizioni: neutralità dell'Ucraina, riconoscimento delle conquiste territoriali e fine delle sanzioni. Il rifiuto del trilaterale serve a chiarire che Mosca non intende negoziare partendo da una posizione di debolezza, né tantomeno sotto la supervisione di un’amministrazione americana che, seppur meno ostile a parole rispetto alla precedente, non ha ancora messo sul piatto concessioni concrete.
Il Fattore Trump: Tra Pragmatismo e Rischio
L'invio di Witkoff segna l'inizio della diplomazia transazionale di Trump 2.0. È un approccio che punta al risultato immediato, spesso ignorando le sottigliezze del protocollo internazionale. Tuttavia, l'algida reazione russa suggerisce che la "pressione del business" potrebbe non bastare. Se Washington pensava di risolvere la crisi ucraina con un semplice incontro ai massimi livelli, si è scontrata con la realtà di un conflitto che per Putin è esistenziale e identitario.
Il "no" di Mosca non è la fine dei giochi, ma l'inizio di una partita a scacchi molto più pericolosa. La Russia sta alzando la posta, testando i nervi della futura amministrazione USA e cercando di capire quanto Trump sia disposto a sacrificare l'alleato ucraino sull'altare di un accordo rapido. In questo scenario, la pace non è mai stata così vicina a parole, eppure così maledettamente lontana nei fatti. (Stefano Donno)
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