Donald Trump ha sempre avuto un debole per i superlativi, ma quando dalla Casa Bianca tuona che "non siamo mai stati così vicini alla pace", il mondo – per la prima volta dopo anni di scetticismo – trattiene il respiro. Non perché ci si fidi ciecamente dell'ottimismo del tycoon, ma perché i movimenti tettonici della geopolitica europea suggeriscono che il bluff, questa volta, è finito.
Mentre Washington canta vittoria preparandosi a incassare il dividendo politico di un "Deal" storico, a Berlino va in scena la vera, drammatica trasformazione del Vecchio Continente. I leader europei, riuniti in una capitale tedesca sferzata dal gelo invernal e dalla gravità del momento, stanno per varcare il Rubicone: la disponibilità a schierare una forza multinazionale di interposizione.
La fine dell'innocenza europea
Siamo onesti: per decenni l'Europa ha delegato la sua sicurezza agli Stati Uniti e la sua energia alla Russia. Il 2022 ha distrutto la seconda illusione; il 2025, con il ritorno di Trump, sta smantellando la prima. La notizia che filtra dal vertice di Berlino – la creazione di una forza di peacekeeping a guida europea per blindare il futuro cessate il fuoco – è la certificazione del fallimento della "soft power" europea e, contemporaneamente, il suo più grande atto di maturità.
Se Trump vuole la pace, la vuole alle sue condizioni: niente più assegni in bianco a Kiev e un disimpegno graduale degli asset americani dal fronte orientale. Il messaggio recapitato alle cancellerie europee è stato brutale ma efficace: "Volete garanzie di sicurezza per l'Ucraina? Metteteci gli stivali sul terreno. I vostri."
Una pace armata (e fragile)
L'analisi critica non può esimersi dal guardare cosa si nasconde sotto il tappeto di questa "pace vicina". Non stiamo parlando di una vittoria totale dell'Ucraina, né del collasso della Russia. Stiamo parlando di un congelamento. Una Corea sul Dnepr.
La forza multinazionale discussa a Berlino non andrà lì per distribuire aiuti umanitari, ma per interporsi tra due eserciti esausti ma ancora letali. È una missione ad altissimo rischio. Chiedere all'opinione pubblica europea, già provata da anni di inflazione e crisi energetica, di accettare il rischio che soldati italiani, francesi o tedeschi possano morire per garantire una linea di demarcazione nel Donbass, è una scommessa politica colossale.
Il trionfo della Realpolitik
Trump porta a casa il titolo da prima pagina. Putin ottiene il controllo de facto sui territori occupati (ammettiamolo, nessuno crede che torneranno a Kiev nel breve periodo). L'Ucraina ottiene la sopravvivenza statale e una garanzia fisica europea, ma perde integrità territoriale.
E l'Europa? L'Europa si sveglia adulta e armata. La decisione di Berlino segna la fine definitiva del dopoguerra pacifista. Se questa forza multinazionale vedrà la luce, l'UE diventerà un attore geopolitico "hard", non per scelta vocazionale, ma per necessità di sopravvivenza.
Siamo davvero "mai così vicini alla pace"? Forse sì. Ma non è la pace della giustizia, né quella dei trattati ideali. È una pace sporca, armata, costosa e incredibilmente fragile. È l'unica pace che il 2025 poteva offrirci, e il conto, questa volta, lo pagherà Berlino, Parigi e Roma, non Washington.

Nessun commento:
Posta un commento